LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10404-2020 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
ITN – INDUSTRIE TURISTICHE NAUTICHE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DONIZETTI 10, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO MARCO IACOBONE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANLUCA ANTONIO FRANCESCO FERRI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1058/06/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LIGURIA, depositata il 17/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE CATALDI.
RILEVATO
che:
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale della Liguria ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di La Spezia, che aveva solo parzialmente accolto il ricorso della I.T.N. s.p.a. contro l’avviso di attribuzione di rendita catastale relativo a beni situati nel porto turistico “*****” di *****.
La contribuente si è costituita con controricorso ed ha successivamente depositato memoria.
E’ rimasta intimata Spezia Risorse s.p.a., intervenuta volontariamente nel giudizio di primo grado, come risulta dalla sentenza impugnata.
La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..
Premette infatti la ricorrente che la CTP aveva dichiarato l’inapplicabilità delle sanzioni irrogate con l’atto impositivo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, per la ritenuta obiettiva incertezza normativa, senza tuttavia che la contribuente avesse formulato, nel ricorso introduttivo, la relativa domanda, sebbene la disapplicazione non sia rilevabile d’ufficio.
Pertanto, l’Amministrazione aveva formulato specifico motivo d’appello sul punto, che la CTR aveva tuttavia rigettato.
Il motivo è ammissibile, essendo autosufficiente, in quanto espone gli elementi essenziali necessari alla comprensione ed alla decisione della censura, avuto riguardo anche alla natura di errore in procedendo di quest’ultima, rispetto alla quale questa Corte è giudice del fatto processuale.
In considerazione della predetta natura processuale del vizio denunciato, che non attinge il merito della controversia, non sussiste il limite della c.d. “doppia conformità” delle decisioni di merito.
Tanto premesso, il ricorso è fondato.
Infatti, “In tema di sanzioni amministrative tributarie, il giudice ha il potere di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni irrogate in conseguenza della violazione di una norma dovuta ad un errore di interpretazione – che il contribuente ha l’onere di allegare e provare, senza che la circostanza sia rilevabile d’ufficio dall’autorità giudiziaria – maturato in condizioni di obiettiva incertezza sulla sua portata, situazione che si realizza anche nell’ipotesi nella quale la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, contenga una pluralità di prescrizioni, il coordinamento delle quali appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione.(Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17195 del 26/06/2019; conformi Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22890 del 25/10/2006; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4031 del 14/03/2012; Sez. 5, Sentenza n. 440 del 14/01/2015; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7067 del 2015).
In particolare, è stato anche recentemente ribadito che “In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme fiscali, il potere del giudice tributario di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni, per errore sulla norma tributaria, in caso di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della stessa, presuppone una domanda del contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati, che non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 15406 del 03/06/2021).
Dunque, la disapplicazione delle sanzioni tributarie non può disporsi d’ufficio, ma presuppone che il contribuente ne abbia fatto domanda – “formulata nei modi e nei termini processuali appropriati” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 15406 del 03/06/2021, cit., in motivazione) – al giudice tributario, allegandone e provandone i presupposti. Diversamente, la disapplicazione d’ufficio delle sanzioni viola la regola processuale generale di cui all’art. 112 c.p.c. oltre che quella speciale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, incorrendo nel vizio di ultrapetizione (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17195 del 26/06/2019, cit., ampiamente in motivazione).
Nel caso di specie, dalla stessa sentenza impugnata (oltre che dal ricorso introduttivo, allegato al ricorso erariale per il quale qui si procede, e dalle stesse difese della controricorrente nel controricorso, quando illustra il contenuto del suo ricorso iniziale) la relativa specifica domanda non risulta proposta dalla contribuente nel ricorso introduttivo, non dandone atto la CTR nella parte espositiva dello svolgimento del processo, pur dettagliata.
Emerge invece univocamente dalla sentenza d’appello che l’Amministrazione ha proposto specifico motivo di gravame sul punto, che la CTR ha rigettato.
La sentenza impugnata non si è quindi uniformata al principio di diritto già esposto e va cassata, limitatamente al capo relativo alla disapplicazione delle sanzioni.
Non risultando, dalla sentenza impugnata e dal ricorso introduttivo allegato al ricorso per cassazione erariale, specifiche censure mosse in primo grado dalla contribuente contro le sanzioni comminate con l’atto impositivo, non è necessario disporre rinvio al giudice a quo e la lite può essere decisa nel merito, con il rigetto, anche in parte qua, del ricorso introduttivo.
2. Rimane assorbito il secondo motivo di ricorso, con il quale l’Agenzia ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, predetto art. 8, anche relativamente agli altri elementi, oltre alla domanda della parte interessata, che secondo la stessa norma ne giustificano l’applicazione.
3. Le spese di merito si compensano e quelle di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente nei termini di cui in motivazione; compensa le spese dei giudizi di merito e condanna la I.T.N. s.p.a. al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022