Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.502 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14574/2015 R.G. proposto da:

SOTRADE S.R.O., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo della Gancia n. 1, presso lo studio dell’Avv. Vincenzo Cancrini, rappresentata e difesa, giusta procura notarile in atti, dall’Avv. Marco Francescon;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 2019/2014 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 2 dicembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 settembre 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi.

RILEVATO

che:

1. Con tre distinti avvisi di accertamento notificati nel dicembre 2011, l’Agenzia delle Entrate, all’esito di un’attività di indagine condotta dalla Guardia di Finanza, contestava alla Sotrade s.r.o., società di diritto slovacco con sede legale nella repubblica slovacca ed esercente attività di produzione e posa in opera di strutture in alluminio e vetro, di avere avuto la residenza effettiva in Italia, negli anni dal 2005 al 2007, esercitando in detto arco temporale la propria attività esclusivamente sul territorio nazionale e mantenendo la sede effettiva in Italia.

Sulla scorta di tali elementi, ritenuto l’assoggettamento della società ad IRES ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 73, comma 1, lett. a), e comma 3, e riscontrate la mancata tenuta e conservazione dei registri e delle scritture contabili obbligatorie e l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali, recuperava a tassazione tutto il reddito d’impresa dichiarato dalla Sotrade s.r.o. al fisco slovacco negli anni 2004, 2005 e 2006.

2. Le impugnative avverso i relativi avvisi di accertamento, separatamente proposte e poi riunite nel corso della controversia di prime cure, venivano accolte dall’adita Commissione tributaria provinciale di Treviso, sul rilievo che la società in esame aveva sede effettiva e reale in Slovacchia.

3. La sentenza in epigrafe indicata ha invece accolto l’appello spiegato dall’A.F. e confermato la legittimità degli atti impositivi.

4. Ricorre per cassazione la Sotrade s.r.o., affidandosi a quattro motivi; è rimasta intimata l’Agenzia delle Entrate.

CONSIDERATO

che:

5. Con il primo motivo, si denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Premesso che il compito del giudice tributario è limitato alla verifica della legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria, esclusiva titolare del potere amministrativo sostanziale, il ricorrente assume che la C.T.R. abbia arbitrariamente ed autonomamente sostituito la pretesa impositiva azionata dall’Ufficio (tassazione di tutti i redditi prodotti da Sotrade s.r.o. in ragione della sua effettiva e reale residenza italiana, per il fenomeno della c.d. esterovestizione) con una pretesa impositiva differente (tassazione dei redditi prodotti in Italia dalla Sotrade s.r.o., dacché munita di stabile organizzazione in territorio nazionale), basata su presupposti addirittura incompatibili con quella sottesa agli avvisi di accertamento.

6. Il motivo è fondato.

Come si inferisce dal contenuto degli avvisi di accertamento (trascritto, per stralcio, nel corpo del ricorso introduttivo, in ossequio al principio di autosufficienza che informa il giudizio di legittimità) la ripresa a tassazione si basa sull’asserita esterovestizione della Sotrade s.r.o., dall’A.F. considerata residente nel territorio nazionale e, quindi, assoggettata in Italia ad imposizione sui redditi prodotti.

6.1. Il sintagma “esterovestizione” designa comunemente la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in uno Stato con un trattamento fiscale più vantaggioso rispetto a quello stabilito dall’ordinamento nazionale.

Come precisato dalla giurisprudenza comunitaria, si tratta di un’operazione che integra un abuso della libertà di stabilimento garantita dal diritto dell’Unione qualora l’allocazione estera della residenza concreti una costruzione di puro artificio, priva di effettività economica e finalizzata ad eludere la normativa dello Stato membro interessato, in specie ad evitare l’applicazione della “normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale” (così Corte di giustizia 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes plc e Cadbury Schweppes Overseas Ltd; similmente Corte di giustizia 28 giugno 2007, causa C-73/06, Planzer Luxembourg Sarl): in tali ipotesi risulta pertanto legittima l’adozione, ad opera del legislatore nazionale, di misure restrittive della libertà di stabilimento.

Nel nostro sistema, la fattispecie è regolata (in via mediata, attraverso la enucleazione dei criteri di individuazione della residenza dei soggetti collettivi) dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, comma 3, secondo cui “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.

