Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.577 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. r.g. 14769-2020 proposto da:

M.U., elettivamente domiciliato in Castelfidardo (AN), alla via Soprani n. 2b, presso lo studio dell’Avvocato Mario Novelli, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso l’ordinanza n. cronol. 2295/2020 del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 26/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 22/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.

FATTI DI CAUSA

1. M.U., nativo del Pakistan, ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, contro l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 26 febbraio 2020, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere, esclusivamente, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. In particolare, quel tribunale, all’esito dell’eseguita comparazione tra la situazione del Paese di origine ed il livello di integrazione raggiunto dall’odierno ricorrente sul territorio nazionale, ritenne la sua richiesta insuscettibile di accoglimento.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:

I) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – Omessa pronuncia su motivi di gravame – Mancanza della motivazione/ motivazione apparente”;

Il) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti: la condizione di vulnerabilità del richiedente”;

III) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al diniego della protezione umanitaria”.

1.1. Tutte le censure investono, sotto il triplice descritto profilo, il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

2. La prima di esse è palesemente infondata.

2.1. Invero, giova premettere che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), qui applicabile ratione temporis risultando impugnato un provvedimento decisorio pubblicato il 26 febbraio 2020, deve ritenersi ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 4226 del 2021; Cass. n. 22685 del 2018; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aipetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 23620 del 2020; Cass. n. 26199 del 2021).

2.1.1. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). In altri termini, è possibile ravvisare una “motivazione apparente” nel caso in cui, pur essendo la stessa graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice.

2.2. Un simile vizio da apprezzare qui non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva – e’, nella specie, insussistente.

2.2.1. Il tribunale dorico, infatti, ha ampiamente esposto (cfr. pag. 3-9 della decisione impugnata) le ragioni che – all’esito dell’eseguita comparazione tra la situazione del Paese di origine ed il livello di integrazione raggiunto dall’odierno ricorrente sul territorio nazionale – l’hanno indotto a negare al M. la protezione cd. umanitaria, sicché deve considerarsi soddisfatto l’onere minimo motivazionale di cui si è detto; né rileva, qui, come si è già anticipato, l’esattezza, o non, di una tale giustificazione.

3. Le altre due doglianze, scrutinabili congiuntamente perché connesse, si rivelano complessivamente insuscettibili di accoglimento.

3.1. Invero, nel procedere alla suddetta comparazione, il giudice di merito ha valutato, oltre al contesto socio politico del Pakistan e della specifica regione (*****) di provenienza del M., come desunta dalle riportate fonti internazionali puntualmente indicate: i) il dedotto rapporto lavorativo con retribuzione al di sopra dell’importo dell’assegno sociale, ritenuto, però, per le ragioni ivi ampiamente esposte (cfr. pag. 6-8 del provvedimento impugnato), insufficiente ai fini del riconoscimento della invocata protezione; i:) le dichiarazioni del M. – asseritamente rilasciate in un precedente procedimento con analogo oggetto, ed ivi ritenute parzialmente inattendibili del medesimo provvedimento, pag. 8), – secondo cui lo stesso aveva lasciato il proprio Paese “per salvaguardare la propria vita da violenze da parte di concittadini musulmani convinti della sua conversione al cristianesimo”; iii) il verificarsi di episodi di discriminazione a carico solo di precise categorie di soggetti, tra cui non rientrava l’istante del provvedimento citato, pag. 8).

3.2. Non solo, dunque, non è stato omesso l’esame delle circostanze oggi riproposte in ricorso, ma, sul punto, la doglianza di cui al secondo motivo fuoriesce dall’ambito applicativo del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che non costituiscono “fai t’ il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla menzionata disposizione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

3.3. In altri termini, il tribunale, con accertamento evidentemente di natura fattuale, ha comunque escluso la configurabilità di concrete situazioni di vulnerabilità del M., né è compito di questa Corte condividere, o meno, la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, oppure procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice di merito Cass. n. 3267 del 2008), altresì evidenziandosi che la documentazione (rectius: i fatti da essa asseritamente desumibili) di cui oggi il ricorrente lamenta l’omesso/errato/insufficiente esame, lungi dall’essere, di per sé, “decisiva”, al più potrebbe rappresentare un elemento indiziario ulteriore da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dal tribunale, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità.

3.4. In relazione all’asserita violazione di legge, poi, la corrispondente doglianza di cui al terzo motivo oblitera totalmente il pacifico principio secondo cui il vizio della decisione previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (r., tra le più recenti, Cass. n. 16700 del 2020). Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007). In altri termini, la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), posto che non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (cfr., ex multis, Cass. n. 1636 del 2020; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 13954 del 2007; Cass. n. 12052 del 2007; Cass. n. 7972 del 2007; Cass. n. 5274 del 2007; Cass. n. 2577 del 2007; Cass. n. 27197 del 2006; e così via, sino a risalire a Cass. n. 1674 del 1963, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso dorme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

3.5. In definitiva, le censure in esame, per come concretamente formulate, si rivelano assolutamente non coerenti con il principio per cui è inammissibile il (motivo di) ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito Cass., SU, n. 34476 del 2019).

4. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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