LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13749/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
contro
CONSORZIO PESCATORI DI GORO SOC. COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 11, presso lo studio degli Avv.ti Gabriele Escalar e Vittorio Giordano, dai quali è rappresentato e difeso, giusta procura a margine del controricorso
– controricorrente e ricorrente incidentale –
Avverso la sentenza n. 634/14 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 31 marzo 2014.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 ottobre 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi;
udito il Pubblico Ministero, Dott. Mauro Vitiello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. Vittorio Giordano, per il controricorrente e ricorrente in via incidentale.
FATTI DI CAUSA
1. Nel presentare la dichiarazione UNICO 2006 per l’anno d’imposta 2005, la società cooperativa Consorzio Pescatori di Goro (in appresso, per brevità: “il Consorzio”) esponeva un saldo d’imposta IRAP a credito, in conseguenza della pratica applicazione dell’aliquota agevolata dell’1,9% prevista dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 45, comma 1.
Successivamente, pervenuto parere negativo dell’Agenzia delle Entrate ad hoc interpellata sull’applicabilità del beneficio, il Consorzio, nel dicembre 2006, versava la maggiore imposta IRAP dovuta (pari al saldo a debito risultante, espungendo l’agevolazione) nonché un importo a titolo di sanzione per infedele dichiarazione, determinato nella misura di un quinto della maggiore imposta, avvalendosi del ravvedimento operoso ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, comma 1, lett. b), ratione temporis vigente.
A seguito di controllo automatizzato eseguito D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-bis, l’Agenzia delle Entrate, rilevato il tardivo pagamento dell’IRAP dovuta, procedeva, previo invito al pagamento con inoltro di comunicazioni di irregolarità, alla iscrizione a ruolo della somma di Euro 14.520,30, quale sanzione per ritardato versamento quantificata in misura pari al 30% della maggiore imposta, a mente del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13.
2. Nel marzo 2009 l’agente della riscossione, Equitalia Emilia Nord S.p.A., notificava al Consorzio la relativa cartella di pagamento.
Avverso detta cartella, spiegava impugnativa giurisdizionale il Consorzio, assumendo, in sintesi, la configurabilità nella vicenda della sola fattispecie di infedele dichiarazione (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 32, comma 2) e non anche di quella di tardivo versamento (prevista dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 34), con derivante illegittimità della irrogata sanzione.
3. Il ricorso del contribuente, disatteso dal giudice di prime cure, è stato parzialmente accolto, a seguito di appello, con la sentenza in epigrafe indicata.
Per quanto qui ancora d’interesse, la C.T.R. ha: (a) ritenuto che l’indicazione in dichiarazione di un’imposta inferiore a quella dovuta (in conseguenza dell’applicazione di un’aliquota agevolata in luogo di quella ordinaria corretta) integri fattispecie di dichiarazione infedele, emendabile mediante ravvedimento operoso, come accaduto nel caso con la tempestiva dichiarazione integrativa e il versamento delle sanzioni in misura ridotta; (b) escluso la ravvisabilità della violazione di ritardato versamento dell’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 34, sussistente invece nelle ipotesi di corretta indicazione dell’imposta in dichiarazione e mancato pagamento della stessa.
Annullata la cartella per dette ragioni, il giudice di prossimità ha però disatteso la richiesta del Consorzio di ripetizione della sanzione pagata per definizione agevolata, non reputando sussistenti le obiettive condizioni di incertezza delle norme previste a tal fine dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3.
4. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico motivo; l’intimato Consorzio resiste e spiega altresì ricorso incidentale condizionato articolato su un motivo, cui a sua volta resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate.
Parte controricorrente e ricorrente incidentale ha depositato altresì memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Con l’unico mezzo di gravame principale, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 19,30,32 e 34, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Ad avviso della difesa erariale che la legge fondamentale in tema di IRAP (il già menzionato D.Lgs. n. 446 del 1997) disciplini, rispettivamente agli artt. 32 e 34, distinte violazioni, autonomamente sanzionate, per le differenti condotte di infedele dichiarazione e di omesso o ritardato versamento dell’imposta: sanzioni tra di loro concorrenti e non suscettibili di assorbimento l’una nell’altra, in forza dei principi informanti il sistema sanzionatorio come riformato dai decreti legislativi nn. 471 e 472 del 1997.
6. L’argomentazione non è condivisibile.
Con affermazione espressa a definizione di una controversia in tema di IVA, ma formulata con generale riferimento ad ogni ipotesi di violazione di disposizioni tributarie, questa Corte (Cass. 07/12/2020, n. 27693) ha di recente enunciato il seguente principio di diritto: “la sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, punisce la “dichiarazione infedele”, che si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione un importo inferiore a quello dovuto, mentre quella di cui al citato D.Lgs., art. 13, punisce il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella dichiarazione, senza che rilevi al riguardo la loro indicazione nella contabilità. Ne deriva che, in caso di omessa indicazione, nella dichiarazione annuale IVA, dell’importo effettivamente dovuto, il mancato pagamento dell’imposta costituisce diretta conseguenza dell’omessa dichiarazione, integrandosi in tal modo la fattispecie sanzionatoria di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, che copre sia la violazione formale, sia il conseguente ed inevitabile mancato pagamento dell’imposta dovuta, con conseguente assorbimento della sanzione meno grave di cui al D.Lgs. citato, art. 13".
Siffatta regula iuris (cui in questa sede si intende dare continuità) regola anche il concorso apparente in tema di IRAP tra la fattispecie della dichiarazione infedele D.Lgs. n. 446 del 1997, ex art. 32, comma 2 (dal tenore letterale pressocché coincidente al D.Lgs. n. 417 del 1997, art. 5) e dell’omesso o ritardato versamento di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 34 (che ricalca, in parte con espressa relatio, il disposto del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13).
Va dunque ribadito che mentre la dichiarazione infedele si concreta nella indicazione ad opera del contribuente di un’imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, per l’effetto mancando di dichiarare somme dovute e di versare i relativi importi, l’omesso versamento sanziona la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione nonché l’ipotesi in cui, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile.
Anche in materia di IRAP, il mancato versamento dell’imposta che sia diretta conseguenza dell’omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo effettivamente dovuto, integra solo ed unicamente un contegno di dichiarazione infedele, la cui sanzione, comminata nei modi e nei termini di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 32, comma 2, assorbe l’inevitabilmente conseguente mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta.
Conforme a diritto e’, pertanto, la statuizione resa sul punto dalla gravata sentenza.
7. Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale, proposto in via condizionata.
8. La novità della questione esaminata giustifica l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio.
In ordine al ricorso principale, non trova applicazione il disposto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): il provvedimento che dichiara la parte impugnante tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato non può infatti essere pronunciato nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le amministrazioni pubbliche difese dall’Avvocatura dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 20/02/2020, n. 4315; Cass. 29/01/2016, n. 1778; Cass. 14/03/2014, n. 5955).
L’esito della lite rende altresì non applicabile il menzionato art. 13, comma 1-quater, in ordine al ricorso incidentale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale.
Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Compensa integralmente le spese del grado.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 12 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022