Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.532 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27120/2018 R.G. proposto da:

PARC HOTEL VILLA IMMACOLATA srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Lorenzo del Federico, e dall’Avv. Valeria D’Ilio, con domicilio eletto in Roma, via F.

Denza, n. 20, presso lo studio dell’Avv. Laura Rosa;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PESCARA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Paola Di Marco, e dall’Avv. Antonella Manso, elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura del Comune di Pescara, p.zza Italia n. 1;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, n. 144/V/2018, depositata il 13 febbraio 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 6 ottobre 2021 dal Consigliere Maria Elena Mele.

RITENUTO

che:

Parc Hotel Villa Immacolata srl, in persona del legale rappresentate pro tempore, impugnava l’avviso di pagamento con cui il Comune di Pescara aveva richiesto il pagamento della tassa per lo smaltimento rifiuti (TARES) per l’anno 2013.

Nelle more del giudizio, il Comune notificava alla società l’avviso di accertamento con cui accertava l’omesso versamento dell’imposta relativa alla medesima annualità, applicando la tariffa prevista per le utenze non domestiche destinate ad albergo con ristorazione.

Anche tale atto veniva impugnato dalla contribuente avanti alla Commissione tributaria provinciale di Pescara che accoglieva il ricorso, limitatamente alla riduzione delle sanzioni.

La CTP dichiarava invece inammissibile il ricorso proposto avverso l’avviso di pagamento.

La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo adita dalla società contribuente, previa riunione degli appelli, accoglieva l’appello limitatamente alle sanzioni, ritenendole non dovute, mentre confermava nel merito la sentenza impugnata.

La contribuente ha proposto ricorso per la cassazione di tale pronuncia affidato a tre motivi.

Il Comune di Pescara si è costituito con controricorso.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la CTR ritenuto l’avviso di accertamento sufficientemente motivato. In realtà esso sarebbe privo di ogni riferimento all’istruttoria svolta ed in particolare non sarebbe specificato il metodo seguito per la determinazione della tariffa con riguardo alla quantità e tipologia dei rifiuti e alle ragioni per le quali è stata applicata all’intera superficie dell’immobile la tariffa prevista per gli alberghi con ristorante.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 14, commi 9 e 12, conv. in L. n. 214 del 2011, del D.P.R. n. 158 del 1999, art. 6, del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 3 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata ritenuto infondata l’eccezione di illegittimità del regolamento del Comune di Pescara nella parte in cui ha determinato la tariffa applicabile agli alberghi con servizio di ristorazione. Tale regolamento dovrebbe essere disapplicato in quanto contrario a criteri di ragionevolezza poiché non tiene conto, ai fini della determinazione della tariffa, della quantità e qualità dei rifiuti prodotti, nonché della estensione delle superfici. Nella specie esso avrebbe determinato l’applicazione all’intera superficie dell’albergo di una tariffa ben superiore a quella prevista per gli alberghi senza ristorante operando un’evidente sperequazione.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 14, commi 10-18, conv. in L. n. 214 del 2011, del Reg. comunale TARES, artt. 15 e 21, nonché della L. n. 212 del 2000, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata escluso l’applicazione delle riduzioni ed esclusioni di imposta previste dalla legge e dal regolamento comunale riguardo alle superfici in cui si producono rifiuti assimilati agli urbani smaltiti dal produttore a proprie spese, ovvero rifiuti speciali. A tanto il Comune avrebbe potuto provvedere anche in mancanza della dichiarazione della contribuente essendo esso già in possesso della documentazione necessaria. La contribuente, inoltre, aveva prodotto nel corso del giudizio d’appello la documentazione attestante lo smaltimento in proprio della maggior parte dei rifiuti prodotti nella cucina del ristorante.

Il primo motivo è infondato.

La TARES è stata istituita dal D.L. n. 201 del 2011, art. 14 (poi abrogato dalla L. n. 147 del 2013, istitutiva della TARI) a decorrere dal 1 gennaio 2013, sostituendo il preesistente tributo dovuto ai Comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (noto in precedenza con l’acronimo di TARSU), conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria.

Ai sensi del D.L. n. 201 del 2011, art. 14, comma 3, l’imposta è dovuta da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani.

Il comma 10, stabilisce che “Nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”.

E’ inoltre previsto che la tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.

