Nell’actio negatoria servitutis, la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, sicché la parte che agisce in negatoria ha l’onere di provare, con ogni mezzo, anche con presunzioni, di possedere il fondo in forza di un valido titolo di acquisto.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14400-2021 proposto da:
S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 101, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO SCELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANNI PARIS;
– ricorrente –
contro
IMACO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCANGELI GIOVANNI;
– controricorrente –
e contro
GOLDENGAS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato TONINO FALLERONI;
– controricorrente –
contro
GRILLINI COSTRUZIONI SRL, S.G., S.M.A., ANAS SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 395/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 15/03/2021;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 14/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE GRASSO.
considerato che il Collegio condivide i rilievi di cui appresso, formulati dal relatore in seno alla proposta:
“- S.M. e altri citarono in giudizio in “negatoria servitutis” la s.r.l. GoldenGas e in corso di causa, su richiesta della convenuta, vennero chiamati la s.r.l. Grillini Costruzioni (successivamente Imaco s.p.a.) e l’A.N.A.S. s.p.a.;
– Il Tribunale rigettò la domanda e la Corte d’appello di L’Aquila rigettò l’impugnazione avanzata da S.M. sulla base della preclusiva “ratio decidendi” seguente: gli attori si erano affermati proprietari dei terreni oggetto della domanda e i convenuti avevano negato di aver occupato i predetti fondi; i primi, davanti all’avversa contestazione avrebbero dovuto dimostrare il loro diritto di proprietà, producendo il titolo o in via presuntiva e tale onere non avevano assolto, limitandosi a produrre le sole planimetrie catastali;
– S.M. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di due motivi.
OSSERVA Con i due motivi, tra loro osmotici, il ricorrente denuncia “errata interpretazione e valutane” dell’art. 949 c.c., “vizi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione”.
Assume il ricorrente che la Corte di merito non aveva considerato che solo nell’azione di rivendicazione l’attore è tenuto a dare piena prova del suo diritto, ben diversamente nel caso di “negatoria servitutis”. Inoltre, la statuizione appariva illogica per non avere razionalmente selezionato le evidenze di causa, fra le quali la intestazione catastale e le stesse valutazioni del c.t.u..
(Entrambe le intimate (alla Grillini Costruzioni s.r.l. è subentrata la Imaco s.p.a.) resistono con distinti controricorsi ed entrambe hanno depositato memorie).
Il complesso censuratorio risulta palesemente infondato.
Costituisce principio fermo quello secondo il quale “Nell’actio negatoria servitutis, la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, sicché la parte che agisce in negatoria ha l’onere di provare, con ogni mezzo, anche con presunzioni, di possedere il fondo in forza di un valido titolo di acquisto. (Cassazione civile sez. II, 15/10/ 2014, n. 21851; Cass. 23-1-2007 n. 1409; Cass. 27-12-2004 n. 24028; Cass. 26-5-2004 n. 10149; Cass. 22-3-2001 n. 4120)” (Seti.2, n. 18028, 4/ 7 / 2019)”: Una tale prova, attenuata, rispetto a quella cd. diabolica richiesta al rivendicante, tuttavia, deve essere data, proprio al fine sopra indicato di legittimare l’azione. Nel caso di specie, una tale prova assumeva uno spessore addirittura più pregnante, in quanto i convenuti avevano contestato l’invasione, pur provvisoria, della proprietà aliena, essendosi i lavori svolti nell’ambito della proprietà viaria dell’A.N.A.S..
La Corte di merito ha reputato che la sola produzione delle planimetrie catastale non fosse dimostrativa della titolarità. Trattasi di un giudizio afferente alla selezione delle inferenze probatorie di tipo presuntivo in questa sede non censurabile (solo a riguardo del regolamento dei confini la legge assegna alle planimetrie catastali una specifica valenza probatoria, sia pure residuale – art. 950 c.c.).
La giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/ 5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232 del 2016). A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo aprimi, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto. Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S. U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
E’ evidente che qui non si versa qui in alcuna delle ipotesi residuali di cui sopra: l’argomento utilizzato dal giudice è puntualmente ripercorribile, collegato al caso esaminato e alle risultante di causa.
Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti””.
Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore dei controricorrenti siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate. A riguardo va specificato che il Collegio non assegna alla “memoria” della GoldenGas il valore dell’atto difensivo dichiarato, trattandosi di una mera formale richiesta di reiezione del ricorso, priva di qualunque supporto argomentativo (cfr., sia pure a riguardo del controricorso – ma il ragionamento non muta – Cass. n. 12171 del 2009 ed ivi richiamo a Cass. n. 5400 del 2006; cfr. anche Cass. n. 6222 del 2012 e Cass. n. 3421 del 1997).
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di GoldenGas s.r.l. e di Imaco s.p.a., che liquida, per la prima, in Euro 4.000,00 e, per la seconda, in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, e agli esborsi, liquidati in Euro 200,00.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022