LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1935/2016 proposto da:
Autostrade Per L’italia Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Della Scrofa 57 presso lo studio dell’avvocato Russo Corvace Giuseppe che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Pizzonia Giuseppe;
– ricorrente –
contro
Provincia di Teramo, elettivamente domiciliato in Roma Via Dora 1 presso lo studio dell’avvocato Cerulli Irelli Vincenzo che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Zecchino Antonio;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 747/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 10/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. MONDINI ANTONIO;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE TOMMASO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DELLA CAUSA 1. La Società Autostrade per l’Italia (di seguito, la società) ha proposto ricorso con quattro motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello dell’Aquila, in epigrafe indicata. La Provincia di Teramo ha replicato con controricorso.
Per quanto ancora di interesse, la controversia concerne la debenza, per l’anno 2008, del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (cosap) preteso dalla Provincia con avviso di accertamento notificato alla società, concessionaria, da parte dell’ANAS, della costruzione e della gestione dell’autostrada *****, con riferimento agli attraversamenti operati mediante “pontoni autostradali” per proiezione su strade provinciali sottostanti.
La Corte di appello dell’Aquila ha affermato che il cosap era dovuto dalla società nella qualità di utilizzatrice abusiva del suolo provinciale, ipotesi espressamente prevista dal regolamento cosap della Provincia di Teramo.
Ha escluso la ricorrenza del presupposto per l’applicazione dell’esenzione stabilita a favore dello Stato dall’art. 30 del medesimo regolamento, rimarcando che la società gestiva l’infrastruttura attraverso la quale si realizzava l’occupazione in forza di concessione-contratto con l’ANAS e non con lo Stato; la Corte di appello ha affermato che la società aveva eccepito ma non aveva dimostrato l’appartenenza dell’autostrada allo Stato ed ha aggiunto che il canone era state rettamente commisurato alla proiezione del pontone autostradale sulla sottostante strada provinciale.
2. Con il primo motivo di ricorso viene lamentata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, comma 1, e dell’art. 30 del regolamento Cosap della Provincia di Teramo. Secondo la ricorrente l’autostrada e i pontoni di cui trattasi sono stati realizzati su decisione dello Stato nell’ambito del relativo potere generale di pianificazione delle infrastrutture nazionali di trasporto. Lo spazio per cui la Provincia pretende il Cosap sarebbe stato quindi sottratto alla Provincia stessa per effetto di tale decisione. Essa ricorrente aveva realizzato e gestiva l’infrastruttura de qua in forza di concessione-contratto stipulata nel 1968 con l’Anas, allora “azienda autonoma interna allo Stato” Dacché, in base al citato D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63 e art. 30 reg., l’infondatezza della pretesa.
3. Con il secondo motivo viene lamentata la violazione o falsa applicazione dell’art. 822 c.c. e del D.Lgs. n. 461 del 1999, art. 1 nonché degli artt. 115 e 132 c.p.c.. La ricorrente ribadisce che l’occupazione è stata effettuata dallo Stato e che nessuna prova occorrerebbe al riguardo trattandosi di circostanza non solo non contestata da parte della Provincia, e quindi da assumersi per certa ex art. 115 c.p.c., ma direttamente stabilita dalla legge ed in particolare dall’art. 822 c.c. (il cui comma 2 prevede che “Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade…”) e dal D.Lgs. n. 461 del 1999, art. 1 (“Individuazione della rete autostradale e stradale nazionale, a norma del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 98, comma 2”). La sentenza impugnata sarebbe errata, in violazione delle norme anzidette, perché la società è concessionaria dello Stato, proprietario dell’autostrada e dei pontoni. Sostiene inoltre la ricorrente che contraddittoriamente la Corte di appello in un primo momento avrebbe riconosciuto la proprietà dell’autostrada e dei pontoni in capo allo Stato per poi smentirsi affermando che non ve ne era prova in considerazione del fatto che la società aveva ottenuto la gestione della stessa dall’ANAS (e non dallo Stato).
