LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18788-2019 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI, MAURO SFERRAZZA, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;
– ricorrente –
contro
G.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSARIO SANTESE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 679/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 10/12/2018 R.G.N. 536/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2021 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato SAMUELA PISCHEDDA per delega verbale dell’avvocato MAURO SFERRAZZA.
FATTI DI CAUSA
1. G.A. agiva, nei confronti dell’INPS, per l’accertamento del rapporto di lavoro agricolo svolto alle dipendenze della società S. F.lli Spa (di seguito, solo S.) per n. 151 giornate nell’anno 2012 e per il conseguente diritto all’iscrizione negli elenchi dei braccianti agricoli e all’indennità di disoccupazione.
2. Il Tribunale di Salerno rigettava la domanda sulla base della argomentazione che, con altra pronuncia del medesimo Tribunale, era stata accertata la natura industriale dell’attività svolta dalla società S..
3. All’esito del gravame interposto dalla lavoratrice, la Corte territoriale, in riforma della decisione di primo grado, ha, invece, riconosciuto il diritto della lavoratrice all’iscrizione negli elenchi dei braccianti agricoli fino al periodo di paga in corso alla data del *****.
4. A fondamento del decisum, ha osservato come la controversia fosse originata dalla riclassificazione della datrice di lavoro da azienda agricola ad azienda industriale per effetto di accertamenti ispettivi notificati il *****.
5. Individuato l’interesse ad agire (della lavoratrice) all’esatta classificazione dell’attività imprenditoriale della parte datoriale (per i diversi riflessi sulla posizione previdenziale), ha ritenuto che la variazione della classificazione aziendale, così come operata dall’Inps, dovesse decorrere dal periodo di paga in corso alla data di notifica dei verbali di accertamento, non ricorrendo i presupposti per la retrodatazione di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, in difetto di “dichiarazioni (iniziali) inesatte del datore di lavoro”.
6. Per la cassazione della sentenza, l’Inps ha proposto ricorso, affidato a due motivi.
7. Ha resistito, con controricorso, G.A..
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – è dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in ragione del fatto che la sentenza impugnata avrebbe accolto la domanda della lavoratrice motivando mediante un mero rinvio ad altro precedente del medesimo ufficio che aveva riguardato il contenzioso instaurato dal datore di lavoro (id est: dalla società S.) nei riguardi dell’INPS per l’inquadramento operato dall’Istituto, nel settore industriale anziché in quello agricolo, dell’attività imprenditoriale.
8. Il motivo è infondato.
9. La sentenza impugnata ha espresso le ragioni della decisione non solo facendo riferimento alla sentenza n. 674 del 2018, di cui ha ripercorso, criticamente, i passaggi decisivi ma esternando (v. punto 10, pag. 4 della sentenza impugnata) autonome ragioni in fatto ed in diritto, per cui il rilievo di nullità è ingiustificato.
11. Nello specifico, la Corte di appello ha fatto proprie, condividendole, le conclusioni del precedente richiamato ed ha osservato come la classificazione iniziale non fosse imputabile a dichiarazioni inesatte del datore di lavoro; su tale presupposto di fatto, e’, dunque, pervenuta alla conclusione che gli effetti della variazione accertata dagli ispettori decorressero dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione.
12. Le ragioni che sorreggono il decisum sono, dunque, chiaramente espresse sicché nessun vizio di omessa o inesistente motivazione si è determinato, potendo piuttosto discutersi solo di condivisibilità o meno del percorso motivazionale ma non di una esistenza, in fatto, dello stesso.
13. Questa Corte (vd. da ultimo Cass. n. 3126 del 2021) ha pure affermato che al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione, così da doversi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse. Invero, il mancato esame di tesi difensive o di rilievi non compatibili con la decisione adottata non integra il vizio di cui all’art. 132 c.p.c., comma 4, dovendosi considerare implicitamente disattesi (Cass. n. 27402 del 2018; Cass. n. 26184 del 2019).
14. Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, della L. n. 352 del 1978, artt. 1, 2,3 e 4, e del D.L. n. 269 del 2003, art. 44 bis, convertito con modificazioni nella L. n. 326 del 2003.
15. Si denuncia l’errore interpretativo in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel negare l’effetto retroattivo dell’inquadramento nel settore industriale, a fronte dell’accertamento ispettivo relativo all’omessa comunicazione di circostanze attinenti al mutamento dell’attività aziendale in origine agricola; tale circostanza avrebbe dovuto condurre all’applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, secondo il quale l’effetto retroattivo del nuovo inquadramento si determina anche laddove non siano state comunicate talune circostanze che si aveva l’obbligo di comunicare e non solo laddove siano state comunicate circostanze inesatte.
