Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.485 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28765/2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

G.P., elettivamente domiciliato in Roma, via Pisanelli n. 2, presso lo studio dell’Avv. Stefano Di Meo, dal quale, unitamente all’Avv. Patrizia Tovazzi, è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 728/2017 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il giorno 4 maggio 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 ottobre 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi;

Lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Vitiello Mauro, formulate ai sensi e con le modalità previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali chiede l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di verifica contabile condotta attraverso l’invio di un questionario al contribuente ed indagini su movimentazioni di conti correnti D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 32, l’Agenzia delle Entrate procedeva, con metodo sintetico ai sensi del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, alla rettifica del reddito complessivo di G.P., titolare della ditta individuale “Coronado di G.P.” esercente attività di commercio al dettaglio di orologi e articoli di gioielleria, per l’anno d’imposta 2008.

In specie, l’Ufficio acclarava in capo al contribuente la disponibilità di un’autovettura di grossa cilindrata (con il sostenimento delle relative spese) e di un immobile adibito a residenza secondaria (in multiproprietà per due settimane) nonché il sostenimento, nella misura del 100%, delle spese di mutuo e di mantenimento di un immobile (della superficie di 300 mq) adibito a residenza principale, di proprietà della coniuge O.A.; individuato l’importo reddituale attribuito ai singoli beni come indice di ricchezza in applicazione del c.d. redditometro, determinava il maggior reddito percepito ai fini IRPEF e recuperava a tassazione l’imposta non versata, maggiorata di sanzioni ed interessi.

2. L’impugnativa giurisdizionale del contribuente, disattesa in prime cure, veniva accolta, con annullamento dell’atto impositivo, dalla C.T.R. del Piemonte con la sentenza in epigrafe indicata.

3. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, articolando dieci motivi, cui resiste, con controricorso, G.P..

4. Fissato per l’udienza pubblica del 12 ottobre 2021, il ricorso è stato in pari data trattato in camera di consiglio, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non essendo stata formulata richiesta di discussione orale.

5. Entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza, il P.G. ha formulato conclusioni motivate; successivamente, il controricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Nel respingere l’appello interposto dall’Agenzia delle Entrate, la gravata sentenza ha ravvisato l’illegittimità dell’accertamento con metodo sintetico del reddito sulla scorta di una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata.

La C.T.R. ha infatti fondato il proprio convincimento:

(a) sul difetto del presupposto di uno scostamento reiterato per almeno due annualità del reddito dichiarato rispetto a quello accertabile mediante il c.d. redditometro;

(b) sulla disponibilità da parte del contribuente di redditi tassati alla fonte in quanto provenienti da disinvestimenti di fondi, provati da documentazione non specificamente contestata dall’Amministrazione ed attestanti “una autonoma capacità di far fronte alle spese di mutuo e di mantenimento degli altri beni (abitazione e autovettura)”.

Il ricorso in disamina attinge criticamente (e tanto rileva ai fini della ammissibilità dell’impugnazione) ambedue le rationes decidendi, rivolgendo puntuali e specifiche censure alla prima argomentazione (primo, secondo, terzo, quarto e decimo motivo) ed alla seconda (con i motivi dal quinto al nono).

7. In ordine alla prima ratio decidendi, valenza preliminare riveste il quarto mezzo di gravame, con cui si denuncia nullità della sentenza per inosservanza dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 56 e 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Segnatamente, si assume che, a fronte della sentenza di primo grado che aveva annullato l’atto impositivo sul rilievo della prova per l’anno in contestazione di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, la questione dell’inesistenza di uno scostamento reddituale ripetuto, assorbita nella pronuncia di prima cure, era stata riproposta da parte appellata tardivamente, e cioè con memoria illustrativa depositata lite pendente oltre il sessantesimo giorno dalla notificazione dell’atto di appello, tacendo sul punto l’atto di costituzione nel giudizio d’appello: su tale questione, da intendersi rinunciata ed espunta dal thema decidendum, non poteva pertanto pronunciarsi la C.T.R..

