LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. (257251/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
contro
G.P., elettivamente domiciliato in Roma, via Pisanelli n. 2, presso lo studio dell’Avv. Stefano Di Meo, dal quale, unitamente all’Avv. Patrizia Tovazzi, è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 712/2015 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il giorno 8 luglio 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del (14 dicembre) 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi;
Lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Vitiello Mauro, formulate ai sensi e con le modalità previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali chiede l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. A seguito di verifica contabile condotta attraverso l’invio di un questionario al contribuente ed indagini su movimentazioni di conti correnti D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 32, l’Agenzia delle Entrate procedeva, con metodo sintetico ai sensi del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, alla rettifica del reddito complessivo di Paolo G., titolare della ditta individuale “Coronado di G.P.” esercente attività di commercio al dettaglio di orologi e articoli di gioielleria, per l’anno d’imposta 2007.
In specie, l’Ufficio acclarava in capo al contribuente la disponibilità di un’autovettura di grossa cilindrata (con il sostenimento delle relative spese) e di un immobile adibito a residenza secondaria (in multiproprietà per due settimane) nonché il sostenimento, nella misura del 100%, delle spese di mutuo e di mantenimento di un immobile (della superficie di 300 mq) adibito a residenza principale, di proprietà della coniuge O.A.; individuato l’importo reddituale attribuito ai singoli beni come indice di ricchezza in applicazione del c.d. redditometro, determinava il maggior reddito percepito ai fini IRPEF e recuperava a tassazione l’imposta non versata, maggiorata di sanzioni ed interessi.
2. L’impugnativa giurisdizionale del contribuente, disattesa in prime cure, veniva accolta, con annullamento dell’atto impositivo, dalla C.T.R. del Piemonte con la sentenza in epigrafe indicata.
3. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, articolando tre motivi, cui resiste, con controricorso, G.P..
4. Fissato per l’udienza pubblica del 12 ottobre 2021, il ricorso è stato in pari data trattato in camera di consiglio, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis” convertito dalla L. n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non essendo stata formulata richiesta di discussione orale.
5. Entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza, il P.G. ha formulato conclusioni motivate; successivamente, il controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il primo motivo, seppur rubricato “nullità della sentenza, violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, dell’art. 132 disp. att. c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e vizio della motivazione apparente”, lamenta, in sostanza, l’erronea applicazione dei criteri di riparto dell’onere della prova in tema di accertamento del reddito eseguito con il metodo sintetico.
Premesso che la disponibilità dei beni indice previsti dal c.d. redditometro genera una presunzione di capacità contributiva da superarsi con prova contraria a carico del contribuente, la difesa erariale assume che il giudice di merito abbia analizzato gli indici di capacità reddituale indicati nell’avviso di accertamento, omettendo del tutto di motivare (ovvero motivando in maniera apodittica) sugli elementi addotti dal contribuente.
7. Per ragioni di evidente connessione, la doglianza deve essere scrutinata congiuntamente agli ulteriori due motivi di ricorso, con cui, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in uno al D.M. 10 settembre 1992 (secondo motivo) oppure agli artt. 2697 e 2728 c.c. (terzo motivo).
Ad avviso dell’impugnante, la C.T.R.: (i) ha ritenuto “l’elevata incidenza distorsiva” del moltiplicatore applicato per il sostenimento della spesa del mutuo, ignorando come l’entità di detto moltiplicatore sia determinata dalla legge e non già dall’A.F.; (ii) ha fondato la decisione su circostanze relative al contribuente (lo svolgimento dell’attività commerciale mediante contatti diretti con i possibili acquirenti, l’agiata situazione della famiglia di appartenenza, l’incidenza sul reddito delle perdite pregresse) inidonee ad assolvere l’onere probatorio gravante sul contribuente, consistente invece nella dimostrazione di redditi (esenti o soggetti a ritenute alla fonte) di entità e durata tali da giustificare le spese accertate.
