Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.542 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7248/2018 R.G. proposto da:

M.P. e M.M., in proprio e quali procuratori speciali di M.A., con domicilio eletto in Roma, Via Cardinal de Luca n. 10, presso lo studio dell’avvocato Tullio Elefante che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del suo Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ope legis domicilia;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7253/2017, depositata il 4 settembre 2017, della Commissione tributaria Regionale della Campania;

udita la relazione della causa svolta, nella Camera di consiglio del 17 novembre 2021, dal Consigliere Dott. Liberato Paolitto.

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 7253/2017, depositata il 4 settembre 2017, la Commissione tributaria Regionale della Campania, – pronunciando quale giudice del rinvio in esito alla sentenza, n. 3121 del 17 febbraio 2016, con la quale la Corte, sul ricorso proposto da M.A., M.P. e M.M., aveva cassato la sentenza n. 37/2009, depositata il 23 febbraio 2009, della stessa Commissione tributaria regionale della Campania, – ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, rilevando che l’avviso di liquidazione (n. *****), relativo all’imposta di successione dovuta in morte di B.M.R., costituiva esecuzione del giudicato formatosi tra le parti, giusta sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 116/31/03, del 22 dicembre 2003, – così che legittimamente era stato emesso nell’ordinario termine di prescrizione (decennale);

2. – M.P. e M.M., in proprio e quali procuratori speciali di M.A., ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, illustrati con memoria;

– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 384 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, deducendo, in sintesi, che il giudice del gravame era venuto meno al “dovere di uniformarsi al principio di diritto” posto dalla pronuncia rescindente della Corte, atteso che, per un verso, il giudice del gravame non aveva “analizzato il contenuto della sentenza passata in giudicato”, risolvendo il suo decisum nel mero confronto dei due avvisi di liquidazione che, nella fattispecie, venivano considerazione con riferimento all’eccepito passaggio in giudicato della pronuncia che recava l’integrale annullamento del primo dei due avvisi, – e, per il restante, che la violazione della pronuncia rescindente conseguiva dall’omessa (prioritaria) considerazione del dispositivo della pronuncia passata in giudicato, solo “eventualmente” dovendosi avere riguardo alla motivazione che quel dispositivo sorreggeva;

– soggiungono i ricorrenti che, – esponendo detto dispositivo un integrale annullamento dell’avviso di liquidazione (allora) impugnato, non era nemmeno dubbio per la stessa l’Agenzia delle Entrate che detto annullamento integrasse il vizio di extrapetizione che, formando, per l’appunto, oggetto di un motivo dell’impugnazione proposta dall’Agenzia, il giudice del gravame non aveva esaminato, – risolvendo il suo decisum nel (mero) rigetto del gravame, – così che detta pronuncia (pena il suo passaggio in giudicato relativamente all’integrale annullamento dell’avviso di liquidazione) avrebbe dovuto formare oggetto di ricorso per cassazione;

– il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, espone la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., deducendo i ricorrenti, – in relazione al rilievo svolto dalla gravata sentenza secondo la quale, nel giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del primo avviso di liquidazione, il giudice del gravame “nulla statuiva” in ordine al motivo di appello col quale l’Agenzia aveva richiesto la riforma della pronuncia di primo grado “mediante la riduzione del 50% dei depositi bancari”, – che il giudicato era destinato a coprire il dedotto ed il deducibile, così che “la minore somma eventualmente dovuta” dai contribuenti avrebbe dovuto richiedersi nell’ambito di detto giudizio, “consumando tutti i suoi gradi”, in difetto della quale richiesta, per acquiescenza alla pronuncia di appello, il giudicato era destinato a svolgere la sua funzione regolamentare e vincolante per l’amministrazione, con preclusione all’emissione di un secondo avviso di liquidazione;

– col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, i ricorrenti denunciano la nullità della gravata sentenza per omessa motivazione, e quanto all’accertamento svolto dal giudice del gravame in ordine alla dipendenza del secondo avviso di liquidazione dalla pronuncia di gravame (n. 116/31/03, del 22 dicembre 2003), passata in giudicato, che aveva definito il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del primo avviso di liquidazione;

2. – i dati processuali di riferimento della lite contestata possono essere premessi nei seguenti termini:

