LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15730-2020 proposto da:
RISORSE PER ROMA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI G. FARAVELLI n. 22, presso lo studio dell’avvocato GIOSAFAT RIGANO’, che la rappresenta e difende;
– ricorrente-
contro
C.E., G.G., B.M., D.G., CO.MA.GR., c.s., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO, 85, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANA ANDERLUCCI, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3243/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata l’08/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 21/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado – per quanto qui ancora rileva – che aveva rigettato le opposizioni avverso i decreti ingiuntivi con i quali era stato ingiunto a Risorse per Roma Spa di corrispondere ai lavoratori in epigrafe somme a titolo di indennità previste da un accordo sindacale del ***** per l’attività prestata fuori sede, sotto forma di “buoni-pasto” del valore di Euro 5.16 per ogni giorno di presenza;
2. i giudici d’appello, conformemente a precedenti della medesima Corte ed a quanto ritenuto dal primo giudice, hanno interpretato il contenuto dell’accordo aziendale nel senso che il riferimento alle “attività lavorative (…) assegnate presso strutture esterne agli uffici aziendali” consentisse di riconoscere l’indennità anche ai lavoratori chiamati a lavorare presso l’ufficio del condono edilizio presso la sede di *****;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente con unico articolato motivo; hanno resistito con controricorso gli intimati G., c., C., B., D., Co.;
4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.
CONSIDERATO
che:
1. con il motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia: “violazione dell’accordo sindacale *****, in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c.”; si deduce che, “in base ai canoni ermeneutici (quello letterale in primis e quelli sussidiari successivamente), l’interpretazione dell’accordo sindacale ***** è nel senso che l’indennità di cui si discute è da riconoscere ai soli dipendenti inviati a rotazione “in missione” in contesti differenti da quelli aziendali, quali i dipartimenti del Comune di Roma, e non certo come sedi diverse dalla sede legale, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte di Appello di Roma”;
2. il motivo è inammissibile, anche alla stregua di quanto già ritenuto da questa Corte in analoghe controversie (v. Cass. n. 17347 del 2021 e Cass. n. 27991 del 2021);
invero, l’interpretazione di ogni atto di autonomia negoziale è riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006), con una operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto (Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014); le valutazioni del giudice di merito in ordine all’interpretazione degli atti negoziali pertanto soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003); inoltre, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione – ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni della obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito – non potendo le censure risolversi, in contrasto con l’interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli:; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000);
al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale la società ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile a lei più favorevole; ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10131 del 2006);
infatti il ricorso in sede di legittimità – riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo – laddove censuri l’interpretazione del negozio accolta dalla sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non può, invece, affidarsi, come nella specie, alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (in termini: Cass. n. 18375 del 2006);
infine, sostanziandosi l’interpretazione della volontà negoziale in un accertamento di fatto, ogni diversa valutazione di detto fatto è preclusa in caso di cd. “doppia conforme” ex art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, come nella specie;
3. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario Avv. Cristiana Anderlucci;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge, con distrazione all’avv. Anderlucci antistataria.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022