Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.572 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3666-2016 proposto da:

I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI

“GIOVANNI AMENDOLA”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DEL VECCHIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio degli avvocati ROBERTO PESSI, MAURIZIO SANTORI, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

E contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, ESTER ADA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO;

– resistente con mandato –

E contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE GESTIONE EX ENPALS

– ENTE NAZIONALE PREVIDENZA E DI ASSISTENZA PER I LAVORATORI DELLO SPETTACOLO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 936/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/02/2015 R.G.N. 1154/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/11/2021 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE.

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Roma, a conferma della pronuncia del Tribunale di Roma, ha rigettato il ricorso dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” (d’ora in avanti INPGI) avverso l’accoglimento dell’opposizione proposta dalla RAI a decreto ingiuntivo per l’omesso versamento dei contributi assicurativi relativi ai rapporti di lavoro giornalistico intercorsi tra l’azienda ed alcuni programmisti registi;

il tema concerne non già la natura subordinata dei rapporti, pacifica in causa, ma la natura giornalistica dell’attività svolta dai dipendenti; in proposito la Corte territoriale ha ritenuto che nella figura del programmista regista non sia rinvenibile quell’attività di mediazione diretta fra chi acquisisce la conoscenza del fatto e chi tale fatto diffonde tra i destinatari, tipica della professione giornalistica; la sentenza gravata procede a un accertamento in fatto, elencando le attività alle quali, secondo gli esiti della prova testimoniale, i lavoratori erano addetti, per giungere alla conclusione che non emergevano elementi utili a far ritenere i programmi comparabili a una testata giornalistica;

la cassazione della sentenza è domandata dall’INPGI sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria;

la RAI ha depositato tempestivo controricorso;

l’INPS ha depositato procura speciale in calce al ricorso.

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, formulato a sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente deduce “Violazione della L. 3 febbraio 1963, n. 69, artt. 1 e 32, anche in relazione all’art. 2575 c.c. e alla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 1”; denuncia che, nel verificare la natura dell’attività svolta dai dipendenti RAI, la Corte d’appello si sarebbe basata sul solo contratto collettivo, disattendendo la nozione di lavoro giornalistico desumibile dalle leggi richiamate in epigrafe; che avrebbe, inoltre, erroneamente affermato che, ai fini della qualificazione del programmista regista quale giornalista, sarebbe stata necessaria la concorrenza dell’elemento ulteriore concernente la creatività della mansione svolta;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia “Violazione del Contratto Nazionale di lavoro giornalistico, art. 1 e ss., artt. 1 e 11, L. 3 febbraio 1963, n. 69. Violazione e falsa applicazione della L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 34”;

contesta la valutazione dell’attività svolta dalla Corte d’appello, secondo cui la qualifica di giornalista andrebbe attribuita soltanto ai lavoratori che sono parte di testate giornalistiche, o che, comunque, sono inseriti in programmi al cui prodotto giornalistico partecipano;

i motivi, da esaminare congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondati;

pur volendo riqualificare come vizio di motivazione i motivi, dedotti impropriamente dalla difesa di parte ricorrente quale violazione di legge, va rilevato che la conclusione cui giunge il giudice del merito è fondata su un accertamento in fatto da cui risulta che i dipendenti RAI con mansioni di programmista regista non svolgono lavoro giornalistico;

la giurisprudenza di legittimità afferma in proposito che “In tema di lavoro giornalistico, ai fini della sussistenza dell’obbligo di iscrizione all’INPGI è necessario che ricorrano due requisiti, tra loro concorrenti e non alternativi, quali l’iscrizione all’Albo dei giornalisti (elenco professionisti, elenco pubblicisti e/o registro praticanti) e lo svolgimento di attività lavorativa riconducibile a quella professionale giornalistica presso il datore di lavoro chiamato a versare i contributi” (così, per tutte, Cass. n. 14391 del 2021);

pertanto, avendo la Corte d’appello accertato, con un giudizio insindacabile in questa sede, l’assenza, in capo ai lavoratori RAI oggetto del recupero contributivo, della qualifica di giornalista, è corretta, alla luce dell’orientamento consolidatosi presso questa Corte, la conclusione cui giunge il provvedimento impugnato, che ha giudicato la pretesa dell’INPGI priva di fondamento;

in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della parte costituita; non si provvede sulle spese nei confronti dell’Inps che non ha svolto attività difensiva;

in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della RAI, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, alla Camera di Consiglio, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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