Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5420 del 18/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per regolamento necessario di competenza, iscritto al n. r.g. 31340/2020, proposto da:

B.C., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore nel procedimento n. r.g. 270/2020 del Tribunale di Gorizia, dall’Avvocato Michele Muriti, presso il cui studio elettivamente domicilia in Venezia, alla Piazza XXVII Ottobre n. 29.

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE B. S.A.S. DI E.C.B. & C., con sede in *****, in persona del socio accomandatario e legale rappresentante B.E.C., nonché quest’ultimo in proprio, rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata alla memoria di costituzione di nuovo difensore del 22 settembre 2021, dall’Avvocato Rosaria Delfabro, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Ronchi dei Legionari (TS) alla via Redipuglia n. 23.

– controricorrenti –

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del giorno 01/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Cardino Alberto, che ha chiesto rigettarsi il ricorso confermandosi la competenza arbitrale.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato il 4 marzo 2020, B.C., socio accomandante della Immobiliare B. di E.C.B. e C. s.a.s., con quota di partecipazione al suo capitale sociale pari al 25%, citò la stessa ed B.E.C., suo socio accomandatario titolare del 75% del capitale residuo, innanzi al Tribunale di Gorizia onde ottenere, la condanna di quest’ultimo, previa declaratoria di responsabilità per gli atti di mala gestio e le omissioni addebitategli, al risarcimento di pretesi danni per mancata attribuzione di utili. Chiese, inoltre, revocarsi B.E.C. dalla carica di amministrazione della menzionata società.

1.1. Costituendosi tempestivamente, entrambi i convenuti eccepirono, pregiudizialmente, l’incompetenza dell’adito tribunale per essere devoluta la controversia alla cognizione arbitrale. Nel merito, contestarono le avverse pretese concludendo per il loro rigetto. Spiegarono, altresì, domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna dell’attore alla restituzione di somme indebitamente percepite e l’accertamento dell’avere egli tenuto condotte incompatibili con la sua qualità di socio accomandante, ponendo in essere atti di amministrazione in violazione dell’art. 2320 c.c., domandandone il corrispondente risarcimento.

2. Il menzionato tribunale, con ordinanza depositata il 29 ottobre 2020, n. 3544, comunicata il giorno successivo, dichiarò la propria incompetenza a conoscere la lite per effetto della clausola arbitrale contenuta nell’atto costitutivo della Immobiliare B. di E.C.B. e C. s.a.s., art. 17.

3. Avverso tale ordinanza B.C. ha proposto ricorso per regolamento necessario di competenza, affidato a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-ter c.p.c., comma 2, chiedendo la cassazione del provvedimento impugnato e la declaratoria di competenza del tribunale goriziano a conoscere della predetta controversia.

3.1. La Immobiliare B. di E.C.B. e C. s.a.s. ed B.E.C. hanno depositato memoria ex art. 47 c.p.c., u. c., concludendo per la declaratoria di inammissibilità dell’avverso ricorso, o comunque, per il suo rigetto.

3.2. La Procura Generale presso questa Corte ha concluso per il rigetto del ricorso, confermandosi la competenza arbitrale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso, rubricato “Violazione dell’art. 806 c.p.c.. Indisponibilità dei diritti azionati”, contesta all’ordinanza impugnata di aver considerato inapplicabili all’odierna controversia i principi sanciti da Cass. n. 18600 del 2011 (“Le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi; peraltro, l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio; pertanto, non è compromettibile in arbitri l’azione di revoca per giusta causa di un amministratore di società in accomandita semplice ex art. 2259 c.c., in relazione agli artt. 2315 e 2293 c.c., non facendo eccezione – come invocato nella specie – la avvenuta insorgenza della controversia fra coniugi altresì soci in detta società”) malgrado B.C. avesse domandato la revoca, per giusta causa, di B.E.C. dalla carica di amministratore della Immobiliare B. di E.C.B. e C. s.a.s.. Si assume che erroneamente il tribunale ha ritenuto utilizzabile l’argomento, tratto da Cass. n. 15697 del 2019, per cui, “come di recente chiarito dalla Suprema Corte, “basti considerare come altro sia il rispetto dei criteri formali di redazione del bilancio, la cui violazione, ove oggetto di controversia, verte su diritti indisponibili sottratti alla sfera arbitrale (e Cass. 13 ottobre 2016, n. 20674; Cass. 10 giugno 2014, n. 13031; ma non, si noti, ove ad esempio la deliberazione di approvazione del bilancio fosse impugnata per mancato raggiungimento del quorum o per conflitto di interessi) ed altro l’adone volta alla condanna dell’amministratore al risarcimento del danno, per avere questi omesso di redigere il bilancio e di comunicarlo annualmente ai soci accomandanti, nonché di offrire loro ampie informazioni sull’andamento sociale, che si inserisce nell’ambito del diritto al risarcimento individuale per danno diretto di cui all’art. 2395 c.c. (applicabile come principio generale anche alle società personali: Cass. 25 gennaio 2016, n. 1261; Cass. 17 gennaio 2007, n. 1045), disponibile dunque da parte del socio che se ne vanti titolare””.