2.1 – le parti, odierne ricorrenti, impugnavano un primo avviso di liquidazione dell’imposta di successione (n. *****), in morte di B.M.R., deducendone l’illegittimità in relazione alla inclusione, nell’asse ereditario, dell’intero ammontare dei depositi bancari che, diversamente, dovevano ritenersi in regime di comunione legale tra il de cuius ed il coniuge M.A.; l’impugnazione veniva, quindi, definita con accoglimento del ricorso (sentenza n. 605, del 26 novembre 2002, della Commissione tributaria provinciale di Napoli) e successivo rigetto dell’appello proposto dall’Agenzia (sentenza n. 116/31/03, del 22 dicembre 2003, della Commissione tributaria regionale della Campania);

– un secondo avviso di liquidazione (n. *****), – che, emesso dall’Agenzia, questa volta, sul presupposto della accertata tassabilità (solo) del 50% dei cennati depositi bancari, recava la rideterminazione della stessa imposta dovuta dai contribuenti, – veniva da questi impugnato e la Commissione tributaria regionale della Campania (sentenza n. 37/24/09, del 23 febbraio 2009), in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia, riformava la pronuncia di prime cure, statuendo che l’atto impugnato costituiva liquidazione dell’imposta dovuta secondo la sua precedente pronuncia del 2003 (n. 116/31/03), passata in giudicato, e che nella fattispecie, pertanto, doveva trovare applicazione, – piuttosto che il termine (triennale) di decadenza di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 27, comma 2, – il termine (decennale) di prescrizione ordinaria;

2.2 – su ricorso dei contribuenti, la Corte (con sentenza n. 3121 del 17 febbraio 2016) ha cassato quest’ultima pronuncia e, in accoglimento del terzo motivo del ricorso allora proposto, – articolato in termini di “omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, – ha rilevato che “la sentenza della CTR n. 37/24/09, in questa sede oggetto d’impugnazione, si limita in proposito a statuire assiomaticamente che l’avviso di liquidazione n. ***** sarebbe stato emesso dall’Amministrazione in attuazione del precedente giudicato, la cui effettiva portata sarebbe stata quella dell’accertamento della legittimità dell’imposizione limitatamente al 50% dei depositi bancari, ciò integrando la denunciata lacuna motivazionale sotto il profilo dell’insufficiente motivazione.”; ed ha soggiunto la Corte che, così, ne riusciva la fondatezza (anche) del quarto motivo di ricorso, – col quale i ricorrenti avevano dedotto la violazione del giudicato esterno (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto non poteva “verificarsi, alla stregua della motivazione resa dal giudice tributario di secondo grado, se esso si sia attenuto al principio di diritto secondo il quale “la portata del giudicato esterno va definita dal giudice del merito sulla base di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza ed, eventualmente, nella motivazione che la sorregge, mentre il ricorso, in funzione interpretativa, alla domanda di parte, si legittima solo in via residuale, qualora, all’esito dell’esame degli elementi dispositivi ed argomentativi di diretta emanazione giudiziale, persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della statuizione” (cfr. Cass. civ. sez. 1 20 novembre 2014, n. 24749)”;

2.2.1 – la Corte, poi, non ha mancato di rilevare (anche) che “solo se all’esito dell’esame della sentenza n. 116/31/03, siccome confermativa della decisione di primo grado di accoglimento dell’impugnazione proposta avverso il primo avviso di liquidazione, e degli atti di parte eventualmente utilizzati in funzione interpretativa, residui ancora obiettiva incertezza in ordine alla portata del giudicato quale totalmente preclusiva della pretesa impositiva erariale, dovrà essere esclusa l’efficacia preclusiva del precedente giudicato rispetto alla notifica del nuovo avviso di liquidazione oggetto d’impugnazione nel precedente giudizio”;

3. – il giudice del rinvio ha, quindi, rilevato che:

– posto che “i due avvisi di liquidazione emessi in progressione dall’A.d.E. (n. ***** dell'***** e n. ***** del *****), pur afferendo al medesimo rapporto tributario, erano diversi per quanto riguarda i criteri di liquidazione e l’imposta liquidata”, non poteva “revocarsi in dubbio… che il giudicato correlato al “decisum” dei giudici di merito del 2003 (C.T.R. di Napoli n. 116/31/03) di conferma della decisione di “annullamento integrale dell’atto impositivo”, (sentenza C.T.P. di Napoli n. 605/2/2002), riguardi esclusivamente la tassazione per intero dei conti correnti intestati alla de cuius B.M.R. e non, invece, l’assoggettamento a tassazione del 50% per effetto della comunione legale spettante al coniuge superstite.”;