Con specifico riferimento alla vicenda oggetto di controversia, assume poi rilievo il disposto dell’art. 4 della Convenzione tra l’Italia e la Repubblica cecoslovacca per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e prevenire le evasioni fiscali, sottoscritta a Praga il 5 maggio 1981, ratificata e resa esecutiva con la L. 2 maggio 1983, n. 303.

La norma, dopo aver definito residente di uno Stato contraente “ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga” (paragrafo 1), ha cura di stabilire la tie-breaker rule per i casi di doppia residenza: al paragrafo 3 sancisce che “quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato in cui si trova la sede della sua direzione effettiva”.

Ad onta della apparente diversità di formulazione, le disposizioni ora descritte, interna e pattizia, dettano discipline sostanzialmente equivalenti: il modo di soluzione della doppia residenza, ovvero la sede effettiva della società, è criterio dirimente anche per la norma interna, per come interpretata dalla giurisprudenza.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, la “sede dell’amministrazione” evocata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73 è nozione corrispondente alla “sede effettiva”, intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, cioè a dire il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (cfr., tra le altre, Cass. 03/06/2021, n. 15424; Cass. 09/03/2021, n. 6476; Cass. 21/06/2019, n. 16697; Cass. 21/12/2018, n. 33234).

6.2. Ciò premesso, nel caso de quo, il giudice di prossimità, chiamato a valutare l’esistenza di un fenomeno di esterovestizione, ha svolto il proprio accertamento sugli elementi fattuali indicatori della sussistenza di una stabile organizzazione: fenomeno, tuttavia, differente per natura (siccome costituito, a mente del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 162 da “una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato”) e per conseguenze fiscali (importando l’assoggettamento a tassazione della sola porzione di reddito prodotta in Italia).

Assunto come parametro di orientamento l’art. 5 della sopracitata convenzione bilaterale (disposizione dedicata, appunto, alla “stabile organizzazione”), la sentenza impugnata ha rivolto l’indagine fattuale unicamente ed esclusivamente al riscontro di due circostanze: il luogo della sede di direzione e il luogo di impianto di cantieri di costruzione e di esecuzione delle prestazioni da parte della società.

E dal rilievo dell’operatività in territorio nazionale di “vari cantieri navali” dove lavoravano “vari dipendenti slovacchi della società” ha inferito la presenza in loco di un’attività “di coordinamento, di controllo dell’esecuzione dei lavori, di collaudo e direzione dei lavori” espletata dagli amministratori della Sotrade, residenti in Italia; per poi concludere nel senso che “la società contribuente (ha) instaurato in Italia una stabile organizzazione”, regolarizzata nell’anno 2007.

Come è palese, l’apprezzamento così compiuto non ha riguardato i fattori che connotano ed individuano la sede effettiva rilevante ai fini dell’esterovestizione: a fronte di una sede legale statutariamente sita in Slovacchia, nessun riscontro è stato ricercato in ordine al luogo di svolgimento delle attività amministrative (e di tenuta della relativa documentazione, anche contabile), di celebrazione delle riunione tra dirigenti e delle assemblee dei soci, di adozione, in ultima analisi, delle decisioni essenziali di politica generale della società.

6.3. In tal guisa ragionando, la Corte territoriale ha ritenuto la legittimità della pretesa esercitata dall’Amministrazione sulla scorta di presupposti radicalmente divergenti da quelli posti a fondamento dell’atto impositivo impugnato: invero, della società l’esterovestizione postula l’effettiva e reale residenza italiana, la stabile organizzazione, all’inverso, postula l’effettiva e reale residenza estera.

Sussiste pertanto la denunciata nullità della sentenza: è noto infatti che il giudice tributario deve limitarsi a verificare la legittimità dell’atto impositivo senza operare, pena il vizio di ultrapetizione, una immutazione della fattispecie sottoposta al suo esame, essendo precluso al giudicante il potere amministrativo tributario sostanziale spettante all’amministrazione finanziaria (expresse, sul punto, Cass. 11/03/2010, n. 5929; Cass. 22/02/2002, n. 2531).

7. L’accoglimento del ricorso per le illustrate considerazioni assorbe il vaglio degli ulteriori motivi di doglianza.

Va quindi disposta la cassazione della sentenza gravata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui è rimesso il giudizio sulla controversa pretesa impositiva, nei termini e secondo i canoni innanzi descritti.

8. Al giudice del rinvio è anche demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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