1.1. Tale doglianza si rivela infondata.

1.2. Invero, giova premettere che: i) il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, prevede che “gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c., possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale”; i:) il tenore letterale della clausola compromissoria di cui all’atto costitutivo della Immobiliare B. di E.C.B. e C. s.a.s., art. 17, è così riportato nella sentenza impugnata: “in caso di eventuali controversie che sorgessero fra i soci o fra alcuni di essi, i loro eredi o la società, in dipendenza del presente contratto, queste dovranno essere sottoposte alla decisione di un arbitro nominato dalla Camera Arbitrale costituita presso la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura del luogo in cui ha sede la società”.

1.3. Il tribunale, poi, ha dato atto che l’attore, odierno ricorrente, ha intrapreso, nei confronti della menzionata società e del suo socio accomandatario/amministratore, una pluralità di azioni connesse al fine di ottenere: a) la revoca di quest’ultimo dalla carica di amministratore; b) “l’accertamento dell’inadempimento dell’accomandatario all’obbligo, di cui all’art. 2320 c.c., di presentare e comunicare il bilancio sociale, nonché di corrispondere gli utili spettanti e fornire notizie sull’andamento societario e del suo conflitto di interessi con la società”; c) la condanna del medesimo convenuto “al risarcimento di tutti i danni cagionati e alla restituzione delle somme di cui l’amministratore si sarebbe illegittimamente appropriato”.

1.3.1 Trattasi, quindi, indubbiamente di controversia dipendente dal contratto di società, perché, come affatto condivisibilmente osservato dal sostituto procuratore generale nelle sue conclusioni scritte ex art. 380-ter c.p.c., “ancorata a contestazioni di mala gestio, fra cui il mancato deposito del bilancio (rectius: rendiconto annuale), che possono riassumersi nell’infedeltà al rapporto di mandato che lega l’amministratore alla società”.

1.4. Va rimarcato, altresì, che è certamente consolidato l’indirizzo secondo cui le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno a oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi (Dott., pure nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4956 del 2020 e Cass. n. 24444 del 2009; Cass. n. 3772 del 2005). A tal fine è stato puntualizzato che l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte.

1.4.1. Tuttavia deve sottolinearsi anche il limite del menzionato principio, e, in particolare, che esso ha trovato occasione in controversie di tutt’altra natura rispetto a quella che qui viene in considerazione: segnatamente, nelle controversie involgenti le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio (tale era il caso esaminato da Cass. n. 3772 del 2005, seguita poi, con eguale principio, da Cass. n. 18600 del 2011 e da Cass. n. 13031 del 2014; e tale è stato anche lo specifico oggetto della lite devoluta alla più recente Cass. n. 12391 del 2019).

1.4.2. Ciò consente di prescinderne nella fattispecie in esame, poiché il medesimo principio non è affatto invocabile laddove il coinvolgimento degli interessi superindividuali non sia direttamente inciso dall’oggetto del processo, così da non rientrare tra quelli specificamente da esso presidiati. Va ribadito che – come puntualizzato da Cass. n. 24444 del 2019, “in ambito societario non ci sono posizioni del socio tecnicamente qualificabili come “diritti inerenti al rapporto sociale”, visto che la natura organizzativa delle regole societarie implica che rispetto a tali regole non vengano in considerazione “diritti” in senso proprio ma solo “interessi”. Di diritti potrebbe discorrersi con riferimento alla posizione del socio uti singulus, vale a dire solo in ambito extrasociale. Il punto allora è che, mantenendosi (non fosse altro che perché sedimentata) la qualificazione richiamata ai fini del criterio considerato dirimente, l’interesse superindividuale, per escludere l’ambito di compromettibilità della lite, deve risultare (non mediatamente ma) direttamente coinvolto dall’oggetto del processo. Il che è ovvio, poiché altrimenti si finirebbe per far coincidere l’area della indisponibilità del diritto (sostanziale) – e dunque l’impossibilità di disporne per esempio a scopo transattivo – con l’inderogabilità della norma tesa a regolarlo”.

1.4.3. Ne consegue che una sola cosa rileva nell’odierna fattispecie, e cioè che oggetto del processo è la sola contestazione al socio accomandatario/amministratore di atti di mala gestio, fra cui il mancato deposito del rendiconto annuale, che possono riassumersi, pertanto, nell’infedeltà al rapporto di mandato che lega l’amministratore alla società Cass. n. 11801 del 1998). E tanto consente di affermare la piena compromettibilità della controversia, perché palesemente vertente su diritti patrimoniali disponibili, come tale certamente devolvibile alla competenza arbitrale.

