Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.5155 del 16/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26625/2016 proposto da:

G. Costruzioni S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Emanuele Filiberto n. 287, presso lo studio dell’avvocato Nicoletti Luca, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Anas S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6288/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/11/2021 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

RITENUTO

che:

ANAS SPA ebbe ad impugnare in via principale il lodo sottoscritto dagli arbitri il 12/11/2009 inerente alla controversia intercorsa con G. Costruzioni SPA (di seguito, G.) in relazione al contratto di appalto n. ***** concluso per l’esecuzione dei lavori di costruzione della variante ***** e pronunciato su domanda proposta dalla società appaltatrice. G. propose impugnazione incidentale avverso il lodo.

Il Collegio arbitrale, respinta l’eccezione sollevata da ANAS in merito al difetto di competenza arbitrale per effetto della avvenuta declinatoria in favore del giudice ordinario, accolse parzialmente la domanda e condannò ANAS SPA al pagamento di Euro 6.533.892,06, a vario titolo, oltre accessori, compensando le spese di lite.

La Corte di appello ha, preliminarmente, precisato di ritenere applicabile alla controversia l’art. 829 c.p.c., come novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e come interpretato dalle Sezioni Unite della Cassazione, sentenza n. 9284/2016), in considerazione dell’anno della stipula della convenzione (2001).

La Corte di appello, quindi, a differenza del Collegio arbitrale, ha ritenuto fondata la declinatoria della competenza arbitrale esercitata dalla parte pubblica in ragione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 47, richiamato dalle parti all’art. 20 del capitolato speciale di appalto (di seguito, CSA), e ha dichiarato la nullità del lodo per mancanza di potere decisorio in capo agli arbitri, assorbita l’impugnazione incidentale della G., escludendo che alla declaratoria di nullità per l’anzidetta ragione potesse conseguire la fase rescissoria.

G. Costruzioni SPA propone ricorso per cassazione con cinque mezzi seguito da memoria; ANAS SPA ha replicato con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1.1. Con i primi due motivi, da trattare congiuntamente per connessione, si denuncia:

I) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 4, dell’art. 24 dello stesso D.Lgs. e dell’art. 829 c.p.c., comma, nella attuale formulazione.

La ricorrente lamenta l’erroneità della decisione per avere la Corte di appello, in violazione del diritto intertemporale dettato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, individuato nella disciplina normativa vigente al momento della stipulazione della clausola compromissoria (2001) quella a cui far riferimento per condurre l’esame di nullità del lodo, laddove avrebbe dovuto applicare l’art. 829 c.p.c., nella attuale formulazione, essendo stato introdotto il giudizio arbitrale con domanda notificata l’11/6/2008.

In particolare, sostiene che ha errato la Corte di appello a ritenere che le parti avessero previsto l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia e che tale effetto non poteva conseguire in ragione dell’applicabilità del novellato art. 829 c.p.c..

II) Nullità della sentenza impugnata in relazione al travalicamento dei limiti posti dall’art. 829 c.p.c., in materia di impugnazione di lodi arbitrali e, in via gradata, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c..

La ricorrente sostiene che il motivo di impugnazione proposta da ANAS in merito alla dedotta declinatoria si fondava solo su una diversa interpretazione delle clausole contrattuali e dei comportamenti negoziali già valutati dal Collegio arbitrale e che la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere inammissibile la censura, in quanto finalizzata a contestare l’interpretazione delle clausole contrattuali al di fuori dei limiti previsti dall’art. 829 c.p.c., secondo la lettura propugnata dalla ricorrente nel primo motivo.

1.2. I primi due motivi sono infondati e vanno respinti, in applicazione del consolidato principio, cui si intende dare continuità, secondo il quale “In tema di impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, l’art. 829 c.p.c., comma 3, come riformulato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 27 dello stesso decreto, a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della novella (2 marzo 2006); tuttavia, per stabilire se sia ammissibile tale impugnazione, la legge, cui l’art. 829 c.p.c., comma 3, rinvia, deve essere identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicché, in caso di procedimento arbitrale attivato dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina – ma in forza di convenzione stipulata anteriormente – nel silenzio delle parti è applicabile l’art. 829 c.p.c., comma 2, nel testo previgente, che ammette l’impugnazione del lodo per violazione delle norme inerenti al merito, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile” (Cass. Sez. U. n. 9284 del 09/05/2016; Cass. n. 17339 del 13/07/2017), principio al quale la Corte di appello rettamente si è attenuta.

2.1. Con i motivi terzo e quarto si denuncia:

III) Violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., con riferimento all’art. 20 del CSA; violazione dell’art. 808 c.p.c., con riferimento all’esercizio della declinatoria di competenza da parte di ANAS.

La ricorrente ricorda che il Collegio arbitrale aveva motivatamente ravvisato la propria competenza sulla base dell’art. 20 del CSA, facente parte del contratto, e di quanto dichiarato dalle parti nel verbale di nomina del Presidente del Collegio arbitrale ed aveva affermato che le parti avevano previsto il ricorso all’arbitrato; sostiene, quindi, che la Corte di appello ha errato nel ritenere che dal contratto era evincibile il rinvio al D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 47, che prevedeva la facoltà di declinatoria della competenza come poi esercitata dall’ANAS, sulla base della quale ha poi escluso la competenza arbitrale e dichiarato la nullità del lodo.

