LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. CIRESE Marina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25715/2017 proposto da:
Porto Di Livorno 2000 Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Livorno, Via Marrani n. 14, presso lo studio dell’avvocato Giovannini Alessandro, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cioni Valerio;
– ricorrente –
contro
Comune Di Livorno, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, C.so Vittorio Emanuele II n. 18, presso lo Studio Lessona, rappresentato e difeso dagli avvocati Abeniacar Francesca, Macchia Lucia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 800/2017 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di LIVORNO, depositata il 27/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA.
ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA 1. Il Porto di Livorno 2000 srl propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso la decisione n. 800/17 con la quale la CTR della Toscana respingeva il ricorso proposto avverso gli avvisi di accertamento concernenti il pagamento, relativo alle annualità 2013 e 2014, della imposta comunale sulla pubblicità relativa a mezzi pubblicitari non dichiarati, collocati nell’area portuale, sul rilievo che nel p.v.c. allegato agli avvisi erano descritti gli impianti e indicati gli elementi sulla base dei quali era stata accolta la relativa imposta.
La regionale negava la carenza di legittimazione passiva del Comune, in quanto prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, escludendo che la collocazione dei mezzi pubblicitari nell’area portuale facesse venir meno il presupposto impositivo in favore del Comune, citando la risoluzione ministeriale 12 agosto 1977, n. 3.
Infine, la commissione tributaria disattendeva la doglianza relativa alla illegittimità degli avvisi per le annualità antecedenti alla data del p.cv.c., sul presupposto che i mezzi pubblicitari non erano stati denunciati.
Replica con controricorso il Comune di Livorno.
ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI DIRITTO 2. Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, ex art. 360 c.p.c., n. 3); per avere la CTR affermato il potere impositivo del Comune di Livorno anche sugli impianti pubblicitari esposti e collocati nell’area portuale, la quale, ad avviso della società ricorrente, non sarebbe compresa nel territorio dell’amministrazione comunale predetta, cadendo l’area in questione nell’ambito del demanio concesso in uso alla società ricorrente; citando precedenti di questa Corte che ha escluso l’imposizione comunale in materia di Tarsu nell’ambito dell’area portuale.
3. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 4), per avere il decidente omesso di esaminare la specifica censura relativa all’omesso assolvimento da parte del Comune dell’onere probatorio su di esso gravante, concernente la presenza dei cartelli pubblicitari già negli anni 2013 e 2014, antecedenti all’epoca del sopralluogo, il quale condusse alla redazione del P.V.C..
Sostiene al riguardo che la CTR avrebbe offerto un’apparente motivazione, laddove ha disatteso la censura sul rilievo che detti mezzi non erano stati dichiarati dalla contribuente.
4. Con la terza censura, si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3), ribadendo le difese svolte col precedente motivo di ricorso.
5. La prima censura è destituita di fondamento.
Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 1, prevede che “La pubblicità esterna e le pubbliche affissioni sono soggette, secondo le disposizioni degli articoli seguenti, rispettivamente ad una imposta ovvero ad un diritto a favore del comune nel cui territorio sono effettuate”; mentre, il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, recita “La diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta all’imposta sulla pubblicità prevista nel presente decreto.
Detta ultima disposizione intende assoggettare ad imposizione il messaggio pubblicitario attuato “attraverso forme di comunicazione visive o acustiche”, in quanto espressivo di capacità contributiva, tutte le volte in cui l’uso del segno distintivo dell’impresa o del prodotto (ditta, ragione sociale, marchio) travalica la mera finalità distintiva, che è quella di consentire al consumatore di riconoscere i prodotti o servizi offerti sul mercato dagli altri operatori del settore, orientandone le scelte, per il luogo (pubblico, aperto o esposto al pubblico) ove esso è situato, per le sue caratteristiche strutturali, o per le modalità di utilizzo, in quanto oggettivamente idoneo a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa (tra le altre, Cass. n. 11530/2018, n. 8658/2015, e n. 9580/1994, n. 8220/1993, n. 1930/1990, con riferimento al D.P.R. n. 639 del 1972, art. 6).
Ritiene questa Corte che la natura demaniale di un bene concesso in uso a terzi sia di per sé del tutto irrilevante ai fini dell’assoggettamento della relativa area all’imposta sulla pubblicità, in quanto essa non costituisce elemento idoneo ad escludere, per quanto riguarda l’imposta oggetto della controversia, la potestas impositiva del Comune sulla sua estensione atteso che tale potestà, con il concorso delle condizioni di legge, potenzialmente si estende a tutto il “territorio comunale”. Questa Corte con sentenza n. 3829 del 2009 ha affermato che: “Ai fini della delimitazione di un territorio come comunale bisogna avere riguardo ai confini geografici dello stesso e non già alla natura od alla qualità dei beni immobili compresi nel perimetro di quei confini; per nozione scolastica, infatti, “tutto il territorio dello Stato” è ripartito (art. 114 Cost.), tra Regioni, Province e Comuni per cui ciascuna parte di esso è normalmente ad un tempo elemento costitutivo dello Stato, di una Regione, di una Provincia e di un Comune”.
Del resto, l’oggettiva diversità degli interessi perseguiti dall’ente cui il bene demaniale appartiene da quelli regolamentari del Comune in una con l’assenza di deroga al regime impositivo, evidenzia l’irrilevanza della natura demaniale del bene ai fini della imposizione dell’imposta de qua.
Indiretta conferma si rinviene dalla soggezione alla Tarsu degli stabilimenti balneari D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 68, lett. b), unitamente ad altri immobili (biblioteche, pinacoteche, musei) non necessariamente di proprietà comunale, ma che insistono sul suo territorio, benché di proprietà dello Stato ovvero di altri enti territoriali (v. Cass. n. 3829/2009) In altri termini, la natura demaniale di un bene concesso in uso ai privati è del tutto irrilevante ai fini dell’assoggettamento di detta area alla imposizione fiscale del Comune.
