Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.575 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1440-2021 proposto da:

B.A., B.F., B.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FILIPPO ERMINI, 68, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA SALUSTRI, rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLO MOMARONI;

– ricorrenti –

contro

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 114/B, presso lo studio dell’avvocato PAOLA ALLEGRETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO ZAGANELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 270/2020 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 15/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE GRASSO.

CONSIDERATO

che il Collegio condivide i rilievi di cui appresso, formulati dal relatore in seno alla proposta:

“ritenuto che la vicenda può riassumersi nei termini seguenti:

– B.F., B.R. e B.A., premettendo di essere comproprietari di alcuni stacchi di terreno con fabbricato rurale, posti a confine con il fondo di P.R., lamentando che quest’ultimo aveva gravato la loro proprietà di un’illegittima servitù di scarico di acque bianche e luride, messo in opera manufatti e piantato alberi a distanza illegale; procurato immissioni ingiuste a causa della presenza di animali e di una concimaia, si rivolsero al giudice chiedendo condanna alla rimozione e al risarcimento del danno;

– il convenuto, a sua volta propose domande riconvenzionali;

– il Tribunale condannò il convenuto a rimuovere le tubnioni di scarico, rigettando ogni altra domanda attorea; condannò i B. a rimuovere un muro eretto nell’area retrostante la loro abitazione, a ripristinare un viottolo nella sua larghezza originaria, sul quale riconobbe al convenuto il diritto di transito pedonale e con mezzi meccanici;

– la Corte d’appello di Perugia rigettò l’impugnazione proposta dai B.; ritenuto che gli insoddisfatti appellanti ricorrono avverso quest’ultima sentenza sulla base di due motivi (ulteriormente illustrati da memoria) e che P.R. resiste con controricorso (sulla rituale notifica dello stesso, contestata dai ricorrenti, non occorre soffermarsi stante l’epilogo).

OSSERVA 1. Con il secondo motivo, che per le ragioni che di qui a poco si illustreranno, conviene trattare per primo, i ricorrenti denunciano il difetto di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Assumono i ricorrenti che si era in presenza di motivazione apparente: la Corte locale aveva confermato la sentenza di primo grado senza dar conto delle puntuali e plurime critiche mosse dagli appellanti e senza in alcun modo rendere palese le ragioni di una tale apodittica adesione. Inoltre, la decisione impugnata era caduta in insanabile contraddizione, avendo prima affermato che nessuna delle parti aveva mosso rilievo alla ctu per poi subito dopo prendere in esame, sia pure per disattenderle, le mosse osservazioni. Della ctu non erano state prese in considerazioni le risultanze favorevoli ai ricorrenti.

1.1. Il motivo è manifestamente fondato.

Occorre partire dalla motivazione (invero oltremodo scarna) della sentenza d’appello. Scrive la Corte di Perugia: “L’appello appare infondato e non merita accoglimento. La sentenza infatti sulla base delle CTU e delle risultanze istruttorie appare corretta e non meritevole di censure. Infatti l’impugnata sentenza, con motivazione stringata, ma conforme ai nuovi canoni redazionali, dimostra di aver tenuto ben in conto sia le risultanze della prova testimoniale sia le conclusioni della Ctu, comunque non contestate da nessuna delle parti. Peraltro le presunte contraddizioni sono irrilevanti poiché, come correttamente osserva il primo Giudice”… l’asserito non collegamento tra strada vicinale Casalino e la proprietà del convenuto risulta dalla carta, ma non dall’effettivo stato dei luoghi, come in effetti è risultato dall’istruttoria espletata. Le dichiarazioni testimoniali appaiono attendibili e tenute in debita considerazione dal giudice di prime cure che le ha utilizzate a ulteriore supporto delle conclusioni del CTU che è stata tenuta giustamente in debita considerazione dal giudice di prime cure giungendo a conclusioni condivisibili anche da questa Corte, che pur valutando le eccezioni solevate con l’atto d’appello, le ritiene non idonee a scalfirne la consistenza. Correttamente, il Giudice di prime cure ha inoltre ritenuto non provata la domanda di risarcimento danni formulata da parte attrice attuale appellante in quanto non provata”.

La sentenza non spiega, neppure in estrema sintesi, in cosa siano consistite le critiche mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado, limitandosi a indicare i “capi” di quest’ultima sentenza posti in discussione: la condanna al rispristino del viottolo, la condanna a rimuovere il muro, il rigetto della domanda risarcitoria.

1.1.1. La giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016).

A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.

Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S. U, n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S. U. n. 8054, 7/412014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).

La sentenza di appello, motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, deve considerarsi nulla qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Se: 6, n. 22022, 2119/ 2017, Rv. 645333; si veda pure Cass. n. 16057/ 2018).

Alla luce dei richiamati principi la sentenza della Corte di Perugia deve essere dichiarata nulla, poiché sorretta da un costrutto motivazionale di pura ed evidente apparenza, attraverso il quale il giudice si è illegittimamente sottratto al dovere di spiegare le ragioni della propria decisione, la quale s’impone e giustifica proprio attraverso la piena visibilità del percorso argomentativo, che non può ridursi al nudo atto di libera, anzi arbitraria, manifestazione del volere, avendo il giudice il dovere di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, non essendo bastevole una sommaria evocazione priva di un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (in tal senso, da ultimo, Cass. nn. 9105 / 2017, 20921/2019,13248/2020).

Nel caso al vaglio risulta d’evidenza paradigmatica l’inconcludenza motivazionale (“tamquam non esset”): la sentenza è priva di qualsivoglia specifico riferimento alla fattispecie esaminata, alle censure mosse alla sentenza di primo grado, ai passaggi argomentativi di primo grado, alle ragioni di condivisione di essi e, per contrasto, alle ragioni di dissenso delle critiche mosse dalla parte appellante.

In definitiva, resta insondabile il percorso argomentativo seguito dal giudice e cripticamente apodittica la decisione. Di talché si versa nell’ipotesi del modello di decisione apriori, nel quale assume rilievo l’atto del puro volere del giudice (rigetto dell’impugnazione), privo del costrutto giustificativo, in totale difformità del modello imposto dall’art. 111 Cost.”.

Cassata, pertanto, con rinvio la sentenza impugnata, il primo motivo, con il quale i ricorrenti denunciano nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la sentenza impugnata pronunciata sui motivi d’appello, resta assorbito.

Il Giudice del rinvio provvederà a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto motivo e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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