LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10394/2015 R.G. proposto da:
sigg.i A.M., e B.S., entrambi con l’avv. Katia Scarpa e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Bernardo De Stasio in Roma, via Federico Cesi n. 72;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Lombardia, Milano, n. 5265/22/2014 pronunciata il 19 giugno 2014 e depositata il 10 ottobre 2014, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 novembre 2021 dal Cons. Marcello M. Fracanzani.
RILEVATO
1. I contribuenti, coniugi, ricevevano la notifica di un questionario con cui l’Amministrazione finanziaria, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 chiedeva loro l’invio di documentazione atta a spiegare la loro capacità contributiva. Presentati all’Ufficio i documenti richiesti, l’Amministrazione finanziaria rettificava sinteticamente i redditi dei due contribuenti in relazione all’anno d’imposta 2006 emettendo, nei confronti di ciascuno, un avviso di accertamento emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6. In particolare, l’Ufficio rideterminava il reddito del sig. A. in Euro 121.272,00 e quello della sig.a B. in Euro 102.696,00 oltre ad addizionale regionale, interessi e sanzioni.
2. Adito il giudice di prossimità e costituitosi l’Ufficio, la Commissione tributaria provinciale accoglieva i gravami nel merito, previa loro riunione.
3. L’Ufficio insorgeva con ricorso in appello, cui resistevano i contribuenti. La Commissione tributaria regionale riformava la sentenza di primo grado ritenendo legittime le riprese a tassazione operate dall’Amministrazione.
4. Ricorrono per la cassazione della sentenza i contribuenti, svolgendo cinque censure, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
1. Con la prima doglianza i contribuenti lamentano la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione del principio che impone la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e, quindi, l’omessa pronuncia.
1.1 In sostanza denunziano “l’assoluta mancanza del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto”, avendo la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccezione svolta dai contribuenti in merito alla duplice violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38. Da un lato, invero, l’Ufficio non aveva più il potere di accertare il reddito “attribuibile” ai contribuenti per l’anno 2006; dall’altro l’Ufficio non aveva ottemperato all’asserito precetto di attivare il preventivo contraddittorio con la parte privata.
Il motivo è infondato.
2. Infatti “Giova poi rilevare che nella sentenza impugnata non è dato ravvisare il vizio dedotto, atteso che “non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (ex multis, Cass. n. 29191 del 2017). Nella specie il rigetto implicito dell’eccezione è rinvenibile nella valutazione nel merito dei motivi posti a fondamento del gravame, esame invero incompatibile con l’accoglimento del rilievo in esame” (Cfr. Cass., V, n. 1855/2020). Nella fattispecie in esame è pacifico che la CTR abbia riformato la decisione, nel merito, di primo grado così implicitamente rigettando le eccezioni preliminari svolte da parte dei contribuenti.
2.1 In relazione, allo specifico punto dell’omesso contraddittorio preliminare bastevole è il richiamo all’ormai radicato orientamento secondo cui “Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, hanno chiarito che l’ambito di applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, è circoscritto ai soli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente, non essendo espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario e non trovando quindi applicazione al di fuori delle ipotesi esplicitamente previste. Ciò comporta che l’Ufficio, al di fuori di tali ipotesi, “può emettere l’avviso di accertamento anche in assenza di un processo verbale che attesti la chiusura dell’attività istruttoria, in difetto di norme che impongano un obbligo di verbalizzazione e laddove sia prevista una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’accertamento” (cfr. anche, tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 26 maggio 2016, n. 10904; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2016, n. 8000; Cass. sez. 6-5, ord. 15 aprile 2016, n. 7600; Cass. sez. 6-5, ord. 14 ottobre 2016, n. 20849). Le stesse Sezioni Unite hanno posto poi la basilare distinzione, riguardo al tema del contraddittorio endoprocedimentale, a seconda che si tratti o meno di tributi armonizzati, questi ultimi soggetti al diritto dell’Unione Europea, chiarendo che “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (nella successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20799; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071; Cass. sez. 6-5, ord. 14 novembre 2017, n. 26943; Cass. sez. 6 – 5, ord. 27 luglio 2018 n. 20036; Cass. sez. 6 – 5, ord. 29 ottobre 2018, n. 27420)” (Cfr. Cass., V, n. 9496/2020).
Incontroverso tra le parti che oggetto degli accertamenti condotti erano i redditi di persone fisiche e non anche i tributi armonizzati, è pacifica l’assenza dell’obbligo di attivazione del contraddittorio preventivo.
Il motivo deve pertanto essere rigettato.
3. Con il secondo motivo la parte ricorrente prospetta censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, degli artt. 2697 e 2727 c.c. e del principio del necessario contraddittorio preventivo.
