Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.5428 del 18/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. r.g. 27660-2020 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Maurizio Brizzolari, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla Via della Conciliazione n. 44.

– ricorrente –

contro

CONSORZIO REGIONALE DI COOPERATIVE DI ABITAZIONE COOP. CASA LAZIO S.C. A R.L., in liquidazione coatta amministrativa, in persona del commissario liquidatore Dott. U.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato Carmela Del Prete, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, al Viale dell’Umanesimo n. 69.

– controricorrente –

avverso la sentenza, n. cronol. 1292/2020, della CORTE DI APPELLO DI ROMA, depositata in data 20/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del giorno 01/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.

FATTI DI CAUSA

1. S.A. chiese, L. fall., ex artt. 101 e 209 (nei rispettivi testi anteriori alle modifiche apportategli dal D.Lgs. n. n. 5 del 2006 e dal D.Lgs. n. 169 del 2007), l’ammissione al passivo della liquidazione coatta amministrativa del Consorzio Regionale di Cooperative di abitazione Coop. Casa Lazio s.c. a r.l. (d’ora in avanti, breviter, L.C.A.) di un proprio credito di complessivi Euro 263.392,84, derivante da effetti cambiari (per Euro 100.127,75) e da un assegno protestato (Euro 165.266,20) asseritamente emessi dal menzionato Consorzio in bonis.

1.1. L’adito Tribunale di Roma, nel contraddittorio con la L.C.A. e previa costituzione, ex art. 302 c.p.c., di S.M., unico erede dell’originario istante, medio tempore deceduto, respinse tale richiesta con sentenza n. 2229/2015.

2. Il gravame di S.M. contro questa decisione è stato rigettato dalla Corte di appello di Roma, con sentenza del 20 febbraio 2020, n. 1292, resa nel contraddittorio con la L.C.A…

2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella Corte ha osservato che: i) “… a conforto della sua tesi circa l’idoneità dei titoli in parola a sollevarlo dall’onere di dimostrare il rapporto fondamentale, l’odierno appellante invoca l’autorità di un precedente giurisprudenziale secondo cui siffatta esenzione sussisterebbe nel caso di una cambiale protestata prima dell’inizio della liquidazione, con il conseguente onere per la Liquidatela di dimostrare l’insussistenza del fatto costitutivo della pretesa (Cass. n. 15565 del 2008). Ebbene, già sarebbe lecito registrare l’inconferenza di siffatto enunciato con riferimento agli effetti cambiari di che trattasi, in quanto non protestati. A ogni buon conto, poi, la Corte ritiene comunque di non condividere una 4ffatta impostazione, una volta preso atto di come la data certa conseguente alla levata del protesto rilevi, a mente dell’art. 2704 c.c., ai soli fini dell’opponibilità della data dei titoli nei confronti dei terzi, impregiudicata dunque la terzietà della Liquidatela appellata rispetto al Consorzio promittente e con il conseguente riparto dell’onere probatorio in base alla regola, generale dell’art. 2967 c.c.. Premesso, poi, anche che il Supremo Collegio, nella circostanza, sembra aver valorizzato la circostanza che la certezza di data del titolo consentirebbe di superare l’esigenza di salvaguardare la massa dalla predisposizione di ragioni fittizie di credito, questa Corte ritiene di affermare che una siffatta ragione di tutela ben può persistere a fronte di frodi perpetrate attraverso la predisposizione di documenti con data certa”; ii) (parimenti infondata, poi, si rivela la restante doglianza sulla mancata compensazione delle spese di lite, consentita dall’art. 92 c.p.c., con riferimento alle diverse ipotesi di soccombenza reciproca, novità delle questioni trattate e revirements giurisprudenziali, oppure, ancora, dalle “gravi ed eccezionali ragioni” secondo l’emenda apportata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 77 del 2018".

3. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione S.M., affidandosi a quattro motivi. Resiste, con controricorso, illustrato anche da memoria ex art. 380-bis c.p.c., la L.C.A..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi tre motivi di ricorso denunciano, rispettivamente:

1) “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1988,2704 e 2697 c.c., e del loro combinato disposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Si ascrive alla corte territoriale di aver ritenuto inapplicabile ai titoli di credito in possesso dell’appellante l’art. 1988 c.c., che dispensa il beneficiario dall’onere di provare il rapporto sottostante, a causa della “terzietà della Liquidatela appellata rispetto al Consorzio promittente, con il conseguente riparto dell’onere probatorio in base alla regola generale dell’art. 2967 c.c.”. Ciò in violazione delle disposizioni indicate in epigrafe e della consolidata giurisprudenza di legittimità che ritiene opponibile al fallimento le scritture private provenienti dalla società in bonis, quando siano in possesso di data certa, in applicazione dell’art. 2704 c.c., con il conseguente illegittimo rigetto della domanda di ammissione al passivo proposta dall’istante sul quale, in realtà, non incombeva l’onere di dare la prova del rapporto sottostante ai titoli di credito prodotti;

II) “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1988,2702 e 2704 c.c., e degli artt. 115,116,345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4)”. Si assume che la corte distrettuale ha affermato l’inapplicabilità dell’insegnamento della Suprema Corte richiamato dal ricorrente, “con riferimento agli effetti cambiari di che trattasi, in quanto non protestati “, omettendo di considerare, innanzitutto che, oltre le cambiali, la domanda dell’originario istante era fondata sull’assegno bancario di Euro 165.266,20, regolarmente protestato il *****, e che le cambiali, tutte emesse il *****, benché non protestate, possedevano la data certa costituita dal timbro datario, apposto sul retro delle cambiali stesse, della Banca Credito Bergamasco il *****, presso il quale il beneficiario le aveva depositate per l’incasso, nonché in virtù dell’estratto conto della Banca del *****, contenente lo specifico ed analitico elenco dei titoli restituiti insoluti. Inoltre, la data dei titoli prodotti – antecedente alla dichiarazione di liquidazione coatta amministrativa del Consorzio, risalente al 6 agosto 2004 – non era stata contestata dalla difesa della liquidatela in primo grado ed era quindi pacifico che fossero stati emessi prima della dichiarazione di l.c.a.

III) “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e dell’art. 111 Cost., comma 6; nullità della sentenza per difetto di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4)”. Si lamenta la motivazione apparente e/o incomprensibile e/o illogica della sentenza impugnata, sia in merito alla dedotta inapplicabilità dell’art. 1988 c.c., che circa l’affermazione che i titoli in possesso dell’odierno ricorrente (in realtà, al riguardo vengono citate solo le cambiali), non fossero stati protestati. Sul primo punto, la corte territoriale, dopo aver premesso di non condividere l’impostazione della giurisprudenza di legittimità richiamata dall’appellante sull’opponibilità al fallimento/l.c.a.. dei titoli di credito aventi data certa, sostiene, in modo del tutto contraddittorio, che la data certa rileverebbe “a mente dell’art. 2704 c.c., ai soli fini dell’opponibilità della data dei titoli nei confronti dei terzi, restando così impregiudicata la terzietà della Liquidatela appellata rispetto al Consorzio promittente, con il conseguente riparto dell’onere della probatorio in base alla regola generale dell’art. 2967 c.c.”; aggiungendo, infine, una motivazione metagiuridica (oltre che illogica), asserendo una presunta esigenza di evitare predisposizione di ragioni fittizie di credito “attraverso la predisposizione documenti con data certa”. Certamente inesistente, poi, è la motivazione sulla mancanza della data certa nel cambiali e nell’assegno su cui era fondato il credito dell’attore, in quanto la corte capitolina territoriale si è limitata ad affermare che le cambiali non erano protestate, non spiegando i motivi per cui il protesto dell’assegno, nonché il timbro datario apposto dalla Banca sulle cambiali e l’estratto conto dei titoli emesso dalla Banca non fossero in grado di fornire la data certa, anche alla luce del comportamento della difesa del Consorzio che non aveva contestato l’anteriorità dell’emissione rispetto alla data della dichiarazione di l.c.a…