– detta conclusione trovava conferma (anche) sotto il profilo del ricorso, in funzione interpretativa del giudicato esterno, all’esame della domanda di parte, posto che il secondo avviso di liquidazione, a differenza del primo, sottoponeva a tassazione i depositi bancari caduti in successione nella misura del 50% e che la pronuncia del giudice del gravame (n. 116/31/03) “nulla statuiva” in ordine al motivo di appello col quale l’Agenzia aveva richiesto “la riforma della sentenza C.T.P. n. 605/2/2002 mediante la riduzione del 50% dei depositi bancari”, così “circoscritto e delimitato il controverso rapporto tributario in ordine alla successione della defunta B.M.R.”;

4. – tanto premesso i tre motivi di ricorso non possono trovare accoglimento;

4.1 – la pronuncia rescindente della Corte, diversamente da quanto assumono gli odierni ricorrenti, non si è distaccata dal consolidato principio di diritto (v., ex plurimis, Cass., 23 maggio 2018, n. 12752; Cass., 20 novembre 2014, n. 24749; Cass., 16 gennaio 2014, n. 769) alla cui stregua (anche) la motivazione della sentenza rileva, al pari del dispositivo, ai fini della sua interpretazione e, come detto, ha demandato al giudice del rinvio di esaminarne i relativi contenuti con residuale ricorso, laddove persistente un’incertezza interpretativa sul contenuto della statuizione, all’esame della domanda di parte;

– il primo motivo di ricorso, dunque, non coglie nel segno laddove censura l’esame, in chiave interpretativa, dei due avvisi di liquidazione,

– che il giudice del gravame ha, per l’appunto, condotto secondo le indicazioni poste dalla pronuncia della Corte, – ovvero si duole dell’omessa prioritaria considerazione del dispositivo;

– il motivo di ricorso, per di più, introduce un riferimento, – quello all’opinione soggettiva dell’Agenzia delle Entrate, quanto alla necessità di un motivo di appello involgente la denuncia del vizio di ultrapetizione, – che rimaneva ex se estraneo ai criteri di accertamento dettati dalla pronuncia rescindente della Corte;

– e va, peraltro, rimarcato che, – ai fini della definizione della lite contestata secondo la portata del giudicato esterno in contestazione tra le parti, – la pronuncia rescindente della Corte aveva statuito che, – qualora persistente un’incertezza interpretativa sul contenuto della statuizione, dietro esame dei suoi elementi costitutivi (dispositivo e motivazione) e, in chiave residuale, degli atti di parte utilizzati in funzione interpretativa, – avrebbe dovuto escludersi “l’efficacia preclusiva del precedente giudicato rispetto alla notifica del nuovo avviso di liquidazione oggetto d’impugnazione nel precedente giudizio”;

4.2 – anche il secondo motivo risulta inconcludente ai fini della definizione dei principi di diritto la cui applicazione è stata demandata al giudice del rinvio in quanto la prospettata interpretazione dell’omessa pronuncia del giudice del gravame, – nel giudizio in cui si è formato il giudicato esterno tra le parti in contestazione, – si pone in frontale contrasto col rilievo svolto dal giudice del rinvio, e senza spiegare in quali diversi termini la pronuncia del primo grado di detto giudizio dovesse interpretarsi alla stregua di un integrale annullamento dell’impugnato avviso di liquidazione, piuttosto che di un annullamento per la sola parte dell’avviso relativa alla misura (100%) di tassazione dei depositi bancari (in tesi) caduti in successione;

4.3 – insussistente e’, poi, il denunciato difetto di motivazione in ordine alla dipendenza del secondo avviso di liquidazione (proprio) dalla pronuncia (n. 116/31/03, del 22 dicembre 2003) passata in giudicato, posto che, come si è detto, il relativo accertamento è stato operato dando conto dei criteri di interpretazione applicati alla stregua delle indicazioni date dalla pronuncia rescindente della Corte;

5. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, secondo la soccombenza di parti ricorrenti nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio tenuta da remoto, il 17 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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