Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.492 del 11/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10614/2015 R.G. proposto da:

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI SCAFATI E CETARA SOCIETA’ COOPERATIVA A R.L., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, come da procura speciale in calce al ricorso, dagli avv.ti Luigi Cardascia, Paola Lumini e Attilio Pelosi, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Po, n. 28;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2155/2/14 della Commissione tributaria regionale della Campania depositata il 5 marzo 2014;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 novembre 2021 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vitiello Mauro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La Banca di Credito Cooperativo di Scafati e Cetara società cooperativa a r.l. propose ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, in relazione all’anno d’imposta 2003, aveva recuperato maggiori imposte ai fini Irpeg, Irap e I.V.A., contestando, per quanto ancora in questa sede di interesse, l’indeducibilità di oneri sostenuti per il recupero di crediti cartolarizzati, pari ad Euro 68.029,92, in quanto non inerenti.

2. La Commissione tributaria provinciale di Salerno, dopo avere disatteso l’eccezione di illegittimità dell’atto impugnato perché emesso prima dello scadere del termine di 60 giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione, data l’oggettiva urgenza della sua emissione, rigettò il ricorso.

3. Avverso detta sentenza propose appello la contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale che, con la sentenza in epigrafe richiamata, respinse l’impugnazione. Ritenuti ormai definitivi i rilievi non riproposti in sede di appello, i giudici di secondo grado non accolsero l’eccezione di nullità dell’atto impugnato per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, sul rilievo che sussistesse il requisito esonerativo costituito dall’approssimarsi della scadenza del termine per la notifica dell’avviso di accertamento. Nel merito, osservò che la Banca aveva assunto l’incarico di prestare specifici servizi per la gestione, riscossione di taluni crediti e per l’amministrazione dei pagamenti inerenti gli stessi, svolgendolo in nome e per conto della mandante BCC Securis, e che la pattuizione del relativo compenso e del rimborso delle spese sostenute in ragione dell’incarico ricevuto erano state regolamentate dall’art. 15 del contratto, rubricato “Commissioni e spese”. Proprio la terminologia utilizzata nel contratto confermava, ad avviso dei giudici di merito, la valutazione dell’Agenzia delle entrate, posto che nel richiamato art. 15 vi era sempre la previsione del rimborso delle spese e mai era previsto che la Banca restasse incisa delle stesse; pur tenendo conto del reale rapporto sottostante il contratto di servicing, era, pertanto, evidente che le spese sostenute dalla Banca non potessero che essere qualificate come semplici anticipazioni e non come veri e propri costi (da rilevare al conto economico).

4. La Banca di Credito Cooperativo di Scafati e Cetara società cooperativa a r.l. ha proposto ricorso per la cassazione della decisione d’appello, con due motivi. L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e censura la decisione gravata nella parte in cui i giudici di appello hanno ravvisato nell’imminente scadenza dei termini per l’accertamento ragioni di “particolare e motivata” urgenza, idonee a giustificare la violazione della disposizione normativa richiamata.

Nell’evidenziare che l’atto impugnato è stato notificato il 19 dicembre 2008, ossia 36 giorni dopo la redazione e contestuale notifica del processo verbale di constatazione, avvenuta in data 14 novembre 2008, la ricorrente sostiene che l’urgenza che può giustificare la violazione del termine di cui all’art. 12 citato deve derivare da circostanze di assoluta eccezionalità ed imprevedibilità, che abbiano carattere di oggettività, e che l’Ufficio, nel corso del giudizio, non ha fornito alcuna spiegazione in ordine alle ragioni di urgenza, facendo solo un generico richiamo alla scadenza del termine di accertamento.

2. Con il secondo motivo, articolato in sottoparagrafi, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1719,1720 c.c. e dell’art. 2423 c.c., comma 2, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Espone la ricorrente, in fatto, che:

a) nel corso del 2002, aveva proceduto alla cessione pro soluto dei crediti in sofferenza di varia natura alla BCC Securis s.r.l., la quale ne aveva finanziato l’acquisto mediante l’emissione di titoli obbligazionari;

b) nell’ambito di tale operazione, la BCC Securis s.r.l. aveva conferito alla contribuente, in base ad un apposito contratto, l’incarico di svolgere l’attività di servicing finalizzata alla gestione e al recupero del portafoglio cartolarizzato, sulla base di apposito mandato;

c) nel corso dell’esercizio 2003, aveva imputato al conto economico oneri per Euro 68.029,92, derivanti da fatture passive emesse da vari professionisti incaricati del recupero dei crediti cartolarizzati, oneri che concorrevano, quali componenti negativi, alla determinazione del reddito imponibile Irpeg, nonché del valore della produzione assoggettabile ad Irap;

d) l’Ufficio, riconducendo il contratto stipulato con la BCC Securis s.r.l. al mandato con rappresentanza, aveva disconosciuto la deducibilità degli oneri in capo alla contribuente, ritenendo che, essendo stati sostenuti in nome e per conto di BCC Securis s.r.l., non erano da considerarsi inerenti all’attività propria della Banca e, ai sensi dell’art. 1720 c.c., avevano natura di mere anticipazioni.

Sostiene la contribuente che la conclusione cui è pervenuto l’Ufficio si scontra con le clausole del contratto che derogano alla disciplina dettata dall’art. 1720 c.c., dato che, ai sensi dell’art. 15 contratto di servicing stipulato, gli oneri da essa sostenuti ai fini del recupero dei crediti non formano oggetto di rimborso tout court da parte di BCC Securis s.r.l.; il rimborso avveniva sotto forma di indennizzo determinato in misura forfettaria, avendo la Banca diritto al riconoscimento, a scadenze periodiche, di una somma corrispondente allo 0,1 per cento degli incassi realizzati semestralmente; se poi gli esborsi effettivamente sostenuti dalla Banca servicer risultavano superiori al rimborso forfettariamente riconosciuto, la differenza era rimborsabile solo a condizione che residuassero fondi dopo il soddisfacimento di altre obbligazioni pecuniarie prioritarie gravanti su BCC Securis s.r.l. e, in ogni caso, previo rimborso in linea capitale dei portatori dei titoli di classe A.