2. Tali censure, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano fondate nei soli limiti di cui appresso.

2.1. In sintesi, il ricorrente, deducendo che i titoli di credito allegati alla domanda di ammissione al passivo formulata dal proprio dante causa sono muniti di data certa anteriore all’apertura della liquidazione coatta amministrativa del Consorzio che li aveva emessi, contesta la correttezza della decisione assunta dalla corte distrettuale allorché ha negato che la ricognizione di debito da essi ricavabile producesse l’effetto di inversione dell’onere probatorio previsto dall’art. 1988 c.c..

2.1.1. Secondo lo S., che invoca a conforto dei propri assunti un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, egli, quale unico erede dell’originario destinatario di tali riconoscimenti di debito, era dispensato dalla prova del rapporto fondamentale e sarebbe spettato al commissario liquidatore provare in giudizio il contrario, ossia che il rapporto non era mai sorto o si era estinto.

2.2. La tesi sostenuta dal ricorrente ha trovato accoglimento in vari precedenti di questa Corte (cfr. Cass. n. 26924 del 2017; Cass. n. 9929 del 2018; Cass. n. 2431 del 2020). Giusta tale indirizzo ermeneutico, la ricognizione di debito avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento (nella specie, ovviamente il riferimento deve intendersi all’apertura della liquidazione coatta amministrativa) del suo autore è opponibile alla massa dei creditori, in quanto deve presumersi l’esistenza del rapporto fondamentale, salva la prova – il cui onere grava sul curatore fallimentare (nell’odierna vicenda, invece, il commissario liquidatore) – della sua inesistenza o invalidità.

2.2.1. La tesi opposta è stata accolta con sentenza n. 10215 del 11.4.2019 e poi seguita dalle ordinanze rese da Cass. n. 29254 del 2019 e da Cass. n. 2063 del 2019. In quell’occasione è stato affermato che la ricognizione di debito avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento del suo autore non determina la presunzione dell’esistenza del rapporto fondamentale, trattandosi di documento liberamente apprezzabile dal giudice al pari di quanto avviene per la confessione stragiudiziale resa ad un terzo, quale è il curatore fallimentare. In tale prospettiva, la pronuncia antesignana ha fatto leva sul principio della terzietà del curatore di fronte al tema della prova del credito in sede di accertamento del passivo e ha equiparato la disciplina del riconoscimento di debito a quello della dichiarazione confessoria resa dall’imprenditore prima del suo fallimento, priva degli effetti propri della confessione, ma liberamente apprezzabile dal giudice al pari di ogni altra prova desumibile dal processo.

2.2.2. Alcune successive pronunce, peraltro, hanno “registrato” il contrasto, senza prendere posizione in considerazione delle particolarità del caso concreto Cass. n. 19160 del 2020; Cass. n. 28526 del 2019; Cass. n. 20214 del 2019).

2.3. Recentemente, tuttavia, la Prima Sezione civile di questa Corte, specificamente intervenuta per dirimere il descritto contrasto interpretativo con la sentenza n. 39123 del 2021, ha ritenuto di dissentire dalla tesi esposta sub p. 2.2.1., prediligendo e ritenendo corretto il più risalente orientamento, sulla base delle seguenti, e qui integralmente condivise, argomentazioni.