4. Con il terzo motivo di ricorso viene lamentata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, comma 1, e artt. 1 e 2 del regolamento Cosap della Provincia di Teramo. Deduce la ricorrente che al contrario di quanto affermato dalla Corte di appello, l’occupazione di che trattasi non sarebbe “abusiva” essendo invece fondata sulla convezione stipulata con ANAS e per essa con lo Stato. Sostiene che il Cosap ha quale presupposto logico, ancor prima che giuridico, un provvedimento concessorio emanato dall’Ente a favore della società. Provvedimento concessorio nel caso di specie insussistente proprio perché essa ricorrente gestiva, quale concessionaria dello Stato, per la costruzione e gestione dell’infrastruttura autostradale, un bene del demanio dello Stato e non un bene del demanio provinciale.
5. Con il quarto motivo di ricorso viene denunciata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 1, e degli artt. 2, 12, 29 e 49 del regolamento cosap della Provincia di Teramo. La ricorrente, in riferimento alla affermazione della Corte di appello, secondo cui il cosap era stato correttamente quantificato “tenendo conto della proiezione del ponte autostradale sulla strada provinciale”, sostiene che la sentenza impugnata contrasta con i suddetti articoli in quanto l’effettiva sottrazione di suolo pubblico è il presupposto e il parametro per l’applicazione del contributo e la suddetta proiezione non implica sottrazione alcuna.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono infondati.
1.1. Su fattispecie in tutto analoga a quella che occupai questa Corte è di recente intervenuta con sentenza n. 16395/2021, le cui argomentazioni e le cui conclusioni sono da questo Collegio condivise.
1.2. Il quadro normativo di riferimento è il seguente.
Il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 38 in tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, stabiliva che “1. Sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province. 2. Sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande, bow-windows e simili infissi di carattere stabile, nonché le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa”. L’art. 39 del medesimo D.Lgs. prevedeva che “1. La tassa è dovuta al comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio”. Il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ha istituito il COSAP ed ha previsto all’art. 63, comma 1, come modificato dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, che: “i comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo 2 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507. I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggetta in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa (…)”.
Quest’ultimo articolo ha attribuito, dunque, a comuni e province la facoltà di escludere, nell’ambito dei rispettivi territori, l’applicazione della tosap e di prevedere e disciplinare con specifico regolamento che – in sostituzione di detta tassa – l’occupazione di spazi ed aree pubbliche sia soggetta al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa cosap.
La tosap ed il cosap “hanno natura e presupposti impositivi differenti in quanto la prima è un tributo, che trova la propria giustificazione nell’espressione di capacità contributiva rappresentata dal godimento di tipo esclusivo o speciale di spazi ed aree altrimenti compresi nel sistema di viabilità pubblica, mentre il secondo costituisce il corrispettivo di una concessione, reale o presunta, per l’occupazione di suolo pubblico, con la conseguenza che la legittima pretesa del canone da parte dell’ente locale non è circoscritta alle stesse ipotesi per le quali poteva essere pretesa la tassa, ma richiede la sola sussistenza del presupposto individuato dalla legge nella occupazione di suolo pubblico” (Cass. 16395/2021 sul richiamo a Cass. n. 24541/2019 e a Cass. Sez. U n. 12167/2003).
“Il cosap, pertanto, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne trae il singolo; il presupposto applicativo del cosap è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico” (Cass. 16395/2021; Cass. n. 17296 del 27/06/2019; Cass. n. 18037 del 06/08/2009; Cass. n. 3710 dell’8/02/2019; Cass. n. 10733 del 04/05/2018; Cass. n. 1435 del 19/01/2018; in motivazione, Cass. n. 9240 del 20/05/2020).
1.3. Il soggetto obbligato a corrispondere il cosap è chi pone in essere l'”occupazione”, titolata su atto di concessione o abusiva (Cass. 12167/2003; v. anche artt. 1 e 2 reg. cosap provincia Teramo riprodotto nella sentenza impugnata), degli spazi e delle aree del demanio.
Questa Corte, con pronuncia n. 28341/2019, ha affermato il principio per il quale “In tema di TOSAP, il presupposto impositivo è costituito, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 38 e 39 dalle occupazioni, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti e sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni e delle Province, che comporti un’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico, essendo in proposito irrilevanti gli atti di concessione o di autorizzazione relativi all’occupazione, salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 del cit. decreto”.
