LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. r.g. 14964-2020 proposto da:
E.F., elettivamente domiciliato in Torino, al Corso Peschiera n. 347, presso lo studio dell’Avvocato Davide Bosio, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata in calce al ricorso (dichiara di voler ricevere comunicazioni all’indirizzo pec: davidebosio.pec.ordineavvocatitorino.it).
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore.
– intimato –
avverso il decreto n. cronol. 1827/2020 del TRIBUNALE di TORINO, depositato il 23/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 22/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. E.F. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, avverso il decreto del Tribunale di Torino del 23 aprile 2020, n. 1827, reiettivo, – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – della sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale ritenne: i) i fatti narrati dal richiedente (che aveva riferito di avere lasciato il proprio Paese temendo di essere ucciso dai membri di una confraternita – “*****” – di cui aveva rifiutato di fare parte) inattendibili ed inidonei ad integrare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); i:) insussistenti, nel Paese (Nigeria, Edo State) di provenienza del ricorrente, le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’appena menzionato D.Lgs., art. 14, lett. c); indimostrati, né dedotti, eventuali fatti o accadimenti giustificativi ai fini del riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui, peraltro, nemmeno era stata formulata specifica istanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo, rubricato “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e comma 11, lett. A), B) e C), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 (modificato dalla L. n. 46 del 2017), in relazione alla mancata fissazione dell’udienza di comparizione delle parti. Impugnazione della motivazione relativa all’audizione del richiedente (in via preliminare nella sentenza del Tribunale di Torino)”, contesta la mancata fissazione “dell’udienza di comparizione delle parti” pur essendone stata fatta espressa richiesta.
1.1. Una siffatta doglianza – ragionevolmente da intendersi come diretta a censurare la mancata “audizione” del richiedente asilo, posto che dal provvedimento impugnato emerge l’avvenuta fissazione dell’udienza di comparizione (tenutasi il 29 gennaio 2019) – si rivela inammissibile.
1.1.1. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte tra le più recenti, Cass. n. 6808 del 2021), nei giudizi in materia di protezione internazionale, il giudice di merito, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione (nella specie ritualmente svoltasi innanzi al tribunale torinese), ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa), circostanziati e rilevanti. Nella specie, il tribunale, pur dando atto dell’istanza di audizione formulata dal difensore del richiedente protezione, ha rimarcato che quest’ultimo “non ha introdotto ulteriori temi di indagine, né ha allegato fatti nuovi, sicché il Collegio ritiene di avere tutti gli elementi necessari ai fini della decisione, senza necessità di intervistare nuovamente il ricorrente” – cfr. pag. 2 del decreto impugnato – e che ” la difesa… ha ripreso la vicenda personale del ricorrente senza variazioni, senza allegazione di fatti o documenti nuovi e senza la segnalazione di specifiche censure dell’audizione che possano essere colmate in sede di nuovo colloquio o, più in generale, nel corso di un’udienza davanti al giudice” pag. 3 del medesimo decreto); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile Cass. n. 21584 del 2020). Peraltro, il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza, nel senso che il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza (cfr. Cass. n. 25312 del 2020): indicazione, questa, che, nel caso concreto, è rimasta affatto carente (nemmeno essendo dato sapere se, al di là della riproposizione della vicenda personale del ricorrente come riprodotta in ricorso, e certamente già all’attenzione del tribunale che, come si è visto, ad essa ha fatto espresso richiamo, fossero stato dedotte ulteriori circostanze su cui l’invocata audizione avrebbe dovuto svolgersi) discendendone l’inammissibilità della censura a ragione della sua genericità.
2. Il secondo motivo, rubricato “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa i fatti e/o le questioni controverse e decisive ai fini del giudizio (in relazione alla mancata concessione della protezione internazionale”, censura il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria in favore dell’ E..
2.1. Anche questa doglianza è inammissibile perché fa riferimento ad una nozione di vizio di motivazione non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio pubblicato il 23 aprile 2020), atteso che tale mezzo di impugnazione riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017). Nella specie, peraltro, nemmeno risultano puntualmente osservati gli oneri di allegazione sanciti, per tale tipologia di censura, da Cass., SU, n. 8053 del 2014.
3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo un?ficato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “.spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originane o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022