Ricorso per cassazione, requisiti dell'atto, argomentazioni essenziali in fatto e in diritto, principio di autosufficienza

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.5137 del 16/02/2022

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Ricorso per cassazione, requisiti dell'atto, argomentazioni essenziali in fatto e in diritto, principio di autosufficienza

Per soddisfare il requisito imposto da tale disposizione di legge processuale, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente (sia pure non analitica o particolareggiata) dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda il provvedimento giudiziale impugnato e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito; il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni del provvedimento impugnato (decreto, ordinanza ovvero sentenza), senza la necessità di accedere ad altre fonti e atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa

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Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.5137 del 16/02/2022

(Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente, Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere) –

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto emesso il 3 giugno 2016 il Tribunale di Milano rigettò le opposizioni allo stato passivo formato (in applicazione dell’art. 30 c.c., art. 1620 disp. att. c.c., L.Fall., art. 209, relativi alla formazione del passivo nel procedimento di liquidazione generale del patrimonio delle associazioni riconosciute come persone giuridiche) dai liquidatori del Fondo Pensioni per il Personale della Banca Commerciale Italiana in liquidazione (di seguito indicato come “Fondo”) rispettivamente proposte, con un unico atto, da A.R., + ALTRI OMESSI, che avevano chiesto di partecipare alla liquidazione del fondo “nella misura già oggetto delle istanze L.Fall., ex art. 208 allegate al ricorso come doc. 1”.

2. Al procedimento camerale definito con tale decreto parteciparono il Fondo (che chiese il rigetto delle opposizioni) e, in adesione alle sue ragioni, An.Re., + ALTRI OMESSI.

3. Le parti soccombenti (le sopra indicate ventisei persone attrici in opposizione) chiedono la cassazione di tale decreto, con ricorso contenente otto motivi di impugnazione, assistiti da memoria.

4. Il Fondo resiste con controricorso, assistito da memoria.

5. Anche le tredici persone sopra indicate, intervenute in adesione alla posizione del Fondo nel giudizio di opposizione definito con il decreto impugnato, resistono con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Fondo deduce l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), non risultando nelle premesse di tale atto neppure sommariamente indicate: le ragioni del domandare di ciascun ricorrente e la precisazione della misura dei rispettivi crediti con ciascuna opposizione fatti valere; le ragioni addotte dal Fondo a sostegno del sollecitato rigetto delle opposizioni.

Inoltre, sempre secondo il Fondo, la parte del ricorso intitolata “Fatti” contiene solo “una lacunosa e parziale narrazione delle vicende storiche del Fondo”, senza alcuna indicazione “sui fatti sostanziali e processuali dell’opposizione”.

2. Premesso che la dedotta inammissibilità è rilevabile d’ufficio, la sollecitazione sul punto formulata dal Fondo coglie nel segno, alla luce del contenuto della parte del ricorso dedicata ai diritti da ciascun ricorrente fatti valere nel giudizio di merito e alle ragioni addotte dal Fondo per opporsi alle domande su tali dedotti diritti.

La parte del ricorso intitolata “Svolgimento del processo” (pagg. 3 e 4) collocata prima della enunciazione dei motivi – si sostanzia nella trascrizione di parte delle prime due pagine del decreto impugnato, dal cui contenuto si apprende che: il ricorso in opposizione venne proposto da ” Ac.Vi. più altri 669, tutti ex dipendenti della Banca Commerciale Italiana” (gli odierni ricorrenti fra questi) che chiesero di partecipare alla liquidazione del Fondo “nella misura già oggetto delle istanze L.Fall., ex art. 208 allegate al ricorso come doc. 1”; il Fondo chiese il rigetto delle opposizioni; intervennero in adesione alle ragioni del Fondo le persone oggi controricorrenti per le ragioni nel decreto indicate; le ventisei persone oggi ricorrenti, introdussero una domanda, subordinata, “fondata sulla ritenuta vincolatività dell’accordo Anpec/UNP del 12 luglio 2010”, chiarendo che tale domanda subordinata “era funzionale a coltivare una trattativa volta ad una composizione amichevole della vertenza”; per tale ragione la causa relativa alle domande degli odierni ricorrenti venne separata da quella contenente le altre domande cumulate, con conseguente attribuzione di nuovo numero di ruolo alla causa separata; tale causa “e’ quella introdotta a novembre 2013 ed è perciò soggetta alle norme processuali vigenti a quella data”.