2. Il secondo ed il terzo motivo del predetto ricorso denunciano, poi, rispettivamente:

II) “Violazione dell’art. 808 c.p.c.. Nullità ed inefficacia della clausola compromissoria”, assumendosi che parte attrice aveva dedotto che, come da informazioni dalla stessa assunte, “la Camera arbitrale presso la Camera di Commercio Venezia Giulia Trieste e Gorizia (…), ente astrattamente deputato, secondo la clausola compromissoria, a nominare l’arbitro che risolva le controversie fra i soci o fra alcuni di essi e la società (…), esiste sulla carta, ma non dispone di arbitri e non svolge, né può svolgere, alcun arbitrato. L’attività esercitata si limita alle media conciliazioni previste dal D.Lgs. n. 28 del 2010, l’attività arbitrale è stata abbandonata per carenza di domanda, l’organismo in questione non svolge arbitrati su istanza di parte e non dispone di liste di arbitri dalle quali attingere”;

II) “Violazione dell’art. 183 c.p.c., commi 5 e 6”, per avere “il tribunale erroneamente respinto la questione di nullità o inefficacia della clausola compromissoria oggetto del motivo precedente e declinato l’invito ad esercitare il potere ufficioso di cui all’art. 213 c.p.c., per l’eventuale verifica di quanto sostenuto da parte attrice, peraltro nemmeno contestato dai convenuti, sull’errato presupposto che la questione avrebbe dovuto essere sollevata nel corso della prima udienza, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5. E’ evidente che non si può imputare alla parte attrice di essere decaduta dal sollevare la questione di nullità ed inefficacia della clausola compromissoria e di sollecitare l’esercizio dei poteri ufficiosi di cui all’art. 213 c.p.c., per mancata contestazione alla prima udienza se l’attore aveva chiesto proprio a tale scopo la concessione dei termini prevista dall’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, e detta richiesta è stata rigettata”.

2.1. Anche queste doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano insuscettibili di accoglimento alla stregua delle seguenti considerazioni, affatto dirimenti: i) le Camere di commercio svolgono, istituzionalmente, le funzioni relative alla risoluzione alterativa delle controversie, L. n. 580 del 1993, ex art. 2, comma 2, lett. g), sicché la impossibilità pratica apparentemente dedotta dal ricorrente nemmeno è ipotizzabile; la censura di cui al terzo motivo è carente di autosufficienza, non riportando il contenuto del verbale di causa in cui B.C. avrebbe richiesto l’assegnazione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6 (circostanza, questa specificamente contestata dagli odierni controricorrenti. Cfr. pag. 11 e ss. del controricorso), né dell’atto processuale da cui sarebbe desumibile la mancata contestazione degli originari convenuti circa la pretesa impossibilità pratica, per la Camera arbitrale presso la Camera di Commercio Venezia Giulia Trieste e Gorizia, di svolgere arbitrati su istanza di parte nemmeno disponendo di liste di arbitri cui attingere. In proposito, basta ribadire che, come sancito da Cass., SU, n. 20181 del 2019 anche in motivazione), “ogni qual volta si tratti di risolvere questioni di competenza o di giurisdizione (e in ogni altro caso in cui l’indagine sia diretta ad accertare se il giudice di merito sia incorso in un “error in procedendo”), la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto processuale (Se z. U, Sentenza n. 3195 del 1969; Sez 1, Sentenza n. 1738 del 1988). Tanto premesso, questa Corte (Cass. Se z. 1 -, Sentenza n. 2771 del 2017) ha condivisibilmente affermato che Essa, allorquando sia denunciato un “error in procedendo”, essendo anche giudice del fatto, ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; ma con la precisazione che, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, è necessario una sollecitazione del potere di accertamento del vizio e cioè che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame. Sicché il corrispondente motivo in tanto è ammissibile ove contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale. Infatti, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte allegarli ed indicarli. (cfr. Cass. Se z. 3, Sentenza n. 978 del 2007) …”.; giusta il consolidato insegnamento di questa Corte, l’esercizio del potere, di cui all’art. 213 c.p.c., di richiedere d’ufficio alla P.A. le informazioni relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo, costituisce una facoltà rimessa alla discrezionalità del giudice, il cui mancato esercizio non è censurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 34158 del 2019; Cass. n. 3720 del 2011; Cass. n. 12789 del 2003).

3. In definitiva, l’odierno ricorso deve essere respinto, restando le spese di questo giudizio a carico di B.C., regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna B.C. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 1 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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