3.1 In particolare, richiamando alcune pregresse pronunce di questa Corte, affermano di aver censurato gli atti impositivi innanzi ai giudici di merito sia per errata applicazione dei principi dettati in tema di riparto dell’onere probatorio, sia in punto di elusione dell’obbligo di attivazione del contraddittorio preventivo. Rispetto alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 criticano la sentenza di secondo grado per aver la CTR implicitamente rigettato le suddette censure, facendo cattivo governo dei principi rassegnati da questa Corte a partire dalla sentenza n. 23554/2012, secondo cui l’onere di provare il fondamento della pretesa sarebbe ben radicato in capo all’Ufficio, la cui prova doveva peraltro ritenersi meramente indiziaria, tenuto conto che quella dotata della “gravità, precisione e concordanza” veniva in esistenza solo ove fosse stato garantito il contraddittorio preliminare con il contribuente. La CTR avrebbe altresì errato nell’attribuzione ai coniugi delle quote societarie della farmacia (51%-49% in luogo di 50%-50%) e nell’esaminare la documentazione prodotta in atti. In relazione, invece, al contraddittorio, affermano di aver lamentato il mancato rispetto dell’obbligo di attivare il preventivo contraddittorio: doglianza parimenti disattesa in via implicita dalla CTR. Concludono evidenziando che gli atti impositivi erano illegittimi per violazione dello Statuto del contribuente e per carenza della motivazione rispetto alle sanzioni irrogate, rispetto alle quali non erano stati indicati i criteri e i minimi e massimi edittali seguiti per la loro determinazione, sanzioni poi oggetto specifico del quarto e del quinto motivo.
Il motivo è infondato.
4. E’ infondato in relazione al dedotto profilo di violazione del contraddittorio. Richiamando quanto dedotto al primo motivo (Cfr. Cass., V, n. 9496/2020), correttamente la CTR ha negato valenza alla proposta censura di violazione del contraddittorio, non vertendo la fattispecie di cui è causa in materia di IVA.
4.1 Parimenti infondata è la doglianza svolta in punto di onere della prova giacché, come è stato affermato, “la tesi sostenuta nel mezzo in esame si pone in palese ed ingiustificato contrasto con l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, cui la Commissione territoriale ha dato conto di essersi adeguata, in base al quale “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 6, nella versione vigente “ratione temporis”, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” (Cass. n. 25104 del 2014 e, più recentemente, Cass. n. 3804 del 2017 e n. 20477 del 2017); Cass. n. 29067 del 2018 ha ribadito il principio affermando che “In tema di accertamento cd. sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto è onerato della prova contraria sulla loro disponibilità, sull’entità degli stessi e sulla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” (in termini anche Cass. n. 7389 del 2018)” (Cfr. Cass., V, n. 6270/2021).
4.2 Anche sotto questo profilo, pertanto, la doglianza è infondata, non avendo fornito la prova nei termini richiesti da questo Giudice di legittimità.
5. Con la terza censura i contribuenti denunziano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, degli artt. 2697 e 2727 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la CTR avrebbe illegittimamente applicato le suddette norme non avendo tenuto in debito conto la documentazione a suo tempo prodotta. Richiamano sul punto i finanziamenti ottenuti per complessivi Euro 550.000,00 richiesti dai contribuenti al fine di far fronte agli incrementi di spesa, oltre ad altra documentazione, a valere come adempimento all’onere di fornire la prova contraria.
Il motivo è inammissibile per una duplice, concorrente, ragione.
5.1 E’ inammissibile perché la censura svolta non coglie il fulcro centrale della decisione. I contribuenti richiamano invero un inciso della sentenza da cui risulterebbe l’asserito riconoscimento, da parte della CTR, della prova fornita da costoro in ordine ai finanziamenti richiesti e alla donazione ricevuta dalla madre del sig. A.. Ciò nondimeno la CTR avrebbe poi riformato la sentenza di primo grado per omesso adempimento dell’onere probatorio da parte degli stessi contribuenti.
5.2 Orbene, in primo luogo l’inciso in ordine alla prova fornita dai contribuenti è stata estrapolata in modo impreciso dalla parte in fatto della sentenza ove il Giudice d’appello ha ripercorso le verifiche condotte dall’Ufficio, tanto che la frase citata parzialmente dai contribuenti culmina con l’inciso secondo cui “l’Agenzia determinava a tale titolo l’accertamento patrimoniale residuo pari a 155.721,00”.
La CTR, con quell’inciso, non riconosciuto l’assolvimento di alcun onere probatorio, essendosi di fatto limitata a riassumere le premesse dell’accertamento compiuto dall’Ufficio.
