LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 15998-2020 proposto da:
D.S., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato Sergio Santese, con studio in Maglie (LE), al Corso Cavour n. 38, con domicilio digitale eletto, per le comunicazione e notificazioni, all’indirizzo pec:
santese.sergio.ordavvle.legalmaiLit).
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore.
– intimato –
avverso il decreto n. cronol. 2127/2020 del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 15/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del giorno 22/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 15 aprile 2020, il Tribunale di Lecce ha respinto la domanda di D.S., nativo della Guinea Bissau, volta al riconoscimento della protezione internazionale o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente, non credibili le sue dichiarazioni e, comunque, i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne l’accoglimento.
2. Avverso il descritto decreto D.S. ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, e della Dir. n. 2004/83/CE, art. 4, comma 3”, censurandosi la ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rilasciate dall’odierno ricorrente innanzi alla Commissione Territoriale e l’inosservanza del dovere di cooperazione istruttoria gravante sul tribunale leccese;
Il) “Violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. g), e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, e vizio di motivazione nella mancata concessione della protezione internazionale”, criticandosi il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;
III) “Violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e vizio di motivazione nella mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari”, in relazione al diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2. Le descritte doglianze, scrutinabili congiuntamente per la loro stretta connessione, si rivelano insuscettibili di accoglimento nel loro complesso.
2.1. Va premesso, che, con orientamento ormai consolidato ed anche di recente ribadito da questa Corte (cfr., ad esempio, Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 3819 del 2020), il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.
2.1.1. In particolare, in tema di valutazione delle prove e soprattutto di quelle documentali, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti Cass. n. 14762 del 2019; cfr., anche sulla tipologia del vizio, Cass. n. 22598 del 2018).
2.1.2. Tale non e’, però, la situazione sussistente nel caso di specie, dove, con riferimento alle forme di protezione invocata, il tribunale ha operato una valutazione del narrato del ricorrente, alla luce di fonti di informazione (puntualmente indicate) solo genericamente contestate dal ricorrente.
2.1.3. Invero, il tribunale leccese: i) ha negato credibilità al racconto del richiedente protezione circa le ragioni (timore per le minacce di essere ucciso rivoltegli dagli abitanti del suo villaggio, in prevalenza di etnia balanta, dopo che anche identica sorte era toccata al padre dopo aver scoperto un furto di bestiame) che lo avevano indotto a lasciare il proprio Paese, escludendo comunque che i corrispondenti fatti legittimassero la richiesta di riconoscimento, oltre che dello status di rifugiato, anche della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); ii) ha escluso, sulla base della consultazione di affidabili fonti di informazioni, delle quali pure ha dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che in Guinea Bisseau sia attualmente riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. amplius, pag. 7, del menzionato decreto); quanto alla invocata protezione umanitaria (da scrutinarsi alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), ha evidenziato l’assenza di stati patologici di rilievo o di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione.
2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che:
i) il tribunale ha esaurientemente esposto le ragioni del proprio convincimento circa la non credibilità del racconto dell’odierno ricorrente;
ii) la giurisprudenza di legittimità, ancora recentemente Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), ha chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti, come si è già riferito), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014;
quanto al diniego della protezione sussidiaria, giova ricordare che la valutazione di inattendibilità del racconto del dichiarante osta al riconoscimento (oltre che dello status di rifugiato, anche) di quest’ultima quanto alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione), mentre, quanto a quella proposta giusto del medesimo decreto, la lett. c), il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, debitamente aggiornate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, la Guinea Bisseau non si segnala attualmente alcuna significativa instabilità politica. Va solo rimarcato che, come recentemente chiarito da Cass. n. 29056 del 2019, l’eventuale omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poiché, in tal caso, l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. Nella specie, però, non vi è prova alcuna, né è stato specificamente dedotto dal ricorrente, di aver sottoposto all’attenzione del tribunale fonti diverse da quelle dal medesimo richiamate;
iv) la censura afferente il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari si rivela inammissibile, risolvendosi, sostanzialmente, in una critica, peraltro affatto generica, al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice di merito, cui il ricorrente intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie;
v) a fronte di tale corretta operazione di sussunzione dei fatti allegati alle norme di legge di cui il ricorrente ha chiesto l’applicazione, le doglianze sviluppate nei motivi di ricorso in esame investono, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione internazionale ed umanitaria), senza assolutamente considerare che, da un lato, la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposte, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017, Cass. n. 2959 del 2021 e Cass., SU, n. 34476 del 2019); dall’altro, che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 15 aprile 2020), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).
3. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre “ipetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusto lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022