Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.498 del 11/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5124/20153 R.G. proposto da:

Datacomm Management s.p.a., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Palermo, via Gioacchino di Marzo, n. 11, presso lo studio dell’Avv. Rosario Calì, che la rappresenta e difende, per procura speciale in calce al ricorso, domicilio in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, n. 2618/1/2014, depositata il 10 settembre 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 novembre 2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, della L. 176 del 2020;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Vitiello Mauro, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva l’appello principale dell’Agenzia delle entrate e rigettava l’appello incidentale proposto dalla Datacomm Management s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo (n. 412/4/11), che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2004, per indeducibilità di costi, pari ad Euro 1.595.560,00, derivanti da fatture emesse dalla Computer Group Italia s.r.l., ritenuta una cartiera, per operazioni oggettivamente inesistenti. In particolare, il giudice d’appello evidenziava che non v’era stata violazione del contraddittorio, non presidiata peraltro da alcuna sanzione di nullità, e che la società contribuente, dopo che l’Agenzia delle entrate aveva indicato presunzioni circa l’inesistenza delle operazioni predette, non aveva fornito la prova dell’esistenza delle stesse; non erano sufficienti a tale scopo le copie dei mastrini contabili, in quanto scritture formate dalla società, come pure inidonei a supportare la prova contraria erano gli assegni ed i bonifici, in quanto privi dell’indicazione del beneficiario e dei destinatari. Veniva poi indicata, quale ulteriore elemento in ordine alla fittizietà delle operazioni, la sentenza penale di condanna pronunciata dal Tribunale penale di Palermo nei confronti di G.U.D.F., amministratore della Datacomm Management s.r.l.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Dimostrata inesistenza di specifiche ragioni di urgenza, che avrebbero legittimato all’emissione dell’accertamento ante tempus”. Invero, per la società, poiché il processo verbale di constatazione è stato elevato dalla Guardia di Finanza di Palermo in data 11 dicembre 2009, mentre l’avviso di accertamento è stato emesso il 17 dicembre 2009 e notificato il 18 dicembre 2009, non sarebbero decorsi i 60 giorni concessi dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per presentare osservazioni, con conseguente nullità dell’avviso di accertamento.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “nullità della sentenza per omessa pronuncia su diversi motivi di impugnazione. Error in procedendo e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Mancanza dei presupposti per ritenere assorbiti tutti i motivi del ricorso non esaminati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Invero, la Commissione di primo grado aveva accolto solo il quarto motivo di ricorso. In sede di appello, la società ha riproposto ed ha integralmente richiamato tutti i motivi di impugnazione contenuti nel ricorso di primo grado e non esaminati dalla Commissione tributaria provinciale. Su tali questioni non vi sarebbe stata pronuncia da parte del giudice d’appello.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 T.U.I.R. n. 817 del 1986, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39, 40 e 41-bis, degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Illegittimità della sentenza per mancanza di motivazione o motivazione apparente in ordine alla natura fittizia delle fatture passive contabilizzate in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Mancanza di prova in merito alla natura fittizia delle fatture passive contabilizzate. Erronea valutazione delle prove offerte a dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contabilizzate. In particolare, il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto di alcuni elementi che dimostravano l’esistenza delle operazioni sottese alle fatture emesse dalla fornitrice computer Group Italia s.r.l.: il fornitore, infatti, operava nel mercato già dal 1998, disponeva di un magazzino per il deposito e lo stoccaggio della merce a Napoli, tutte le fatture erano state regolarmente contabilizzate, i pagamenti erano stati effettuati con bonifici ed assegni, come riepilogato nei mastrini allegati al processo verbale di constatazione, la corrispondenza commerciale scambiata con la contribuente attestava l’esistenza delle operazioni, la società fornitrice aveva presentato le dichiarazioni dei redditi per gli anni 2003 e 2004, la merce acquistata dalla computer Group Italia era stata successivamente venduta dalla Datacomm Management, con relativa emissione delle fatture attive, contabilizzazione dei ricavi per Euro 1.715.506,14. Le affermazioni dell’Agenzia delle entrate in ordine alla inesistenza delle operazioni non erano suffragate da alcun elemento probatorio. Inoltre, la contribuente avrebbe dimostrato la sua buona fede, evidenziando che aveva posto in essere tutti i possibili meccanismi conoscitive di controllo. L’Ufficio impositore non aveva, invece, assolto al proprio onere probatorio.

4. Il primo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti.

4.1. Invero, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, confortata anche da una decisione delle sezioni unite, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza deve essere provata dall’Ufficio (Cass., sez.un., 29 luglio 2013, n. 18184).

