Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.511 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19945/2018 proposto da:

Comune Campobasso, elettivamente domiciliato in Campobasso Via Chiarizia 11 presso lo studio dell’avvocato Menna Rita che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Pubbligreen Srl;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1560/2017 della COMM.TRIB.REG., MOUSE, depositata il 18/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. CIRESE MARINA.

RITENUTO

CHE:

la Pubbligreen s.r.l. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento relativo all’imposta comunale sulla pubblicità 2009 emesso e notificato in data 18.9.2014 dal Comune di Campobasso per l’omesso parziale versamento dell’imposta dovuta per gli impianti dichiarati per un importo di Euro 1841,24.

Deduceva l’illegittimità e l’infondatezza della pretesa tributaria in quanto a suo dire la società avrebbe provveduto a dichiarare gli impianti pubblicitari per il 2009 e pagato il primo semestre e avrebbe successivamente rimosso i propri impianti il 9 aprile 2009 su espressa diffida del Comune. Di qui anche l’ulteriore richiesta di restituzione dell’imposta asseritamente versata in eccesso per il periodo dal 10 aprile 2009 al 30 giugno 2009.

Proposto ricorso da parte della contribuente, la CTP di Campobasso accoglieva il ricorso condannando l’ente a restituire la differenza ed a pagare le spese di giudizio.

Proposto appello da parte del Comune, la CTR del Molise con sentenza in data 18.12.2017 rigettava il gravame reputando che l’obbligo di corrispondere l’imposta per tutto l’anno solare “.. si riferisce all’ipotesi in cui la cessazione del servizio di pubblicità sia l’effetto di una libera ed autonoma scelta da parte del concessionario e non anche quando (come nel caso in esame) discenda da una decisione unilaterale del concedente”.

Avverso detta pronuncia il Comune di Campobasso proponeva ricorso per cassazione articolato in due motivi.

Parte intimata non si costituiva.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 8, 9 e 12 (art. 360 c.p.c., n. 3)” parte ricorrente deduceva che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, l’imposta sulla pubblicità si sconta ad anno solare senza possibilità di frazionamento se non nel caso in cui la pubblicità non superi i tre mesi sicché nella specie poiché la rimozione è avvenuta in data 9 aprile 2009 e la contribuente non ha presentato denuncia di cessazione entro il 31 gennaio 2009 l’imposta è dovuta per l’intero anno. Deduceva inoltre che la CTR ha operato una distinzione del tutto assente nella disciplina tra l’ipotesi in cui la cessazione derivi da libera iniziativa del concessionario e quella che invece dipenda da un’iniziativa unilaterale del concedente.

2. Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 ss., dell’art. 96 c.p.c. e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 (art. 360 c.p.c., n. 3)” parte ricorrente deduceva l’illegittimità della pronuncia impugnata laddove condanna il Comune ex art. 96 c.p.c. oltre che al pagamento del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002.

Il primo motivo è fondato.

Va premesso che l’Imposta comunale sulla Pubblicità è stata istituita con il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e colpisce la capacità contributiva espressa dalla spesa sostenuta per l’esposizione pubblicitaria. Il presupposto di applicazione dell’imposta è la diffusione di messaggi pubblicitari attraverso mezzi di comunicazione visivi ed acustici, effettuata in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepita. Il Soggetto attivo è rappresentato dal comune sul cui territorio vengono esposte le varie tipologie di pubblicità. Il Soggetto passivo, è rappresentato da chi dispone del mezzo attraverso cui il messaggio pubblicitario è diffuso. Il soggetto passivo è tenuto presentare apposita dichiarazione dei mezzi pubblicitari che dovrà esporre, indicandone le caratteristiche, la durata e l’ubicazione. Tale dichiarazione avrà valore anche per gli anni successivi, purché non si verifichino modificazione da cui possa derivare un diverso ammontare dell’imposta dovuta da presentarsi entro il 31 gennaio dell’anno di riferimento.

Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 3, in particolare dispone che:” La dichiarazione della pubblicità annuale ha effetto anche per gli anni successivi, purché non si verifichino modificazioni degli elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta; tale pubblicità si intende prorogata con il pagamento della relativa imposta effettuato entro il 31 gennaio dell’anno di riferimento, sempre che non venga presentata denuncia di cessazione entro il medesimo termine.

Nella specie non è contestato che la contribuente, dopo aver provveduto a dichiarare i mezzi pubblicitari, non ha poi presentato alcun dichiarazione di cessazione della sua attività a seguito della rimozione dei cartelli pubblicitari avvenuta in data 9 aprile 2009.

Inoltre, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, tenendo conto del dato letterale nonché della ratio della norma de qua che, individuato il presupposto impositivo descrive puntualmente gli incombenti a carico del contribuente, non è desumibile una distinzione tra la cessazione di attività dipendente da libera iniziativa o da iniziativa unilaterale del contribuente.

Il secondo motivo è assorbito.

In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata e, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., va rigettato l’originario ricorso del contribuente.

Le spese relative ai giudizi di merito vanno compensate in ragione dell’evolversi della vicenda processuale.

Le spese relative al giudizio di legittimità secondo il principio della soccombenza vanno poste a carico del contribuente.

PQM

La Corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente.

Compensa le spese relative ai giudizi di merito.

Condanna il contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1600,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, effettuata da remoto, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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