Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.6006 del 23/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1838/2021 R.G. proposto da:

PROVINCIA DI BRINDISI, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Mario Marino Guadalupi, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

D.G., da sé medesimo rappresentato, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Lecce n. 1343/20, depositata il 3 novembre 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 dicembre 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.

RILEVATO

che la Provincia di Brindisi ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, illustrati anche con memoria, avverso l’ordinanza del 3 novembre 2020, con cui la Corte d’appello di Lecce ha accolto la domanda di determinazione dell’indennità proposta dall’Avv. D.G. per l’occupazione d’urgenza di un fondo sito in *****, riportato in Catasto al foglio *****, particelle *****, ***** e ***** ed espropriato con decreto del 14 maggio 2012 per la realizzazione del terzo lotto dei lavori di potenziamento della *****, liquidando l’indennità in Euro 13.867,61, oltre interessi, e disponendone il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti;

che l’Avv. D. ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 21,27 e 54, censurando l’ordinanza impugnata per aver qualificato la domanda come azione di determinazione dell’indennità, anziché come opposizione alla stima, nonostante la stessa fosse stata preceduta dal procedimento previsto dal D.P.R. n. 327 cit., art. 21, promosso dallo stesso attore e seguito dall’accettazione dell’importo liquidato a titolo di indennità di espropriazione, subordinatamente al riconoscimento anche dell’indennità di occupazione;

che, nell’escludere la decadenza dell’attore dal diritto di proporre opposizione, in virtù della mancata determinazione dell’indennità di occupazione, la Corte d’appello non ha considerato che la decorrenza del termine previsto dal D.P.R. n. 321 cit., art. 54 e dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 29, è ancorata alla comunicazione dell’avvenuto deposito della relazione di stima, che costituisce il presupposto della domanda;

che, ad avviso della ricorrente, l’ordinanza impugnata si pone in contrasto anche con gli artt. 112 e 702-bis c.p.c., avendo ritenuto applicabile il rito sommario di cognizione, non riferibile ai giudizi che si svolgono in unico grado dinanzi alla corte d’appello, con conseguente lesione del diritto alla difesa di essa ricorrente;

che il motivo è infondato;

che l’ordinanza impugnata non merita censura nella parte in cui, rilevato che l’indennità di occupazione non era mai stata determinata in sede amministrativa, né in via provvisoria ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 20, né in via definitiva nell’ambito del procedimento di cui al medesimo D.P.R., art. 21, avviato a seguito della mancata accettazione dell’indennità provvisoria di espropriazione da parte dell’espropriato, ha escluso la decadenza dell’attore dal diritto di chiederne la determinazione in via giudiziale, osservando che il termine di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, comma 3, può decorrere soltanto a condizione che risultino compiuti gli adempimenti che costituiscono il presupposto dell’opposizione alla stima;

che, in tema di occupazione legittima, questa Corte ha infatti affermato costantemente che il termine di decadenza per l’opposizione alla stima o per la proposizione della domanda di determinazione della relativa indennità decorre solo dalla data di ricevimento della comunicazione della specifica determinazione dell’indennità di occupazione, non potendo assumere alcun rilievo, a tal fine, l’eventuale comunicazione dell’indennità di espropriazione, non potendo considerarsi la prima comunicazione automaticamente “implicita” nella seconda, per il solo fatto che l’indennità di occupazione è determinabile in base ad una frazione di quella di espropriazione (cfr. Cass., Sez. I, 5/03/2015, n. 4487; 19/11/2014, n. 24644; 30/09/2004, n. 19632);

che, non essendosi provveduto alla comunicazione dell’indennità di occupazione determinata in via amministrativa, deve ritenersi corretta anche la qualificazione della domanda proposta dall’attore come azione di determinazione giudiziale della stessa, anziché come opposizione alla stima, la quale non consente peraltro di escludere la spettanza della controversia alla competenza in unico grado della corte d’appello, né l’applicabilità del rito sommario di cognizione;

che la predetta competenza, introdotta dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 e confermata dapprima dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, comma 1 ed in seguito dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, comma 2, si estende infatti a tutte le controversie riguardanti il quantum delle indennità collegate al procedimento ablatorio, ivi comprese sia le domande volte ad ottenere la liquidazione di un importo maggiore di quello stabilito in sede amministrativa, sia, in mancanza, quelle volte ad ottenere la determinazione giudiziale del giusto indennizzo, e restando escluse soltanto le domande finalizzate a conseguire il pagamento dell’indennità definitivamente accertata e non contestata (cfr. Cass., Sez. Un., 25/07/2016, n. 15283; 6/12/2010, n. 24687; Cass., Sez. VI, 3/06/2020, n. 10440);

che la spettanza delle predette controversie alla competenza in unico grado della corte d’appello non esclude l’assoggettamento delle stesse al rito sommario di cognizione, espressamente previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, comma 1, indipendentemente dalla natura collegiale dell’organo competente e dalla qualificazione della domanda come opposizione alla stima o come azione di determinazione giudiziale dell’indennità;

