Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.503 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8681/2015 proposto da:

Agenzia Delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dalli avvocato Lombardi Marco;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 243/2014 della COMM.TRIB.REG.MOLISE, depositata il 27/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2021 dal consigliere Dott. MAISANO GIULIO.

RILEVATO

che:

con sentenza n. 243/1/14 pubblicata il 27 ottobre 2014 la Commissione tributaria regionale del Molise ha accolto l’appello proposto da C.G. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Isernia n. 19/1/13 con la quale era stato accolto solo parzialmente il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento n. ***** emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate e con il quale era stata rettificata la dichiarazione dei redditi per l’anno 2008 determinando maggiori ricavi per Euro 211.118,00 e costi non inerenti per Euro 5.296,00 cui scaturiva una maggiore IRPEF per Euro 89.824,00, una maggiore IVA per Euro 21.456,00 oltre addizionali regionali e comunali e sanzioni per Euro 134.736,00;

che la Commissione tributaria regionale ha considerato che l’abbattimento dei ricavi accertati nella misura del 40% statuito dal giudice di primo grado era privo di motivazione, mentre l’amministrazione, nel determinare i redditi in contestazione, aveva illegittimamente applicato percentuali di ricarico relative ad anni precedenti a quello oggetto di accertamento; inoltre la medesima amministrazione aveva utilizzato illegittimamente i modelli sintetico-induttivo e analitico-induttivo previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 non considerando i motivi di contestazione del contribuente; in particolare non sono emerse gravi inadempienze o violazioni nella dichiarazione dei redditi in questione, mentre i presunti ricavi non contabilizzati sono ottenuti con un calcolo meramente empirico basato su mere ipotesi dell’amministrazione; nello specifico il contribuente aveva ampiamente dimostrato la quantità di prodotto confezionato con la quantità di farina acquistata, mentre la quantità ipotizzata dall’Ufficio era concretamente irrealizzabile per dimensioni dell’azienda e numero di ore lavorative a disposizione, e inoltre non era stata affatto considerata la percentuale di sfrido in relazione ad alcuni prodotti;

che l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi;

che C.G. resiste con controricorso.

Considerato che con il primo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; in particolare si deduce che erroneamente non erano state considerate oggettive incongruenze nella dichiarazione dei redditi in contestazione, quale l’errata indicazione dell’attività effettivamente esercitata, la rilevante incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli calcolati dallo studio di settore corrispondente all’effettiva attività esercitata, la non congruità e non coerenza dei ricavi dichiarati anche rispetto a quelli previsti dallo studio di settore utilizzato dalla parte, gli acquisti costantemente di importo superiore alle vendite con conseguente condotta antieconomica, irregolarità contabili e violazione di obblighi di legge;

che con il secondo motivo si assume violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento all’assolvimento dell’onere della prova da parte del contribuente e non considerato dal giudice dell’appello che ha affermato che i ricavi non contabilizzati sono basati su mere ipotesi soggettive da parte dell’Ufficio;

che i due motivi possono essere esaminati congiuntamente riferendosi entrambi alla valutazione degli elementi forniti dal contribuente per giustificare la congruità dei ricavi dichiarati;

che i motivi sono inammissibili riferendosi alla valutazione di elementi di fatto riservata al giudice del merito; nel caso in esame, in particolare, la Commissione tributaria regionale ha dettagliatamente motivato tale valutazione facendo riferimento alla merce acquistata (prosciutto, baccalà, caffe’, birra) ed al suo utilizzo descrivendo dettagliatamente i vari tipi di utilizzo della merce stessa e pervenendo, con considerazioni assolutamente logiche, ad un risultato concreto di possibili ricavi diverso da quello a cui è pervenuto l’Ufficio sulla base di criteri meramente astratti ed ipotetici;

che l’elemento dell’antieconomicità, pur essendo rilevante e non considerato dal giudice dell’appello, non può di per sé solo assurgere a circostanze determinante, per cui il giudice del merito ne può legittimamente omettere la considerazione, soprattutto se riferita ad un unico anno, come nel caso in esame, in presenza di numerosi altri elementi concreti logicamente considerati;

che le spese di giudizio, liquidate in dispositivo seguono la soccombenza e vengono distratte in favore dell’avv. Marco Lombardi che ne ha fatto richiesta;

che non sussistono i presupposti per il versamento, a carico della soccombente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1-bis in quanto tale versamento non può aver luogo per quelle parti, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile; Condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 7.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, il 15% per rimborso spese forfettarie, IVA e CAP da distrarsi in favore dell’avv. Marco Lombardi.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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