LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23060-2020 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
Z.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLO STATUTO n. 32, presso l’avv. ANGELO DAMIANI che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di VELLETRI, depositata il 13/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/02/2022 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato il 5.12.2019 Z.S. proponeva opposizione avverso il decreto con il quale il Tribunale di Velletri aveva liquidato il compenso spettantele per l’attività prestata, nell’ambito di un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio, come difensore di una parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Velletri accoglieva il ricorso, determinando il compenso spettante all’odierna controricorrente in Euro 1.302,50, in applicazione dei minimi tariffari previsti per le cause di valore indeterminabile, secondo lo scaglione compreso tra Euro 26.000,01 ed Euro 52.000.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione il Ministero della Giustizia, affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso Z.S..
La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “PROPOSTA DI DEFINIZIONE EX ART. 380-BIS C.P.C..
INAMMISSIBILITA’ del ricorso.
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Velletri ha liquidato in favore di Z.S. l’importo di Euro 1.302,50 per l’assistenza prestata, nell’ambito di un giudizio di separazione personale dei coniugi, in favore di soggetto ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione il Ministero della Giustizia, affidandosi ad un unico motivo con il quale contesta l’erronea applicazione, da parte del giudice di merito, dello scaglione di tariffa previsto per le cause di valore compreso tra Euro 26.000,01 ed Euro 52.000 in luogo di quello inferiore, relativo alle cause di valore compreso tra Euro 5.200,01 ed Euro 26.000. Ad avviso del Ministero ricorrente, poiché il D.M. n. 55 del 2014, art. 5 prevede che per l’attività professionale prestata nelle cause di valore indeterminabile il compenso vada liquidato con riferimento al valore “non inferiore ad Euro 26.000”, lo scaglione corretto da applicare sarebbe quello previsto per le cause aventi un valore compreso tra Euro 5.000,01 ed Euro 26.000,01.
La censura è inammissibile.
Da un lato, si deve osservare che il D.M. n. 55 del 2014, art. 5, prevede che “Le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversià. La previsione di un valore minimo (“non inferiore”) non implica alcun obbligo di applicare lo scaglione previsto per le cause aventi valore pari ad Euro 26.000, ben potendosi applicare anche quello successivo, previsto per i giudizi da Euro 26.000,01 ad Euro 52.000 ovvero quello ancora più alto, previsto per le controversie di valore compreso tra Euro 52.000,01 ed Euro 260.000. Dall’altro lato, la censura difetta di specificità, posto che il Ministero ricorrente non indica quale sarebbe stato, in concreto, il pregiudizio economico che sarebbe conseguenza del vizio denunciato. In proposito, va data continuità all’orientamento secondo cui, qualora il ricorrente lamenti la scorretta applicazione di una determinata tariffa, o di uno scaglione della stessa, in luogo di quelli cui il giudice di merito avrebbe dovuto fare riferimento, ha l’onere di specificare, nel motivo di censura dedotto in Cassazione, le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 30716 del 21/12/2017, Rv. 647175; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18086 del 07/08/2009, Rv. 609456; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27020 del 15/11/2017, Rv. 64617), di indicare il valore della controversia (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 2532 del 10/02/2015, Rv. 634324) e di dimostrare che l’attività sia stata effettivamente resa e quali siano state, in concreto, le violazioni dei limiti tariffari (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 7654 del 27/03/2013, Rv. 625598), perché solo in questo modo il collegio viene posto in grado di apprezzare quale sarebbe stato, in concreto, il pregiudizio economico che la parte avrebbe subito per effetto del vizio denunciatò.
Il Collegio condivide la proposta del Relatore.
Con la memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente deduce che, pur non essendo obbligatoria l’applicazione dello scaglione di valore inferiore a quello in concreto utilizzato dal giudice di merito, l’errore di diritto commesso da quest’ultimo consisterebbe nel non aver considerato affatto la possibilità di utilizzare il predetto scaglione inferiore. Secondo il Ministero, poiché il Tribunale aveva affermato che, vista la scarsa complessità dell’attività svolta, doveva essere liquidato alla Z. un compenso parametrato ai minimi tariffari, dall’applicazione dello scaglione ritenuto corretto (quello compreso tra Euro 5.000,01 ed Euro 26.000) sarebbe derivata una liquidazione inferiore a quella in concreto riconosciuta alla professionista. Pertanto, dall’applicazione dello scaglione ritenuto erroneo sarebbe derivato un pregiudizio in re ipsa, consistente nella differenza tra i valori minimi previsti dai due scaglioni di cui anzidetto.
La tesi presuppone che sia possibile individuare, nell’ambito della decisione sulla liquidazione del compenso spettante al difensore, due distinti ed autonomi punti, l’uno concernente l’individuazione dello scaglione applicabile, e l’altro avente ad oggetto la scelta di quale valore, compreso tra i minimi ed i massimi previsti dallo scaglione ritenuto coerente con il valore della controversia, applicare in concreto. In realtà, la statuizione sul compenso, analogamente a quella sulle spese di lite, è unitaria, non essendo possibile individuare, all’interno della sequenza logica articolata in fatto (valore della controversia), dato normativo (scaglione di tariffa applicabile) ed effetto finale (individuazione del compenso da liquidare) un decisum indipendente, suscettibile di passare in giudicato.
In argomento, va ribadito il principio secondo cui “Costituisce capo autonomo della sentenza -come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato interno- solo quello che risolva una questione controversa tra le parti, caratterizzata da una propria individualità e una propria autonomia, sì da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum affatto indipendente, ma non anche quello relativo ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 2379 del 31/01/2018, Rv. 647932; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22863 del 30/10/2007, Rv. 599955).
Infatti “La locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perché, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione” (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 16853 del 26/06/2018, Rv. 649361; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 12202 del 16/05/2017, Rv. 644289 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 2217 del 04/02/2016, Rv. 638957).
Da ciò consegue l’impossibilità di individuare una statuizione sull’applicazione dei minimi di tariffa che prescinda dall’individuazione dello scaglione applicabile. Con la conseguenza che la parte che lamenti di aver subito un pregiudizio per effetto dell’applicazione di uno scaglione superiore a quello ritenuto corretto, alla luce del valore della causa, non può limitarsi alla semplice allegazione dell’errore nella determinazione dello scaglione, ma deve indicare, in concreto, quale sia il pregiudizio concreto subito a causa dell’errore predetto.
Diversamente argomentando, si ammetterebbe la proposizione di una censura meramente teorica, senza considerare il principio valido anche per le impugnazioni- per cui “L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28405 del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15355 del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez.6-L, Ordinanza n. 2051 del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv. 622515). Infatti “… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009, Rv.611498).
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile, in coerenza con la proposta del relatore.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 700, di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali, nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile, il 11 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022