2.3.1. La ricognizione di debito ha effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determina la cosiddetta astrazione processuale della causa debendi e produce la conseguenza che il destinatario è dispensato dall’onere di provare l’esistenza e la validità del predetto rapporto, così presunto fino a prova contraria. Essa, però, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, presupponendo pur sempre l’esistenza e la validità del rapporto fondamentale, con la conseguenza che la sua efficacia vincolante viene meno qualora sia giudizialmente provato che tale rapporto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento relativo al rapporto fondamentale, che possa comunque incidere sull’obbligazione oggetto del riconoscimento Cass. n. 26334 del 2016; Cass. n. 13506 del 2014; Cass. n. 11332 del 2009).

2.3.2. Partendo da tali premesse, non v’e’ alcuna ragione per ritenere che in caso di fallimento (o, come nella specie, di apertura di liquidazione coatta amministrativa) dell’autore della ricognizione, l’effetto giuridico scaturente dal riconoscimento, purché ovviamente fornito di data certa, sia inopponibile al curatore fallimentare (o al commissario liquidatore); al contrario, l’esistenza del rapporto fondamentale si deve presumere, salva la prova, di cui è ovviamente onerato proprio il curatore (o il commissario liquidatore), dell’inesistenza o dell’invalidità dello stesso.

2.4. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che, nell’odierna vicenda, a fronte della prospettata data certa, alla stregua degli elementi tutti dedotti sul punto dall’istante, dei titoli di credito prodotti da quest’ultimo, la corte distrettuale alcunché ha specificamente argomentato al fine di negarla – così evidentemente incorrendo nel vizio motivazionale ascrittole con l’odierno terzo motivo di ricorso totalmente obliterando, peraltro, che uno di essi era un assegno munito di regolare protesto. Ne’ risulta ragionevolmente contestabile, come verificato da questa Corte mediante l’accesso agli atti contenuti nel fascicolo di ufficio (consentita dalla natura di errores in procedendo dei vizi denunciati con il secondo e terzo motivo in esame), l’avvenuta emissione di quei titoli da parte del medesimo Consorzio, all’epoca in bonis, poi sottoposto a liquidazione coatta amministrativa e parte di questo giudizio.

2.4.1. Ne consegue che la sentenza impugnata merita, perciò solo, di essere cassata, rimettendosi al giudice di rinvio di adeguatamente motivare l’esistenza, o meno, della data certa dei titoli predetti, indiscutibile, comunque, almeno in relazione all’assegno munito di protesto. Ove tale indagine produca un risultato positivo anche in relazione ai titoli cambiari, spetterà, poi, al commissario liquidatore, terzo ai fini dell’opponibilità dei titoli tutti (assegno e cambiali) sottoscritti dal Consorzio in l.c.a., ma successore ex lege del medesimo nella gestione di tutti i suoi pregressi rapporti obbligatori, ove si riveli positivo detto accertamento, dimostrare l’assenza o l’invalidità del rapporto fondamentale, in modo da superare la ridetta presunzione discendente dall’art. 1988 c.c..

2.5. Del resto è stato osservato in modo convincente che, in tema di assegni bancari, pacificamente equiparati dalla giurisprudenza nei rapporti tra traente e prenditore ad una promessa di pagamento (cfr. Cass. n. 19929 del 2011), mai si è dubitato che il possessore del titolo possa ottenere l’ammissione al passivo fallimentare (come di una liquidazione coatta amministrativa) del credito di importo corrispondente a quello dei titoli, in forza della presunzione di esistenza del rapporto sottostante a norma dell’art. 1988 c.c., fino a quando il curatore (o il commissario liquidatore) non vinca tale presunzione fornendo la prova contraria (già a partire da Cass. n. 5972 del 1981).

3. Il quarto motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nonché degli artt. 24 e 111 Cost. – Omessa compensazione delle spese di lite, relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4)” e volto a contestare la mancata compensazione delle spese di lite, può considerarsi assorbito.

4. In definitiva, il ricorso deve essere accolto, nei limiti di cui si è detto, in relazione ai suoi primi tre motivi, assorbito il quarto, e la sentenza impugnata deve essere cassata rinviandosi la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, i primi tre motivi del ricorso, dichiarandone assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 1 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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