Sostiene, inoltre, che proprio con il verbale di nomina del Presidente del Collegio arbitrale l’ANAS aveva riconosciuto la competenza esclusiva arbitrale e che, ad ogni modo, tale atto poteva assumere dignità di patto commissorio ex art. 808 c.p.c..

IV) In subordine, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

Segnatamente, la ricorrente rammenta che il Collegio arbitrale aveva risolto positivamente la questione inerente all’esistenza di una valida clausola compromissoria, facendo corretta applicazione dell’art. 1362 c.c., a fronte della pattuizione di cui all’art. 20 del CSA e ravvisando nel verbale congiunto di nomina di arbitro, un atto o patto rafforzativo della volontà di compromettere in arbitri la res controversa e, comunque, idoneo a rivestire ex novo la natura di patto compromissorio; si duole, quindi, che nella sentenza impugnata non sia stato rinnovato il giudizio in ordine a tale atto, né se ne sia fatta menzione, senza vagliare la questione, sulla quale le parti si erano soffermate prospettando le rispettive considerazioni.

2.2. I motivi terzo e quarto sono infondati e vanno respinti.

2.3. Quanto alla declinatoria della competenza arbitrale, la Corte di appello, nell’accogliere l’impugnazione di ANAS, ha ravvisato la violazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 47 (nel testo originario ripristinato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 152 del 1996, con cui fu dichiarata l’illegittimità costituzionale della L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 16, nella parte in cui, sostituendo la predetta disposizione, non prevedeva che la competenza arbitrale potesse essere derogata anche con atto unilaterale di ciascuno dei contraenti), il quale consentiva alla parte convenuta di escludere la competenza arbitrale notificando la propria determinazione alla controparte nel termine di trenta giorni dalla notifica della domanda; ciò perché, nel caso in esame, tale disposizione era stata esplicitamente richiamata come disciplinante il giudizio arbitrale nella clausola compromissoria, come incontestato tra le parti, e la facoltà esercitata.

2.4. La ricorrente, sotto un primo profilo attinente alla individuazione del patto commissorio, sostiene, al contrario, che sussisteva la competenza arbitrale esclusiva in forza dell’art. 20 del CSA, facente parte del contratto stipulato con ANAS il 16 marzo 2001, ove era previsto espressamente che “tutte le controversie tra l’amministrazione appaltante e l’impresa… saranno deferite al giudizio arbitrale ai sensi e nei modi previsti dal capo VI del Capitolato Generale d’appalto per le opere pubbliche D.P.R. n. 1063 del 1962. Al riguardo verranno applicate le norme di cui della L. 11 febbraio 1994, n. 109, artt. 31 bis e 32, così come modificata dalla L. 2 giugno 1995, n. 216”.

Assume, in particolare, che il rinvio agli artt. 31 bis e 32, contenuto nell’art. 20, era da ritenersi rinvio “fisso” e perfetto, con valore vincolante per le parti, al testo normativo come modificato dalla L. 2 giugno 1995, n. 216 (art. 32 (Definizione delle controversie) “1. Ove non si proceda all’accordo bonario ai sensi dell’art. 31-bis, comma 1, e l’affidatario confermi le riserve, la definizione delle controversie è attribuita ad un arbitrato ai sensi delle norme del titolo VIII del libro quarto del codice di procedura civile”) che prevedeva l’obbligo dell’arbitrato; ciò, a prescindere dalla circostanza che questa disposizione non era più vigente al momento in cui era stato stipulato il contratto per essere stata modificata dalla L. 18 novembre 1998, n. 415 (art. 32. (Definizione delle controversie). “1. Tutte le controversie derivanti dall’esecuzione del contratto, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell’accordo bonario previsto dell’art. 31-bis, comma 1, possono essere deferite ad arbitri”) che aveva introdotto la facoltatività dell’arbitrato.

In definitiva, sostiene che la natura recettizia di tale rinvio, consentendo di attribuire carattere pattizio all’arbitrato, avrebbe imposto di escludere la rilevanza degl’interventi normativi non espressamente richiamati.

2.5. Questa articolazione del motivo investe l’interpretazione operata dalla Corte d’appello della clausola contrattuale, nella sostanza rilevando che, poiché l’art. 20 richiama espressamente una disciplina che, pur non più vigente all’epoca della conclusione del contratto, prevedeva la obbligatorietà dell’arbitrato, essa deve essere intesa nel senso di una clausola compromissoria a contenuto obbligatorio, stante il rinvio recettizio vincolante, a prescindere dalle successive modifiche normative.

In realtà, come la stessa ricorrente riconosce, non è in questione la portata applicativa delle norme di legge richiamate, ma il significato del loro richiamo all’interno della clausola negoziale.