Ad avviso della ricorrente, pertanto, i giudici di appello non avevano correttamente interpretato le clausole del contratto di servicing, che imponevano di indagare sulla comune intenzione delle parti e di interpretare le clausole le une per mezzo delle altre, dato che la disciplina contrattuale dei rimborsi delle spese anzidette era stata strutturata, per esplicita volontà delle parti, in modo derogativo rispetto alle previsioni dell’art. 1720 c.c., le quali sancivano, in via generale, che il mandante era tenuto a rimborsare al mandatario le anticipazioni ed a pagare il compenso che gli competeva. Soggiunge la ricorrente che secondo le previsioni contrattuali aveva diritto di ricevere periodicamente dalla società due diverse forme di corresponsioni in denaro, l’una a titolo di rimborso forfettario delle spese vive inerenti all’espletamento della funzione di servicer, l’altra a titolo di remunerazione dell’attività svolta, ambedue da quantificare su base percentuale con riferimento a determinati parametri; entrambe le corresponsioni erano subordinate alla sussistenza, a ciascuna delle scadenze previste, della liquidità disponibile presso la società per eseguire tale tipologia di pagamenti e, quindi, gli esborsi non avevano natura di mere “anticipazioni”, come affermato dai giudici del gravame.

Evidenzia, infine, la società contribuente che la impostazione contabile che conseguirebbe alla luce della sentenza impugnata postula l’iscrizione nell’attivo del bilancio della Banca di una posta creditoria nei confronti della BCC Securis s.r.l., a fronte delle spese sostenute nello svolgimento dell’attività di servicing; tale iscrizione, secondo la ricorrente, configurerebbe una violazione del principio sancito dall’art. 2423 c.c., comma 2, in forza del quale il bilancio deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economico dell’esercizio.

3. E’ fondato e va accolto il primo motivo di ricorso.

3.1. Occorre premettere che nella specie non è contestata l’applicabilità al caso di specie della disposizione censurata, vertendosi nell’ipotesi di verifica condotta presso la sede della società, ai sensi del citato art. 12, comma 1, all’esito della quale è stato redatto processo verbale di constatazione.

3.2. Secondo l’orientamento di questa Corte, a cui il Collegio intende dare continuità, “la garanzia di cui alla L. 27 luglio 2000 n. 212, art. 12, comma 7, si applica a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed e’, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest’ultimo caso, come prescrive il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 6” (Cass., sez.5, 9/07/2014, n. 15624; Cass., sez. 6-5, 17/01/2017, n. 1007; Cass., sez. 5, 30/01/2019, n. 2558).

3.3. La questione controversa prospettata con la censura in esame ha trovato composizione con la sentenza delle Sezioni Unite n. 18184 del 2013 che ha enunciato il principio secondo cui in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni -determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.

Costituisce, altresì, principio ormai prevalente (Cass., sez. U, 9/12/2015, n. 24823; Cass., sez. 6-5, 9/11/2015, n. 22786), quello secondo cui “In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, le ragioni di urgenza che, ove sussistenti e provate dall’Amministrazione finanziaria, consentono l’inosservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, devono consistere in elementi di fatto che esulano dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità, sicché non possono in alcun modo essere individuate nell’imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa” (conforme, Cass., sez. 5, 16/03/2016, n. 5149; Cass., sez. 6-5, 12/07/2017, n. 17202).

Si e’, in particolare, precisato che se, dunque, non è idonea a giustificare l’urgenza la mera allegazione dell’impedimento costituito dalla imminente scadenza del termine di decadenza per la notifica dell’atto impositivo (Cass., sez. 5, 5/05/2021, n. 11685; Cass., sez. 65, 10/04/2018, n. 8749), ben può l’amministrazione offrire come giustificazione dell’urgenza la prova che l’esercizio nell’imminenza della scadenza del termine sia dipeso da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso sull’attività accertativa fino al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, a pena di vederne dissolta la finalità di recupero delle imposte ritenute non versate dal contribuente.

Ciò significa che non sarà mai l’imminenza della scadenza del termine ad integrare l’urgenza ma, semmai, l’insorgenza di fatti concreti e precisi che possano rendere giustificata l’attivazione dell’Ufficio quando non può più essere rispettato il termine dilatorio, a pena di vedere decaduta l’amministrazione (Cass., sez. 5, 29/01/2014, n. 1869; Cass., sez. 5, 12/02/2014, n. 3142; Cass., sez. 5, 30/04/2014, n. 9424).

3.4. Nella fattispecie in esame l’amministrazione finanziaria non ha indicato alcun fatto concreto che giustificasse l’emissione ante tempus dell’atto fiscale impositivo e, pertanto, non potendosi valorizzare la circostanza – unica dedotta dall’Agenzia delle entrate – della imminenza della scadenza del termine di decadenza previsto per l’accertamento, deve ritenersi sussistente la denunciata violazione che determina la nullità dell’avviso di accertamento.

L’accoglimento del primo motivo rende superfluo l’esame del secondo mezzo di ricorso, che resta assorbito.

4. In conclusione, accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza deve essere cassata e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.

Le spese relative alle fasi del giudizio di merito, in considerazione dell’andamento del giudizio, vanno integralmente compensate tra le parti, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente e, per l’effetto, dichiara la nullità dell’avviso di accertamento.

Compensa integralmente tra le parti le spese relative ai gradi del giudizio di merito.

Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472