8. La contestazione così complessivamente sollevata è fondata.
L’accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche eseguito con metodo sintetico (il c.d. redditometro) si incentra sul conferire a ciascun bene (o servizio) indice di capacità contributiva che sia nella disponibilità del contribuente un “valore”, determinabile mediante gli importi (per singoli beni) e i coefficienti di calcolo normativamente predeterminati nella tabella allegata ai dd.mm. 10 settembre 1992 e 19 novembre 1992 (ratione temporis applicabili al caso, concernente accertamenti relativi a periodi d’imposta anteriori al 2009): modalità accertativa conforme al principio della riserva di legge sancito dall’art. 23 Cost., “poiché i relativi decreti ministeriali non contengono norme per la determinazione del reddito, assolvendo soltanto ad una funzione accertativa e probatoria” (testualmente, Cass. 11/12/2020, n. 28265; conf. Cass. 24/04/2018, n. 10037).
Secondo il monolitico indirizzo ermeneutico di questa Corte, la determinazione del reddito del contribuente effettuata con metodo sintetico, siccome fondata su parametri prestabiliti e calcoli statistici qualificati, dispensa l’A.F. da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice di capacità contributiva.
La disponibilità dei beni da parte del contribuente integra, infatti, una presunzione di capacità contributiva “legale” ex art. 2728 c.c., imponendo la legge di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, verificata l’effettiva sussistenza degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra circa la provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni.
Più specificamente, al fine di vincere la presunzione nascente dall’applicazione del c.d. redditometro, la prova contraria a carico del contribuente non consiste nella mera dimostrazione della disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, ma investe altresì l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente stesso: sebbene non sia esplicitamente richiesta la prova che tali redditi siano stati utilizzati per sostenere le spese contestate, occorre documentare circostanza sintomatiche che ne denotino l’impiego per coprire siffatte spese (sull’argomento, tra le tantissime Cass. 27/07/2021, n. 21547; Cass. 28/04/2021, n. 11158; Cass. ‘05/03/2021, n. 6270; Cass. 02/11/2020, n. 24243; Cass. 04/08/2020, n. 16637; Cass. 20/01/2017, n. 1510; Cass. 10/11/2015, n. 22944; Cass. 16/07/2015, n. 14885; Cass. 26/11/2014, n. 25104).
8.1. Degli esposti principi di diritto non ha fatto buon governo il giudice di prossimità.
Ed invero, la gravata sentenza ha: operato una (illegittima) nuova valutazione sull’idoneità dei beni indice considerati dall’A.F. a fondare l’accertamento e sull’idoneità delle movimentazioni bancarie “a sostenere ricavi occulti”; espresso (non consentiti) apprezzamenti sul moltiplicatore (si ripete: predeterminato dal dato positivo) applicato per la spesa del mutuo; riscontrato la mera esistenza delle situazioni fattuali dedotte dal contribuente (svolgimento di attività commerciale senza strutture organizzate, agiata situazione della famiglia di appartenenza, incidenza sul reddito delle perdite pregresse).
Per addivenire, all’esito, alla seguente conclusione: “gli elementi e le circostanze di fatto previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, non paiono sufficientemente certi per considerare fondato il reddito sinteticamente determinato, anche in considerazione dell’efficacia probatoria degli elementi conoscitivi portati dal contribuente”.
Risulta in tal guisa sovvertita la regola di riparto dell’onere della prova, innanzi illustrata, operante in tema di accertamento del reddito con modalità sintetica.
Senza diffondersi in inammissibili dissertazioni sulla valenza nella specie degli (incontroversi nella loro esistenza) indici di capacità contributiva apprezzati dal legislatore (sia nell’an, con la selezione dei beni rilevanti, sia nel quantum, con i criteri di determinazione del reddito in base a prefissati moltiplicatori), il giudice di merito avrebbe dovuto considerare l’efficacia asseverativa degli elementi addotti dal contribuente (il disinvestimento di fondi, la disponibilità di somme per effetto di successione mortis causa) a vincere la presunzione nascente dall’operare dei parametri normativi, cioè a dire a provare l’esistenza di redditi, ulteriori rispetto a quelli dichiarati, verosimilmente impiegati, in ragione della loro entità e della durata del loro possesso, a copertura delle spese contestate con l’atto impositivo.
10. A tanto provvederà la Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui la causa va rinviata, previa cassazione della sentenza impugnata.
11. Al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 12 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022