In applicazione del principio così affermato, la Corte ha ravvisato la sussistenza del presupposto dell’occupazione nella detenzione di viadotti autostradali “in quanto (questi) impediscono l’utilizzazione edificatoria del fondo sottostante nonché l’utilizzo agricolo riferito a determinate colture, e costituiscono un impianto ai fini del D.Lgs. n. 507 cit., art. 38, comma 2, essendo formati da una costruzione completata da strutture – quali gli impianti segnaletici e di illuminazione – che ne aumentano l’utilità”.
Alla luce del quadro normativo, la superiore affermazione di principio può essere estesa anche al cosap.
E così pure la specifica applicazione per i viadotti stradali, in conformità a quanto disposto dal D.Lgs. n. 466 del 1997, art. 63, comma 1, e artt. 25 e 29 del reg. cosap della Provincia di Teramo (v. p.11 della sentenza impugnata).
2. Il cosap non è dovuto per l’occupazione ascrivibile al soggetto esente. Ai sensi dell’art. 30 del citato reg. cosap, “sono esenti le occupazioni effettuate dalla Stato, dalle regioni, province, comuni e loro consorzi”.
Occorre che l’occupazione sia direttamente ascrivibile ad uno di questi enti: l’esenzione non opera ove l’occupazione sia invece ascrivibile ad una società concessionaria per la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica “in quanto è detta società ad eseguire la costruzione dell’opera e la sua gestione economica e funzionale, a nulla rilevando che l’opera sia di proprietà dello Stato, al quale ritornerà la gestione al termine della concessione” (Cass. 16395/2021 sul richiamo a Cass. n. 11886 del 12/05/2017; Cass. n. 19693 del 25/07/2018; Cass. n. 28341 del 05/11/2019).
4. Posto quanto sopra, in relazione alla fattispecie in esame, l’attività di gestione economica e funzionale del pontone autostradale da parte dalla ricorrente, integra, come correttamente detto dalla Corte di appello, un'”occupazione abusiva” dello spazio sovrastante alla strada provinciale.
Si tratta infatti di occupazione realizzata dalla società ricorrente in forza di concessione dell’ANAS e in assenza del titolo concessorio rilasciato dalla provincia di Teramo.
5. Dacché l’infondatezza delle denunce formulate con i primi tre motivi di ricorso, di violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 1, e delle norme – segnatamente quella dell’art. 30 – del regolamento cosap della Provincia di Teramo.
6. E poi del tutto fuori luogo il riferimento, fatto con il secondo motivo di ricorso, alla asserita appartenenza dell’autostrada al demanio statale ex art. 822 c.c. ed è altresì marginale e privo di decisività indagare la effettiva proprietà dell’infrastruttura autostradale e del pontone che occupa, per proiezione, la strada provinciale sottostante: la dedotta proprietà statale dell’autostrada e così del viadotto non interferisce con la circostanza – integrativa del presupposto di applicazione del cosap da parte della provincia di Teramo – per cui, nel periodo di durata della concessione, la società disponeva del viadotto, per la relativa gestione quale concessionaria, ed in tal modo essa realizzava la condotta di “occupazione” del sottostante suolo provinciale.
La Corte di appello ha esposto i principi e gli elementi di fatto in ragione dei quali ha escluso la spettanza dell’esenzione richiesta dalla società in ragione della assunta proprietà statale dell’infrastruttura e ha rimarcato che la società non aveva dato prova di questo assunto: quest’ulteriore argomento a sostegno del rigetto dell’appello proposto dalla società, è evidentemente privo di contraddittorietà e non incide sul nucleo decisionale rettamente espresso dalla Corte di appello, fondato non già sulla proprietà dell’infrastruttura autostradale, ma sulla condotta occupativa abusiva realizzata dalla società concessionaria attraverso lo svolgimento della propria attività d’impresa mediante l’uso dell’infrastruttura sovrastante lo spazio provinciale occupato.
7. In conclusione, il ricorso va rigettato.
8. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo, in favore della Provincia di Teramo.
9.Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della Provincia di Teramo, liquidate in Euro 2000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge; dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022