che la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 150 del 2011, artt. 3 e 29, sollevata in riferimento, tra l’altro, agli artt. 3,24 e 111 Cost., è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale, la quale ha ritenuto non irragionevole, in quanto riconducibile ad un chiaro disegno riformatore, orientato alla semplificazione dei procedimenti in esame, la scelta di assoggettarli al rito sommario obbligatorio, escludendo che il processo ordinario di cognizione sia coperto da garanzia costituzionale come modello tendenzialmente vincolante per il legislatore, ed affermando comunque che una diversa opzione avrebbe natura inevitabilmente creativa, vertendosi in una materia rimessa alla discrezionalità del legislatore ed essendo ipotizzabile una pluralità di possibili soluzioni (cfr. Corte Cost., sent. n. 10 del 2013; ord. nn. 190 e 226 del 2013, n. 42 del 2014);

che con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti della Commissione provinciale espropri o del collegio dei tecnici nominato ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, aventi la posizione di litisconsorti necessari, in quanto incaricati della valutazione del fondo espropriato, ai fini della determinazione dell’indennità, ed eventualmente responsabili per l’inesatto o incompleto adempimento del compito loro assegnato;

che il motivo è infondato;

che, in tema di opposizione alla stima, qualora l’attore sia il proprietario del bene, il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, comma 4, individua le parti necessarie del giudizio nei soggetti direttamente interessati alla determinazione ed al pagamento dell’indennità, ovverosia l’autorità espropriante, il promotore dell’espropriazione, ove si tratti di un soggetto diverso dall’autorità espropriante, e, se del caso, il beneficiario dell’espropriazione, disponendo inoltre la notifica del ricorso anche al concessionario dell’opera pubblica, se a questi sia stato affidato il pagamento dell’indennità;

che tra i predetti soggetti non è inclusa invece la commissione provinciale espropri, la quale è d’altronde priva di legittimazione a stare in giudizio, non essendo dotata di autonoma personalità giuridica, ma configurandosi come un organo tecnico con funzioni essenzialmente consultive e di supporto specialistico alle determinazioni degli organi di amministrazione attiva, a carico del quale non è ipotizzabile neppure una responsabilità patrimoniale, distinta da quella dell’ente espropriante, nei confronti degli aventi diritto al pagamento dell’indennità;

che a conclusioni sostanzialmente non diverse deve pervenirsi in riferimento al collegio dei tecnici nominati ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 21, i quali non rivestono la qualità di parti del procedimento ablatorio, in quanto destinatari esclusivamente di un incarico tecnico finalizzato alla liquidazione delle indennità, i cui risultati sono destinati a rifluire nell’accordo che si forma tra le parti per effetto dell’accettazione dell’importo da loro determinato o ad essere assorbiti dalla decisione emessa sull’opposizione alla stima;

che la responsabilità patrimoniale astrattamente ed eventualmente configurabile a carico dei tecnici in caso d’inesatto o incompleto adempimento dell’incarico professionale a loro affidato dalle parti del procedimento ablatorio non può considerarsi di per sé sufficiente a far ritenere sussistente un interesse diretto ed attuale degli stessi alla decisione concernente la determinazione dell’indennità, tale da giustificarne la partecipazione al giudizio di opposizione;

che con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c. e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, artt. 4 e 5, censurando l’ordinanza impugnata nella parte avente ad oggetto la condanna al pagamento delle spese processuali, liquidate in base all’importo originariamente richiesto dall’attore, comprendente anche l’indennità di espropriazione, anziché a quello riconosciutogli, limitato all’indennità di occupazione, per effetto della riduzione della domanda intervenuta nel corso del giudizio;

che il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, risolvendosi nella mera affermazione dell’eccessività dell’importo liquidato a titolo di compensi dalla sentenza impugnata, in relazione alla minor somma riconosciuta a titolo d’indennità, rispetto a quella originariamente domandata dall’attore, e non essendo accompagnato dalla dimostrazione dell’avvenuto superamento dello importo massimo che avrebbe potuto essere liquidato sulla base del valore effettivo della controversia, delle prestazioni effettuate dal difensore e dei parametri vigenti;

che la determinazione del giudice di merito relativa alla liquidazione delle spese processuali può essere infatti censurata in sede di legittimità esclusivamente attraverso la specificazione delle voci in ordine alle quali lo stesso giudice sarebbe incorso in errore, sicché deve ritenersi generico il mero riferimento a prestazioni che sarebbero state riconosciute in violazione della tariffa massima, senza la puntuale esposizione delle voci in concreto liquidate dal giudice (cfr. Cass., Sez. V, 25/02/2020, n. 4990; Cass., Sez. III, 20/05/ 2016, n. 10409; 27/10/2005, n. 20904);

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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