Ai sensi del comma 33, i soggetti passivi del tributo devono presentare, entro il termine stabilito dal Comune nel regolamento, apposita dichiarazione, la quale ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati dichiarati da cui consegua un diverso ammontare del tributo; in tal caso, la dichiarazione deve essere presentata entro il termine stabilito dal regolamento.

Alla luce della normativa sopra richiamata, ben può trovare applicazione alla fattispecie la giurisprudenza di questa Corte in tema di TARSU.

Con riguardo alla verifica in ordine all’esistenza e all’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento occorre preliminarmente rilevare che tale verifica deve essere condotta secondo la disciplina specificamente dettata in vista del contenuto di quell’atto ed in rapporto alle relative caratteristiche e peculiarità. Ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, “Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

Tale norma, ricalcando sostanzialmente gli obblighi motivazionali richiesti in linea generale dello Statuto del contribuente, impone esclusivamente che, previa enunciazione del criterio astratto, vengano specificati gli elementi su cui si fonda la ripresa a tassazione, necessari per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa.

Con riguardo all’imposta in esame, viene in rilievo la semplicità del procedimento logico che in questi casi ne caratterizza la determinazione, essendo l’ammontare determinato moltiplicando la tariffa, individuata sulla base della categoria, per la superficie tassata. Ne deriva che, nel caso in cui la rettifica venga operata sulla base di una variazione di superficie o di tariffa o di categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenuta applicabile, elementi che, integrati con gli atti generali, quali le delibere comunali o altri regolamenti comunali – che non è necessario allegare, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, perché si rivolgono ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (cfr. Cass. sez. 5, 23 ottobre 2006, n. 22804; Cass. sez. 5, 26 marzo 2014, n. 7044; Cass. n. 16165 del 2018 e n. 7437 del 2019) risultano idonei a rendere intellegibili i presupposti di fatto e di diritto della pretesa tributaria.

Va pertanto escluso che possa essere censurata come mancanza di motivazione l’omessa individuazione di tutte le fonti probatorie o delle indagini effettuate per rideterminare l’area, ben potendo tali indicazioni essere fornite nell’eventuale successiva fase contenziosa, in cui l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri.

Nel caso in esame, dal contenuto dell’avviso di accertamento riprodotto nel ricorso (in conformità con il principio di autosufficienza dello stesso) emerge che esso recava l’indicazione dei presupposti del tributo, specificando la superficie dell’immobile (mq 4890) la categoria (“uso non domestico, Albergo con ristorazione”), nonché la tariffa (sia la quota fissa che quella variabile).

La CTR, pertanto, ha fatto corretta applicazione dei principi soprarichiamati accertando che la motivazione dell’atto impugnato, seppure concisa, conteneva tutti gli elementi per consentire al destinatario di conoscere le ragioni di fatto e di diritto poste a base dell’atto di accertamento, evidenziando altresì come, nella specie si trattasse di un atto impositivo non particolarmente complesso dovendo indicare solo la superficie e la tariffa applicata, elementi per i quali non era necessaria una motivazione dettagliata.

Il secondo motivo è infondato.

Ai fini della determinazione della tariffa annuale, il D.L. n. 201 del 2011, art. 14, lascia ai Comuni un ampio spazio di discrezionalità, stabilendo che la tariffa è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte.

Questa Corte ha affermato che “in tema di TARSU, la disciplina contenuta nel D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, sulla individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri per la sua quantificazione non contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia perché è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile posseduto, sia perché la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, ma contiene previsioni (v. artt. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni”. Tali pronunce hanno preso in esame, ritenendoli dirimenti in ordine all’esclusione della violazione del principio in esame, le sentenze CGUE 24.6.08 in causa C-188/07 e 16. 7.09 in causa C-254/08 (quest’ultima, avente ad oggetto un rinvio pregiudiziale in una causa pendente dinanzi al TAR Campania, nella quale veniva contestata proprio la legittimità, per affermato contrasto con la Dir. n. 2006/12/CE, art. 15, della disciplina legislativa sulla TARSU, nonché di norme di un regolamento comunale in base alle quali le imprese alberghiere sarebbero state tenute al versamento della tassa sui rifiuti in misura superiore ai privati).Nella valutazione di conformità della disciplina nazionale al principio evincibile dalla Dir. n. 2006/12, art. 15, lett. a) (già desumibile dalla Dir. n. 75/442, art. 11), la CGUE ha affermato che: “e’ spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore; – in tali circostanze, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonché della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori; – sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto non può essere considerata in contrasto con la Dir. n. 2006/12, art. 15, lett. a); – nella materia, le autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa; – per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purché non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili”. Sicché, in definitiva, “il metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non e’, di per sé, contrario al principio “chi inquina paga” recepito dalla Dir. n. 75/442, art. 11" (Cass., Sez. 5 n. 28676 del 2018; n. 2202 del 2011).