5.1 Nella specie, è pacifico in atti che tutte le aree tassate delle quali si controverte siano oggetto di concessione demaniale rilasciata alla società contribuente e che i messaggi pubblicitari fossero collocati in luoghi pubblici o aperti al pubblico ovvero percepibili al pubblico, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5.
Occorre, inoltre, evidenziare come nel caso in esame risulta costituita l’autorità portuale, in quanto la L. 28 gennaio 1994, n. 84, (Riordino della legislazione in materia portuale) ha istituito con l’art. 6, la figura dell’Autorità portuale nei porti di *****. Successivamente sono state istituite le Autorità portuali di ***** (D.P.R. 20 marzo 1996), di ***** (D.P.R. 16 luglio 1998), di ***** (D.P.R. 23 giugno 2000), di ***** e ***** (D.P.R. 29 dicembre 2000), di ***** (D.P.R. 12 aprile 2001), di ***** (D.P.R. 2 aprile 2003) e di ***** (L. n. 350 del 2003). Il decreto del Ministero dei Trasporti e della navigazione 14 novembre 1994, all’art. 1, precisa che “i servizi di interesse generale nei porti, di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 6, comma 1, lett. c), da fornire a titolo oneroso all’utenza portuale”… vanno identificati anche nei “servizi di pulizia e raccolta dei rifiuti”.
Dall’esame di tale quadro normativo emerge univocamente che l’attività di gestione dei rifiuti nell’ambito dell’area portuale – da intendersi come spazio territoriale in cui svolge i suoi compiti la singola Autorità portuale – rientra nella competenza di quest’ultima, la quale per legge è tenuta ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica. Ne deriva, per esclusione, che la relativa attività sfugge alla competenza in materia dei Comuni, che invece normalmente agiscono in questo ambito in regime di privativa, i quali, sono di conseguenza privi anche di ogni potere impositivo, atteso che, essendo quella dei rifiuti una tassa, esso non può evidentemente configurarsi in favore di un soggetto diverso da quello che espleta il servizio (Cass. n. 23583/2009; n. 31058/2018).
Tuttavia, il decreto citato non contempla tra i servizi di interesse generale nei porti, di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 6, comma 1, lett. c), da fornire a titolo oneroso all’utenza portuale anche quelli concernenti la regolamentazione dei mezzi pubblicitari e dei correlativi corrispettivi, di guisa che le sentenze richiamate dalla ricorrente non si attagliano alla fattispecie in esame, avendo esse statuito in materia di Tarsu e di servizi di raccolta dei rifiuti, escludendo il potere impositivo dell’ente territoriale rispetto ad un servizio (di raccolta dei rifiuti) espletato da altre autorità.
6. La seconda e la terza censura, in quanti involgenti questioni connesse, possono essere scrutinate congiuntamente.
Esse sono fondate.
6.1 Ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 4, “qualora venga omessa la presentazione della dichiarazione, la pubblicità di cui agli artt. 12, 13 e art. 14, commi 1, 2 e 3, si presume effettuata in ogni caso con decorrenza dal primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata; per le altre fattispecie la presunzione opera dal primo giorno del mese in cui è stato effettuato l’accertamento”.
L’ente comunale sostiene che la previsione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 4, non preclude il ricorso alle presunzioni semplici per provare che il mezzo pubblicitario è stato utilizzato anche per gli anni precedenti a quello in cui è stato effettuato l’accertamento poiché la norma vale solamente a stabilire il dies a quo del termine di decadenza biennale di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 10.
Sul punto la Corte di legittimità ha già affermato il principio secondo cui il disposto dell’art. 8 cit., comma 4, prevede che in ipotesi di omessa dichiarazione, la pubblicità si presume effettuata in ogni caso “con decorrenza dal primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata”, atteso che la decorrenza cui detta norma si riferisce attiene alla misura del tributo che l’omittente è tenuto a versare (Cass. n. 14483 del 29/09/2003; n. 6714 e 580 del 2017).
Ebbene dalle medesime difese svolte dalla ricorrente e dal Comune, risulta che il P.V.C. reca la data del 23 gennaio 2015, mentre la produzione documentale presumibilmente prodotta dall’amministrazione comunale solo nel presente giudizio – atteso che l’ente comunale non opera alcun riferimento a un precedente deposito di detta documentazione nel giudizio di merito ovvero ad un omesso esame delle prove documentali – è inammissibile, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., secondo il quale “Non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso”.
Al lume di tale principio va ritenuto che la CTR non ha fatto corretta applicazione della norma di cui al citato art. 8, comma 4, dovendosi considerare che il legislatore ha inteso stabilire che la misura del tributo cui è tenuto il contribuente va calcolata con decorrenza dal 1 gennaio dell’anno in cui è stata accertata l’omessa presentazione della dichiarazione, per il che è esclusa la debenza del tributo per i periodi pregressi, in quanto, in mancanza di elementi dai quali inferire l’epoca dell’omessa dichiarazione, la debenza del tributo va calcolata dall’epoca dell’accertamento(gennaio 2015).
In considerazione dell’assenza di specifici precedenti sulla interpretazione del concetto di “territorio comunale” e tenuto conto del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità con riferimento alla interpretazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, si ravvisano giusti motivi di compensazione delle spese processuali dell’intero giudizio.
PQM
Accoglie gli ultimi due motivi di ricorso, respinti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente;
compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della quinta sezione della Corte di cassazione, tenuta da remoto, il 4 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022