8. Il motivo è fondato e va accolto.

Nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 codice di rito, all’appellato e non all’appellante: l’onere della espressa riproposizione (ben differente dall’impugnazione incidentale) riguarda, ad onta della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato, perché, ad esempio, ritenute assorbite (cfr., ex plurimis, Cass. 25/06/2020, n. 12691; Cass. 21/05/2020, n. 9343; Cass. 18/05/2018, n. 12191; Cass. 06/06/2018, n. 14534).

La volontà dell’appellato, interamente vittorioso in prime cure, di riproporre le questioni assorbite deve essere manifestata, non soltanto in modo “specifico” (sicché non è sufficiente il generico richiamo al contenuto degli atti oppure alle difese ed alle conclusioni della precedente fase processuale: Cass. 18/11/2020, n. 26290; Cass. 15/10/2020, n. 22311; Cass. 19/12/2017, n. 30444) ma anche, in ossequio ai criteri di speditezza e concentrazione informanti il rito tributario, tempestivamente, ossia nell’atto di controdeduzioni da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio, risultando per l’effetto tardiva l’espressione per la prima volta in atti successivi, esplicanti funzione meramente illustrativa (orientamento consolidato: Cass. 19/1/2018, n. 1296; Cass. 19/12/2017, n. 30444; Cass. 22/06/2016, n. 12937; Cass. 18/12/2014, n. 26830; Cass. 19/10/2012, n. 17950; più in generale, con riferimento al processo ordinario di cognizione, Cass., Sez. U, 21/03/2019, n. 7940).

8.1. Nella vicenda de qua, come evincesi dagli atti di causa trascritti mediante pedissequa riproduzione oppure mediante fotoriproduzione e materiale congiunzione al ricorso di adizione di questa Corte – la questione del difetto del presupposto dello scostamento reddituale reiterato per più annualità, dedotta dal contribuente nell’originario atto di ingresso della lite, non è stata delibata dal giudice di prima istanza, siccome ritenuta assorbita nell’accoglimento per altra causa dell’impugnativa (“l’accoglimento sul punto è assorbente ed esime dall’esame di ogni ulteriore questione prospettata”: penultimo rigo della parte motiva della sentenza n. 1647/8/14 della C.T.P. di Torino); nell’atto di costituzione nel giudizio di appello, il contribuente appellato ha svolto una difesa generica e di mero stile, articolata sulla mera affermazione della erroneità in fatto ed in diritto dell’avversa impugnazione, nemmeno supportata da un (pur indiscriminato) richiamo alle deduzioni ed agli argomenti già spesi nel precedente grado.

In conseguenza di siffatto contegno, la descritta questione era da considerarsi rinunziata e su di essa non poteva pronunciarsi il giudice di appello.

La nullità per tale ragione della sentenza assorbe il vaglio sulle ulteriori censure (primo, secondo, terzo e decimo motivo di ricorso) relative all’effettiva sussistenza di uno scostamento reddituale per plurime annualità ed ai criteri di verifica di esso.

9. Circa la seconda ratio decidendi, è dirimente l’esame del sesto mezzo di gravame, con cui si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo il ricorrente, l’errore di diritto in cui è incorsa la C.T.R. risiede nell’aver ritenuto sufficiente, al fine di elidere il reddito sinteticamente accertato, la dimostrazione di disponibilità patrimoniali e di disinvestimenti idonei a coprire le spese contestate, all’uopo invece occorrendo necessariamente la prova documentale, da fornirsi a cura e onere del contribuente, dell’esistenza di “fatti relativi all’entità e alla durata del possesso delle disponibilità (…) sintomatici della circostanza che queste possano essere state utilizzate per coprire quelle spese”.