Si è altresì rilevato che non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa dal momento che essa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 7437 del 2019; Sez. 6-5, n. 16165 del 2018).

Con riguardo al potere di disapplicare l’atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto che spetta al giudice tributario, questa Corte ha affermato che la disapplicazione può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) e che la contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell’adottare la delibera non è sufficiente per pervenire alla dichiarazione (incidentale) d’illegittimità della stessa, dovendo al riguardo rilevarsi che, nell’ambito degli atti regolamentari dei Comuni, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria (Cass., sez. 5, n. 7044 del 2014; sez. 6 – 5, n. 16165 del 19/06/2018, Rv. 649267 – 01; sez. 5, n. 7437 del 15/03/2019, Rv. 653050 – 01).

Nel caso in esame, la decisione della CTR si è allineata ai suddetti principi avendo affermato che il regolamento del Comune di Pescara era conforme alle disposizioni di legge, tenendo conto nella commisurazione delle tariffe, della quantità e qualità media dei rifiuti per unità di superficie imponibile e risultando dalle delibere consiliari di attuazione del regolamento l’istruttoria svolta con l’intervento di personale tecnico e dei motivi per i quali era stata attribuita all’immobile della contribuente la tariffa “albergo” e la sottocategoria “ristorante”.

Anche il terzo motivo è infondato.

Ai sensi del D.L. n. 201 del 2011, art. 14, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato.

Il comma 10, prevede che nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Il comma 33, pone a carico del soggetto passivo un obbligo di denuncia da presentare al Comune, entro il termine fissato dal regolamento comunale disponendo che essa ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati dichiarati da cui consegua un diverso ammontare del tributo; in tal caso, la dichiarazione va presentata entro il termine stabilito dal comune nel regolamento.

La disposizione in parola, inoltre, stabilisce che spetta consiglio comunale determinare la disciplina per l’applicazione del tributo, concernente tra l’altro la classificazione delle categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti; la disciplina delle riduzioni tariffarie, nonché la disciplina delle eventuali riduzioni ed esenzioni (comma 22).

Il comma 15, riconosce specificamente la possibilità di prevedere riduzioni tariffarie, nella misura massima del trenta per cento, in talune ipotesi dal medesimo previste, tra le quali quella per le abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo (comma 15, lett. b).

Sulla base di tali norme, emerge che spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), i quali pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato, oltre all’obbligo di denuncia ai sensi del citato art. 14, un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale. (Sez. 5, n. 21250 del 13/09/2017, Rv. 645459 – 01; n. 21011 del 22/07/2021, Rv. 662045 – 02).

Deve inoltre affermarsi (analogamente a quanto fatto da questa Corte in tema di TARSU), che grava sul contribuente l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare delle esenzioni previste dal D.L. n. 2101 del 2011, art. 14, per quelle aree detenute, od occupate, che, in ragione di specifiche caratteristiche strutturali o di destinazione, non producono rifiuti o producono rifiuti speciali (smaltiti dallo stesso produttore a proprie spese), in quanto il principio secondo cui spetta all’Amministrazione provare la fonte dell’obbligazione tributaria non si estende alla dimostrazione della spettanza o meno delle esenzioni, le quali costituiscono eccezioni alla regola generale della debenza del tributo da parte di tutti coloro che occupano, o detengono, immobili nel territorio comunale (Sez. 6 – 5, n. 10634 del 16/04/2019, Rv. 653952 – 01).

Nella specie, la CTR ha fatto corretta applicazione di tali principi affermando che il contribuente non aveva adempiuto all’onere su di lui gravante, di formulare apposita denuncia, nonché di documentare le spese sostenute e i quantitativi di rifiuti speciali avviati al recupero.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre spese forfetarie, accessori di legge e oltre Euro 200 per esborsi.

Visto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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