16. Il ricorrente critica l’orientamento di legittimità cui ha aderito la sentenza impugnata (Cass. n. 4521 del 2006, n. 26886 del 2006; n. 27347 del 2017 e n. 3460 del 2018) e che ha superato quello espresso da Cass. n. 13383 del 2008 e n. 8558 del 2014, in considerazione del fatto che l’Ente ha contezza degli elementi caratterizzanti il rapporto contributivo solo nel caso in cui il datore di lavoro comunichi anche le variazioni degli elementi necessari ai fini del computo della relativa obbligazione, come espressamente previsto dalla L. n. 352 del 1978, artt. 1, 2,3 e 4, e dal D.L. n. 269 del 2003, art. 44-bis, con modificazioni nella L. n. 326 del 2003. Se ciò non avviene, l’omessa comunicazione equivale giuridicamente ad una inesatta comunicazione.
17. Il secondo motivo, come già chiarito, da ultimo, da Cass. n. 5541 del 2021, è infondato.
18. Con la citata pronuncia questa Corte di cassazione, in ordine all’interpretazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, ha ormai consolidato il principio secondo il quale la disposizione in questione, nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento o della richiesta dell’interessato, ha valenza generale, ed è quindi applicabile ad ogni ipotesi di rettifica di precedenti inquadramenti operata dall’Istituto dopo la data di entrata in vigore della L. n. 335 del 1995, indipendentemente dai parametri adottati, in base ad una lettura sistematica e costituzionalmente orientata della norma, volta ad uniformare il trattamento di imprese di identica natura ed attività, ma disomogenee nella classificazione (Cass. S.U. n. 16875 del 12/08/2005).
19. La norma impone invece la retroattività degli effetti della variazione ogni volta che vi sia stato nel momento iniziale dell’attività un comportamento del datore di lavoro positivo e volontario tale da determinare un inquadramento errato, qual è l’inoltro di dichiarazioni inesatte.
20. La condotta ivi prevista è affatto diversa dal comportamento omissivo intervenuto nel corso dell’attività del datore di lavoro, che trova una specifica sanzione (come illecito amministrativo) nel D.L. n. 352 del 1978, art. 2, comma 1, convertito in L. n. 467 del 1978, che prevede l’obbligo dell’impresa di comunicare agli enti previdenziali le variazioni relative all’attività imprenditoriale svolta e la sanzione per la relativa violazione, ma non determina la retrodatazione dell’inquadramento (Cass. n. 14258 del 2019).
21. L’arresto sopra richiamato ha dato ulteriore continuità all’orientamento assunto da questa Corte con la pronuncia n. 4521 del 2006 e con quelle, più recenti, n. 27347 del 2017, nn. 3459 e 3460 del 2018, in consapevole dissenso dalla diversa tesi sostenuta, in ultimo, da Cass. n. 8558 del 2014.
22. La prima soluzione deve infatti essere preferita, in quanto è coerente con la natura eccettiva della deroga all’operatività della classificazione ex nunc, deroga prevista testualmente per il solo caso delle inesattezze nella dichiarazione iniziale e che dunque non può essere applicata al di fuori delle ipotesi ivi tassativamente indicate e tipizzate, stante il divieto anche di interpretazione analogica ed estensiva, posto con riferimento alla legge speciale, dall’art. 14 preleggi; essa inoltre privilegia le esigenze di certezza nel rapporto contributivo, che ha ripercussioni sul bilancio dell’istituto ed anche sulle posizioni previdenziali dei singoli lavoratori.
23. Tale orientamento si è oramai affermato e poggia su considerazioni di carattere sistematico che resistono alle critiche formulate dal ricorrente; tali critiche risultano, invece, improntate, per un verso, a considerazioni di carattere generale quali quelle che evidenziano la conoscenza degli eventi relativi al rapporto di lavoro solo in capo al datore di lavoro e non da parte degli Enti e, per altro verso, alla mera considerazione dei diversi obblighi di comunicazione imposti dalle norme citate, diverse da quella relativa alla decorrenza dei nuovi inquadramenti.
24. Si tratta di osservazioni che non incidono sulla ratio della scelta legislativa sottesa alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 8, ed alla specificità del bilanciamento operato dalla stessa disposizione tra interesse pubblico alla retrodatazione degli effetti del nuovo inquadramento ed interesse dell’impresa a non essere soggetta ad obbligazioni per periodi ormai trascorsi.
25. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
26. Le spese vanno compensate in ragione del consolidarsi dell’orientamento sopra ribadito in tempi successivi all’introduzione del presente giudizio.
27. Sussistono, invece, in ragione dell’esito del ricorso, i presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, del doppio contributo, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022