5.3 In secondo luogo la CTR afferma che “e’ da evidenziare che la difesa dei contribuenti, nel giudizio di primo grado, si è focalizzato su una quota di incremento patrimoniale che incide sull’accertamento nella misura di Euro 26.872,00 senza nulla eccepire in ordine a tutti gli altri elementi di accertamento evidenziati dall’Agenzia negli avvisi impugnati. Pertanto, in questo grado, il dibattito rimane ristretto alla prova che le spese finanziarie per gli incrementi patrimoniali siano state sostenute con somme non costituenti reddito imponibile, prova che è stata fornita solo in parte dai contribuenti….Pertanto la prova liberatoria che i contribuenti avrebbero dovuto fornire, e non hanno fornito, era quella di aver effettuato il pagamento del residuo prezzo di acquisto delle quote con somme personali non costituenti reddito imponibile, in quanto costituite da redditi esenti o soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo d’imposta ovvero escluse per legge dalla formazione del reddito imponibile”. Pertanto, la CTR non solo ha ristretto l’ambito di scrutinio (“quota di incremento patrimoniale che incide sull’accertamento nella misura di Euro 26.872,00 senza nulla eccepire in ordine a tutti gli altri elementi di accertamento”), ma ha altresì concluso affermando che la documentazione versata in atti era inidonea a provare la sussistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte.
5.4 Tanto premesso, la parte ricorrente non ha specificatamente censurato alcuno dei due suindicati profili (ambito di scrutino e prova liberatoria), limitandosi a ricordare la documentazione versata in atti, evidenziando come essa fosse idonea a sconfessare la fondatezza della presunzione su cui l’Ufficio aveva fondato il proprio atto impositivo.
5.5 E ciò senza dimenticare che a questa Corte non è consentita una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (cfr. Cass.; III, 17036/2018). Il motivo è pertanto inammissibile.
6. La quarta doglianza è volta a denunziare la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione del principio che impone la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
6.1 In sostanza la parte ricorrente censura la decisione gravata per carenza della motivazione rispetto alle sanzioni irrogate, rispetto alle quali non erano stati indicati i criteri e i minimi e massimi edittali seguiti per la loro determinazione. La CTR avrebbe dunque omesso di pronunciarsi sulle eccezioni, riproposte con l’appello, di nullità dell’avviso di accertamento impugnato per mancanza di motivazione in ordine alle sanzioni irrogate.
7. Con il quinto motivo i contribuenti lamentano la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16 e degli artt. 2697 e 2727 c.c. in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
7.1 Segnatamente i contribuenti criticano nuovamente la sentenza nella parte in cui la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi sulle eccezioni svolte in punto di sanzioni irrogate, ma sotto il difetto profilo del rigetto implicito. In particolare, affermano che, quand’anche il silenzio fosse inteso come rigetto implicito, la sentenza sarebbe comunque errata per violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16 giacché la CTR, stante il dettato del D.Lgs. n. citato, art. 16 avrebbe dovuto verificare in concreto sia le prove, sia i criteri seguiti nella determinazione delle sanzioni.
8. I due motivi, strettamente connessi tra loro, possono essere scrutinati congiuntamente.
8.1 Giova ribadire l’orientamento espresso anche di recente da questa Corte secondo cui “la sentenza qui impugnata, nel confermare la legittimità dell’avviso di accertamento, ha implicitamente confermato le sanzioni irrogate in relazione alle violazioni contestate con l’atto di accertamento, così ritenendo (implicitamente) che la loro motivazione trovava fondamento nell’accertamento delle violazioni finanziarie. In sostanza, nella misura in cui la sentenza impugnata ha ritenuto legittime le violazioni finanziarie contestate con l’atto di accertamento, ha, parimenti, ritenuto legittime le conseguenti sanzioni che sono state irrogate con l’atto di accertamento. Se è vero, infatti, che del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, il comma 2 prevede, a pena di nullità, la necessità della motivazione dell’atto di contestazione, è pur vero che tale requisito di validità opera quando le sanzioni vengono irrogate con atto separato e non quando le stesse siano irrogate contestualmente e unitamente all’accertamento del maggior reddito rispetto a quello dichiarato e contestato. A tal proposito, s’intende ribadire e far proprio il principio affermato da questa Corte in fattispecie analoghe (cfr., in materia di ICI, Cass., 05/08/2016, n. 16484; in materia di imposte indirette, cfr. Cass., 01/08/2019 n. 20733, non massimata e Cass., 18/02/2020 n. 4070, non massimata), secondo cui: “In tema di sanzioni amministrative tributarie, nel caso in cui la sanzione, collegata al tributo cui si riferisce, sia irrogata – ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17 (Irrogazione immediata) – con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, essa è da intendersi motivata per relationem alla pretesa fiscale che sia definita nei suoi elementi essenziali, sì da giustificare la sanzione per essa irrogata e contenuta nel medesimo atto”. (Cfr. Cass., V, 11610/2021).
8.2 I motivi sono pertanto infondati, tenuto conto che con l’atto impositivo l’Ufficio aveva rideterminato sinteticamente il reddito irrogando contestualmente anche le relative sanzioni.
9. In conclusione il ricorso va respinto.
10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro quattromilacento/00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022