Ne’ la sanzione della illegittimità dell’avviso per il mancato rispetto del termine dilatorio dei sessanta giorni può essere irrogata solo qualora il contribuente dimostri che il minor termine gli ha precluso di predisporre una adeguata e specifica linea difensiva. Tale termine deve essere, infatti, rispettato a prescindere dalla allegazione da parte del contribuente di avere subito uno specifico nocumento alla propria difesa, non avendo potuto produrre nel ristretto lasso temporale concesso, osservazioni, memorie e documenti. Il termine è infatti stabilito a presidio del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, espressione dei principi di collaborazione e di buona fede. Non vi è spazio, dunque, per la “prova di resistenza” (Cass., sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27623; Cass., sez. 5, 25 gennaio 2017, n. 1969). Ai fini della declaratoria di illegittimità dell’avviso non è necessario che il contribuente dimostri che tale minore termine gli abbia impedito una adeguata difesa.

Allo stesso modo, in caso di violazione del termine, l’invalidità non è esclusa neppure se il contribuente abbia già presentato osservazioni, poiché ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, solo lo spirare del termine ivi previsto consuma la facoltà di esporre osservazioni e richieste all’Ufficio impositore (Cass., sez. 5, 5 ottobre 2012, n. 16999).

4.2.Per questa Corte, poi, la sola imminente scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non integra una ragione di urgenza valida ai fini dell’inosservanza del termine dilatarlo di sessanta giorni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, spettando piuttosto all’Amministrazione offrire come giustificazione dell’urgenza la prova, sulla base di fatti concreti e precisi, che l’emissione dell’avviso in prossimità del maturare dei termini decadenziali sia dipesa da fattori ad essa non imputabili che hanno inciso al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, pena la dissoluzione della finalità di recupero delle imposte non versate (Cass., sez. 5, 23 luglio 2020, n. 15755; Cass., sez. 6-5, n. 8749 10 aprile 2018).

4.3. Nella specie, quindi, è pacifico che vi siano stati accessi presso la sede della società. Infatti, nel ricorso per cassazione si indicano almeno 9 accessi compiuti in 3 mesi (cfr. pag. 6 del ricorso per cassazione ” è stato altresì evidenziato che la verifica è iniziata il 28 settembre 2009 e ben avrebbe potuto concludersi-visto il numero modesto di accessi: appena 9 h tre mesi-entro il 30 ottobre 2009 per consentire la notifica del PVC entro la detta data, e la notifica dell’accertamento il 31 dicembre 2009, rispettando così i termini previsti dal L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7"). La verifica, dunque, è iniziata il 28 settembre 2009, mentre il processo verbale di constatazione è stato redatto l’11 dicembre 2009. L’avviso di accertamento è stato emesso e notificato il 18 dicembre 2009, quindi, a distanza di soli sei giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni. Tali circostanze, espressamente allegate nel ricorso per cassazione, non sono state in alcun modo contestate dall’Agenzia delle entrate nel controricorso, la quale si è semplicemente limitata a prospettare l’esistenza di ragioni di urgenza, consistita, come indicato dall’Ufficio a pagina 3 dell’atto impositivo, nella considerazione “dell’imminente e improrogabile scadenza dei termini di accertamento per l’anno di imposta 2004”.

E’ evidente, dunque, che la scadenza imminente del termine per effettuare l’accertamento non costituisce ragione di urgenza idonea a giustificare la deroga al rispetto del termine di 60 giorni, per consentire al contribuente di articolare le proprie osservazioni. Ne consegue l’invalidità dell’avviso di accertamento.

5.Restano assorbiti gli altri motivi.

6. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, in quanto l’Agenzia delle entrate si è limitata nel controricorso, a pagina 7, ad indicare quale ragione di urgenza esclusivamente l’imminente scadenza del termine per provvedere alla notifica dell’avviso di accertamento (cfr. “sul punto è necessario ribadire l’infondatezza e pretestuosità della doglianza di parte ricorrente, avendo l’Ufficio indicato a pag. 3 dell’atto impositivo le ragioni dell’emissione anticipata in considerazione dell’imminente e improrogabile scadenza dei termini di accertamento per l’anno di imposta 2004, ed essendo comunque l’urgenza esonerativa dell’osservanza del termine, implicita e riconoscibile anche alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità”), senza allegare altre ulteriore ragioni di urgenza per giustificare l’emissione dell’avviso di accertamento prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, la controversia può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso originario della contribuente. 7. Le spese dei giudizi di merito devono essere compensate tra le parti, in ragione delle alterne decisioni da parte dei giudici di merito.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della Agenzia delle entrate, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente.

Compensa interamente tra le parti le spese dei giudizi di merito. Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della contribuente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 11.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, Iva e cpa, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472