10. La doglianza è fondata.

L’accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche eseguito con metodo sintetico (il c.d. redditometro) si incentra sul conferire a ciascun bene (o servizio) indice di capacità contributiva che sia nella disponibilità del contribuente un “valore”, determinabile mediante gli importi (per singoli beni) e i coefficienti di calcolo normativamente predeterminati nella tabella allegata ai dd.mm. 10 settembre 1992 e 19 novembre 1992 (ratione temporis applicabili al caso, concernente accertamenti relativi a periodi d’imposta anteriori al 2009): modalità accertativa conforme al principio della riserva di legge sancito dall’art. 23 Cost., “poiché i relativi decreti ministeriali non contengono norme per la determinazione del reddito, assolvendo soltanto ad una funzione accertativa e probatoria” (testualmente, Cass. 11/12/2020, n. 28265; conf. Cass. 24/04/2018, n. 10037).

Secondo il monolitico indirizzo ermeneutico di questa Corte, la determinazione del reddito del contribuente effettuata con metodo sintetico, siccome fondata su parametri prestabiliti e calcoli statistici qualificati, dispensa l’A.F. da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice di capacità contributiva.

La disponibilità dei beni da parte del contribuente integra, infatti, una presunzione di capacità contributiva “legale” ex art. 2728 c.c., imponendo la legge di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, verificata l’effettiva sussistenza degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra circa la provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni.

Più specificamente, al fine di vincere la presunzione nascente dall’applicazione del c.d. redditometro, la prova contraria a carico del contribuente non consiste nella mera dimostrazione della disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, ma investe altresì l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente stesso: sebbene non sia esplicitamente richiesta la prova che tali redditi siano stati utilizzati per sostenere le spese contestate, occorre documentare circostanza sintomatiche che ne denotino l’impiego per coprire siffatte spese (sull’argomento, tra le tantissime Cass. 27/07/2021, n. 21547; Cass. 28/04/2021, n. 11158; Cass. 05/03/2021, n. 6270; Cass. 02/11/2020, n. 24243; Cass. 04/08/2020, n. 16637; Cass. 20/01/2017, n. 1510; Cass. 10/11/2015, n. 22944; Cass. 16/07/2015, n. 14885; Cass. 26/11/2014, n. 25104).

10.1. Degli esposti principi di diritto non ha fatto buon governo il giudice di prossimità.

Nel confuso e disorganico iter argomentativo dell’impugnata pronuncia – infarcito di considerazioni esulanti dall’oggetto della lite (quali quelle sulle disponibilità patrimoniali del contribuente nell’anno 2007) o macroscopicamente errate in punto di diritto (così: il “reddito dichiarato” rilevante D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, inteso non già come esposto in dichiarazione bensì come “quello eventualmente maggiore risultante dalla documentazione fornita dal contribuente o in possesso dell’Ufficio”) – l’illegittimità dell’accertamento in rettifica è stata giustificata dal mero rilievo della “presenza di redditi tassati alla fonte e provenienti da disinvestimenti”.

Manca così, in buona sostanza, qualsiasi apprezzamento sulla entità e sulla durata del possesso in capo al contribuente di siffatti redditi, i quali restano, nell’ordito motivazionale del giudice di merito, avvolti in una nebulosa vaghezza, siccome non meglio precisati nel quantum e financo nella provenienza, individuata (per dir così) in generici “disinvestimenti operati nel.2008”, locuzione nemmeno chiarita nella parte narrativa della sentenza.

Manca, funditus, l’illustrazione delle circostanze (la cui allegazione e prova incombe – come precisato – sul contribuente) sintomatiche della plausibile destinazione di tali redditi all’effettuazione delle spese contestate con l’accertamento in rettifica.

Risulta in tal guisa violato il criterio di riparto dell’onere della prova (innanzi illustrato) operante nelle liti sulla legittimità degli accertamenti del reddito con metodo sintetico e risulta del pari inopinatamente superata la presunzione di capacità contributiva derivante dalla applicazione dei parametri di legge.

E tanto giustifica l’accoglimento del ricorso anche per quest’altro profilo, con assorbimento delle doglianze formulate con il quinto, settimo, ottavo e nono motivo.

11. La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, a cui è demandata altresì la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il quarto ed il sesto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 12 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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