LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29406-2020 proposto da:
K.M.J., ved. B., quale coerede del Sig. B.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 77, presso lo studio dell’avvocato LUCIO LAURITA LONGO, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO ROMEO;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO GATTO;
– controricorrente –
contro
B.R.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 857/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 24/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO BERTUZZI.
RILEVATO
che:
K.M.J. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 857 del 24.4.2020 della Corte di appello di Firenze che, quale giudice del rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 10619 del 2017, aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta da B.F., cui era succeduta quale erede, avverso le delibere dell’assemblea del condominio di ***** del 4 aprile e 30 maggio 2000, disattendendo l’eccezione di intervenuta cessazione della materia del contendere sollevata dalla odierna ricorrente, che aveva invocato l’esistenza in un negozio di transazione della lite formalizzato dalle parti in sede di assemblea condominiale del 5.5.2001;
il condominio di ***** ha notificato controricorso; le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO
che:
la Corte di appello ha motivato la propria decisione, da un lato, escludendo che la Delib. assembleare 5 maggio 2001 ed il relativo verbale integrassero un negozio di transazione, atteso che l’assemblea si era limitata a dare mandato all’amministratore di incaricare il legale del condominio ad attivarsi per giungere ad una soluzione delle liti, incarico che poi non aveva avuto seguito, ed attesa altresì l’indeterminatezza del suo oggetto, che faceva riferimento, senza altre precisazioni, alle ” cause attualmente pendenti ” tra le parti; dall’altro lato, affermando che la eventuale transazione sarebbe comunque nulla, per non essere stata la relativa Delib. condominiale approvata dalla totalità dei condomini;
il primo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 1321,1326 e 1965 c.c., censurando l’affermazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che il verbale assembleare del 5.5.2001 integrasse una transazione, nonché l’ulteriore motivazione secondo cui “in ogni caso la eventuale transazione sarebbe stata nulla avendo ad oggetto beni comuni e non essendo stata, l’assemblea che aveva votato all’unanimità, rappresentativa della totalità dei condomini la censura che investe l’affermazione della sentenza impugnata di nullità della transazione per non essere stata la relativa Delib. condominiale approvata dalla totalità dei condomini, oltre che inammissibile perché non sostenuta dalla indicazione delle norme di legge che sarebbero state violate, come invece prescrive l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, è infondata, avendo la Corte distrettuale precisato sul punto tale necessità in ragione del fatto che le delibere impugnate avevano ad oggetto beni comuni a tutti i condomini, disponendo esse a carico del B. la rimozione di cose e strutture da questi collocate sul tetto dello stabile condominiale;
per giurisprudenza di questa Corte, le transazioni stipulate dai condomini che abbiano oggetto rapporti relativi a beni comuni richiedono, ai sensi dell’art. 1108, comma 3, il consenso di tutti i partecipanti al condominio (Cass. n. 821 del 2014; Cass. n. 4258 del 2006);
privo di pregio è l’argomento svolto nel ricorso, illustrato successivamente in memoria, secondo cui le impugnative proposte dal B. erano fondate sulla violazione delle norme relative alla regolare tenuta dell’assemblea condominiale, atteso che, al di là dei motivi di impugnativa, l’oggetto della lite era comunque costituito dalla validità delle delibere impugnate e quindi dalla disposizioni che esse avevano dato sui beni di proprietà comune;
merita di essere disatteso anche l’ulteriore argomento secondo cui la qualificazione dell’oggetto della eventuale transazione accolta dalla Corte di appello sarebbe in contrasto con la sentenza della Corte di Cassazione n. 4338 del 2013, emessa nel corso di altro giudizio tra le parti, che aveva classificato l’azione intrapresa dal condominio nell’ambito degli ” atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio “, in quanto, premesso che questa Corte aveva impiegato tale formula al fine di risolvere la questione sollevata dal B. circa la legittimazione attiva dell’amministratore, richiamando l’art. 1130 c.c., l’espressione usata non è affatto in contraddizione con la qualificazione attribuita dalla Corte distrettuale, ma semmai ne conferma la validità;
l’affermazione della sentenza sopra riportata costituisce una autonoma ratio decidendi, idonea a sorreggere, da sola, la conclusione accolta, con la conseguenza che non è necessario esaminare anche la censura relativa al mancata sussistenza della transazione;
il secondo motivo di ricorso, che denunzia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall’accordo transattivo formatosi nell’assemblea del 5. 6. 2001, investe la questione della sussistenza dell’accordo transattivo e quindi va dichiarata assorbita, in ragione del rigetto della censura relativa alla nullità della transazione perché non approvata da tutti i condomini;
il ricorso è pertanto inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del condominio, come liquidate in dispositivo; deve darsi atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del condominio di *****, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022
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