Ciò posto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (v., ad es., Cass. n. 6125 del 17/03/2014; Cass. n. 27136 del 15/11/2017).

2.6. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha dato preminente rilievo al rinvio contenuto nell’art. 20 del CSA al Capo VI del D.P.R. n. 1063 del 1962 e ne ha tratto la conseguenza ermeneutica, che non si espone ad alcuna censura di illogicità, che le parti in tal modo avessero inteso preservare la possibilità di accedere all’applicazione dell’istituto della declinatoria, che si configura come esercizio di un diritto potestativo di carattere sostanziale che si attua mediante un negozio unilaterale ad effetti anche processuali (Cass. n. 19531 del 17/9/2014).

D’altronde, la facoltà di declinatoria non è incompatibile con la previsione dell’arbitrato obbligatorio, come si evince proprio dalla disciplina dettata del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 42-51, a cui l’art. 20 CSA rinvia, a seguito della pronuncia di illegittimità della Corte costituzionale n. 152 del 1996; né su tale profilo, rilevante nell’attività ermeneutica svolta dalla Corte di appello, la ricorrente si è soffermata.

Invero, è decisivo osservare che anche il rinvio al capo VI del D.P.R. n. 1063 del 1962 (artt. 42-51) contenuto nell’art. 20 del CSA, valorizzato dalla Corte distrettuale, è stato attuato extra vigenza – atteso che l’abrogazione espressa di questa disciplina era già avvenuta al momento della stipula del contratto, ad opera della L. n. 109 del 1994, art. 32, comma 4, come sostituito dalla L. n. 415 del 1998, art. 10, che ha anche facoltizzato l’arbitrato, disciplina non applicabile nel caso di specie per volontà delle parti contrattuali.

Ne consegue che, contrariamente a quanto assume la ricorrente, la Corte distrettuale ha ritenuto il rinvio operato dall’art. 20 del CSA alla normativa nello stesso indicata, come un rinvio fisso e ne ha tratto le conseguenze ermeneutiche di cui sopra – valorizzando il richiamo alla facoltà di esercizio della declinatoria non incompatibile con l’obbligatorietà dell’arbitrato, desumibile dal complesso normativo di cui al Capo VI del D.P.R. n. 1063 del 1962, per effetto della sentenza n. 152 del 1996 della Corte Costituzionale – e tale interpretazione non si discosta dai canoni interpretativi e non è attinta da illogicità.

2.7. La censura va disattesa anche sul secondo profilo, con cui la ricorrente intende valorizzare il comportamento successivo alla declinatoria di competenza, tenuto dall’ANAS, e concretizzatosi nel verbale di nomina del Presidente del Collegio arbitrale, prospettandolo quale nuovo compromesso ex art. 808 c.p.c..

Come già ricordato, in tema di controversie nascenti dal contratto di appalto di opere pubbliche, la declinatoria della competenza arbitrale costituisce l’esercizio di un diritto potestativo di carattere sostanziale, che, attuandosi mediante un negozio unilaterale ad effetti anche processuali, di natura esterna al processo ed antecedente ad esso, postula una manifestazione di volontà chiara ed inequivocabile della P.A., volta a ricondurre la controversia nell’ambito della giurisdizione, attraverso l’esclusione della cognizione arbitrale, che rispetto a questa si pone come eccezione alla regola, senza che eventuali scelte difensive, anche finalizzate alla sottoposizione della questione della ritualità della declinazione di competenza al collegio arbitrale, possano di per sé esprimere una rinuncia univoca agli effetti della stessa (Cass. n. 19531 del 17/09/2014).

Nel caso di specie, ANAS prima effettuò la declinatoria di competenza e, successivamente, contribuì alla nomina del Presidente del Collegio arbitrale e provvide a sottoporre agli arbitri la questione di competenza, di talché la statuizione impugnata, che ha escluso che fosse intervenuta una rinuncia alla formulata declinatoria della competenza arbitrale sulla scorta della considerazione della strategia difensiva adottata da ANAS, è immune da vizi e perviene ad un arresto palesemente incompatibile con quanto prospettato dalla ricorrente, sulla falsariga del lodo, in merito ad una rinnovata volontà a compromettere in arbitri espresso da ANAS nel verbale di nomina del Presidente del Collegio arbitrale.

2.8. Non si ravvisa, infine, l’omesso esame di un fatto decisivo, denunciato con il quarto motivo: la Corte distrettuale ha espressamente disatteso le conclusioni del Collegio arbitrale per le ragioni dinanzi ricordate, dando indirettamente conto di avere esaminato il fatto di cui si discute, e cioè la partecipazione alla nomina del Presidente del Collegio arbitrale da parte di ANAS – che della decisione arbitrale costituiva uno dei passaggi argomentativi, alla luce di quanto trascritto in ricorso – fatto che risulta privo di decisività attesa la condivisibile ratio decidendi espressa dalla Corte di appello.

3. Resta assorbito, in ragione del rigetto degli altri motivi, il quinto mezzo volto a pervenire ad una differente regolamentazione delle spese di lite in caso di accoglimento del ricorso.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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