In tema di protezione internazionale, per valutare la fondatezza del timore di subire un atto persecutorio per renitenza alla leva, alla luce dell'interpretazione della C.G.U.E. 26 febbraio 2015 (causa C-472/13, Shepherd contro Germania), il Giudice, esercitando i poteri officiosi di cui all'art. 8, comma 3, e 27, comma 1 bis, d.lgs. n. 25 del 2008, è tenuto a valutare se le azioni giudiziarie e le sanzioni in cui incorrerebbe il richiedente nel suo paese di origine, a causa del suo rifiuto di prestare servizio militare, siano sproporzionate rispetto a quanto necessario allo Stato per esercitare il suo legittimo diritto di mantenere una forza armata e se le stesse presentino carattere discriminatorio.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11491-2020 proposto da:
E.I.M.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO PAOLONE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;
– resistente –
avverso il decreto n. cronol. 289/2020 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il 06/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.
FATTI DI CAUSA
1. – Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, E.I.M.M., cittadino egiziano, ha adito il Tribunale di Campobasso impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua domanda avente ad oggetto sia lo status di rifugiato, che la protezione sussidiaria, che la protezione umanitaria.
Il ricorrente ha dedotto di non voler tornare nel paese di origine per timore di essere arrestato per renitenza alla leva militare.
Il Tribunale ha respinto la domanda.
2. – Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione E.I.M.M., svolgendo tre motivi. Il Ministero, intimato, ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – I motivi sono rubricati come segue.
Primo motivo: “Errores in iudicando; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 5, 6, 7, 8 e art. 14, lett. a), b) e c), e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3”.
Secondo motivo: “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. art. 5, comma 6, – protezione di carattere umanitario”.
Terzo motivo: “Vizio di motivazione; contradditorietà e illogicità; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio; censure al decreto impugnato”.
Col primo si lamenta che il Tribunale abbia mancato di considerare, per un verso, che il rifiuto di arruolarsi implica l’essere considerato, per il governo egiziano, un vero e proprio oppositore a un sistema violento e persecutorio connotato dalla violazione dei diritti umani e che, per altro verso, la prestazione del servizio di leva avrebbe comportato il coinvolgimento del ricorrente in azioni belliche.
Il secondo mezzo censura il decreto impugnato in quanto avrebbe mancato di considerare la condizione di vulnerabilità dell’istante, oltre che l’assenza di legami dello stesso con il paese di origine, il difficilissimo contesto dell’Egitto, connotato da conflitti armati interni e da violenze diffuse, e l’inserimento dello stesso E. in Italia.
Il terzo motivo contiene plurime doglianze. Il Tribunale, secondo il ricorrente, avrebbe trascurato di considerare che egli è un disertore e che la renitenza alla leva è punita in Egitto severamente; lo stesso giudice del merito non avrebbe inoltre apprezzato che in quel paese vigono leggi repressive dei diritti umani e che il decreto non reca l’indicazione delle fonti informative poste a fondamento della decisione.
2. – Il primo e il terzo motivo sono fondati nei termini che si vengono a esporre.
In sé considerata l’obiezione di coscienza non determina l’accesso dello straniero al diritto di asilo. Vero e’, invece, che è riconosciuto lo status di rifugiato politico all’obiettore di coscienza che rifiuti di prestare il servizio militare nello Stato di origine, ove l’arruolamento comporti il rischio di un coinvolgimento, anche indiretto, in un conflitto caratterizzato anche solo dall’alto rischio di commissione di crimini di guerra e contro l’umanità, costituendo la sanzione penale prevista dall’ordinamento straniero per detto rifiuto atto di persecuzione ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, comma 2, lett. e), e della Dir. n. 2004/83/CE, art. 9.2, lett. e), come interpretato da Corte giust. UE 26 febbraio 2015, C-472/13, Shepherd contro Germania) (Cass. 18 maggio 2021, n. 13461; Cass. 19 novembre 2019, n. 30031). Come è stato poi precisato da questa Corte, il cittadino straniero che richieda asilo paventando di essere chiamato a concorrere nella commissione di crimini e violazioni dei diritti umani, ha l’onere di allegare specificamente che il conflitto esistente nelle zone in cui avrebbe presumibilmente espletato il servizio militare è condotto con modalità che implicano violazioni sistematiche dei diritti umani da parte dei militari o comunque l’alta probabilità della commissione di tali violazioni ad opera di questi ultimi (Cass. 1 ottobre 2020, n. 20979).
Ora, il ricorrente non prospetta che il proprio arruolamento determinerebbe il rischio di essere coinvolto in un conflitto caratterizzato dal rischio succitato. Egli si limita a dedurre che nel corso del servizio di leva potrebbe essere impegnato in aree di guerra: evenienza, questa che, ai fini che interessano, è priva di decisività.
Tuttavia, l’istante deduce pure – come si è accennato – che il rifiuto di prestare il servizio di leva importa l'”essere considerato un oppositore ai sistemi egiziani” e che egli “e’ a tutti gli effetti un disertore, si è sottratto al servizio militare, motivo di fuga dal suo paese di origine”, ove la renitenza alla leva “e’ punita severamente”.
Secondo la Dir. n. 2011/95/UE, art. 9.2, lett. b) e c), (che ha sostituito la Dir. n. 2004/83/CE), sono ricompresi tra gli atti di persecuzione, rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, sia i “provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e/o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio”, sia le azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie”.
In base a quanto osservato dalla Corte di giustizia, determinare se le azioni giudiziarie e le sanzioni in cui incorrerebbe il richiedente nel suo paese di origine, a causa del suo rifiuto di prestare servizio militare, siano sproporzionate, presuppone che si verifichi che tali atti vanno oltre quanto necessario allo Stato interessato per esercitare il suo legittimo diritto di mantenere una forza armata; inoltre, quanto al controllo del carattere discriminatorio degli atti di cui trattasi, occorrerebbe verificare se, rispetto agli obiettivi di una normativa fondata sul legittimo esercizio del diritto di mantenere una forza armata, la situazione dei militari che rifiutino di prestare servizio possa essere comparata a quella di altre persone, per accertare se le sanzioni inflitte ai primi possano rivelarsi manifestamente discriminatorie (Corte giust. UE 26 febbraio 2015, C-472/13, Shepherd contro Germania, cit. 50 e 54).
Compete poi alle autorità nazionali interessate procedere a un esame di tutti gli elementi pertinenti riguardanti il paese di origine del richiedente lo status di rifugiato, compresi, come prevede la nominata Dir., art. 4.3, lett. a), le leggi e i regolamenti di quest’ultimo e il modo in cui sono applicati (come ricordato al par. 53 della sentenza citata, che fa riferimento alla corrispondente disposizione contenuta nella Dir. n. 2004/83/CE).
Deve ritenersi, in conseguenza, che il giudice del merito, investito della domanda di protezione internazionale, non potesse sottrarsi a un accertamento nel senso indicato, da condurre con l’ausilio dei poteri officiosi di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e 27, comma 1 bis.
Il Tribunale di Campobasso si è invece limitato ad osservare che quello di prestare il servizio militare è un “obbligo previsto in numerosi Stati, che non costituisce per ciò solo violazione dei diritti umani”.
Sul punto il ricorso va accolto.
Resta assorbito il secondo motivo, che attiene alla protezione umanitaria.
3. – In conclusione, nei termini indicati il decreto è cassato. La causa è rinviata al Tribunale di Campobasso, diversamente composto, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo e il terzo motivo nei sensi di cui in motivazione e dichiara assorbito il secondo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile, il 16 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2022