Nella parte del ricorso – del pari collocata prima della enunciazione dei motivi denominata “Fatti” (pagg. 4, 5 e 6): sono descritte le vicende relative alla vita del Fondo e da una (riprodotta) affermazione del decreto impugnato si asserisce che nessuna “modifica dello statuto venne comunque deliberata dal consiglio di amministrazione del Fondo” e che, pertanto lo statuto del Fondo rimase “quello approvato dalla Covip il 20 dicembre ed al suo interno rimase intatto l’art. 27” (il cui testo è riprodotto in nota alla pag. 5), “come riconosciuto dalla stessa difesa del Fondo”; si afferma altresì che il decreto impugnato, “in contrasto con le stesse difese del Fondo, ha inaspettatamente ravvisato una “abrogazione” dell’art. 27 dello statuto da parte dell’accordo sindacale del 10 dicembre 2004" (il cui contenuto è sinteticamente descritto) e si è asserito che per abrogare detta clausola statutaria “non vi fosse alcuna necessità di una deliberazione degli organi del Fondo, e neppure di un’approvazione da parte della Covid”.

Dal solo esame dei sopra riassunti contenuti si desume con chiarezza che la causa coinvolta dalle opposizioni dei ricorrenti era oggettivamente complessa, in fatto e in diritto.

Orbene, dal riassunto dei fatti rilevanti nel giudizio di merito contenuto nel ricorso si apprende solo che: i ricorrenti sono ex dipendenti della Banca Commerciale Italiana, come tali già iscritti al Fondo (non è dato sapere quando iniziò il rapporto di lavoro di ciascuno, quando e per quale ragione tale rapporto terminò); le loro domande sono contenute nel documento n. 1 allegato al ricorso in opposizione (neppure in parte riprodotto nel ricorso) ed erano fondate sul contenuto dell’art. 27 dello statuto del Fondo (nel ricorso trascritto), a loro avviso ancora efficace nonostante l’accordo sindacale del 10 dicembre 2004 con cui venne decisa la liquidazione dell’intero patrimonio del Fondo.

Il ricorso si caratterizza dunque per l’assenza di qualunque indicazione relativa: alle ragioni specifiche, in fatto e in diritto, da ciascun ricorrente dedotte nel giudizio di unico grado di merito (dal decreto impugnato definito) a sostegno delle proprie domande di ammissione al passivo del Fondo (sembra solo fondate su interpretazione di clausola statutaria dai contenuti affatto complessi); alla misura del credito che ciascuno affermò sussistere e alle modalità della sua determinazione; alle ragioni specifiche, in fatto e in diritto, sviluppate dal Fondo (si comprende solo che il Fondo non avrebbe mai dedotto nel giudizio di merito l’avvenuta abrogazione della citata clausola statutaria) e dagli intervenuti per contrastare le domande rispettivamente proposte da ciascun opponente con l’unico atto di opposizione.

Orbene, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), prescrive che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa.

La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che per soddisfare il requisito imposto da tale disposizione di legge processuale, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente (sia pure non analitica o particolareggiata) dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda il provvedimento giudiziale impugnato e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito; il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni del provvedimento impugnato (decreto, ordinanza ovvero sentenza), senza la necessità di accedere ad altre fonti e atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (in questo senso, cfr., fra le molte: Cass. n. 5640 del 2018; Cass. n. 19018 del 2017; Cass. n. 1926 del 2015; Cass. n. 7825 del 2006).

La prescrizione in discorso risponde non a un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa (sostanziali e processuali) che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (cfr. Cass. S.U. n. 2602 del 2003).

Tenuti presenti tali ordini di concetti, il ricorso è dunque inammissibile per le, sopra evidenziate, quanto mai gravi lacune, in fatto e in diritto, caratterizzanti l’esposizione dei fatti (sostanziali e processuali) alla base delle ragioni fondanti le difese rispettive di ciascun ricorrente, del Fondo e delle persone intervenute nel giudizio definito con il decreto impugnato.

La conseguenza di tale accertamento è che i ricorrenti debbono essere condannati a rimborsare, col vincolo della solidarietà passiva, alle parti vittoriose le spese del presente giudizio, nelle misure rispettivamente liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare, col vincolo della solidarietà passiva, le spese del presente giudizio rispettivamente anticipate dalle altre parti, liquidate: a) in favore del Fondo Pensioni per il Personale della Banca Commerciale Italiana in liquidazione, in Euro 200 per esborsi e in Euro 12.000 per compenso di avvocato, oltre spese forfetarie pari al 15% di tale compenso, I.V.A. e c.p.A. come per legge; b) in favore degli atri controricorrenti, in Euro 200 per esborsi e in Euro 10.000 per compenso di avvocato, oltre spese forfetarie pari al 15% di tale compenso, I.V.A. e c.p.A. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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