Art. 67, comma 3, lett. a), Legge fallimentare, pagamenti effettuati oltre i tempi contrattuali, revocabilità

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.608 del 11/01/2022

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L’interpretazione della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. a), è nel senso che non sono revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente previsti, siano stati, anche per comportamenti di fatto, eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli in discorso, i quali, pertanto, non possono più ritenersi pagamenti eseguiti “in ritardo”, ossia inesatti adempimenti, ma divengono esatti adempimenti; l’onere della prova di tale situazione e’, ai sensi dell’art. 2697 c.c., in capo all’accipiens.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. r.g. 24881-2020 proposto da:

DIVISPACK S.R.L., con sede in ***** (NA), alla via *****, in persona del legale rappresentante pro tempore D.C.N., elettivamente domiciliata in Caravita – Cercola (NA), alla via Madonna delle Grazie n. 25, presso lo studio dell’Avvocato Riccardo Meandro, che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata in calce al ricorso (dichiara di voler ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec:

riccardo.meandr.pecavvocatinola.it).

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore Dott. N.T., elettivamente domiciliato in Roma, alla via Venti Settembre n. 3, presso lo studio dell’Avvocato Fabio Preziosi, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale apposta in calce al controricorso (dichiara di voler ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec: fabio.preziosi.avvocatiavellinopec.it).

– controricorrente –

avverso la sentenza n. cronol. 849/2020 della CORTE DI APPELLO di SALERNO, depositata il 30/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del giorno 22/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 23 maggio 2015, n. 4387, il Tribunale di Salerno, accogliendo la corrispondente domanda del fallimento ***** s.p.a. in liquidazione, dichiarò inefficaci, L. Fall., ex art. 67, comma 2, i pagamenti effettuati dalla menzionata società in bonis alla Divispack s.r.l. nel semestre anteriore al fallimento della prima (pronunciato il *****). Condannò, per l’effetto, la medesima Divispack s.r.l. alla restituzione, in favore del fallimento, della somma di Euro 66.261,40, oltre interessi.

1.1. Il gravame promosso dalla società da ultimo indicata contro questa decisione è stato respinto dalla Corte di appello di Salerno, con sentenza del 19/30 giugno 2020, n. 849, la quale, per quanto qui di residuo interesse: i) ha confermato la conoscibilità, in capo alla Divispack s.r.l., dello stato di insolvenza della ***** s.p.a. in liquidazione al momento dei predetti pagamenti; ii) ha escluso che, nella specie, potesse trovare applicazione l’ipotesi di esenzione dalla revocatoria prevista dalla L. Fall., art. 67, comma 3, lett. a).

2. Avverso questa sentenza, la Divispack ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi. Resiste, con controricorso, il fallimento, che deposita anche memoria ex art. 380-bis c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Sulla conoscibilità dello stato di insolvenza, della L. Fall., art. 67, comma 2. Motivazione insufficiente e contraddittoria. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Mancato esame delle prove testimoniali con erronea valutazione delle risultanze istruttorie”. Si ascrive alla corte distrettuale di non aver fatto corretta applicazione delle norme relative alla prova della scientia decoctionis in capo all’accipiens. Si assume, in particolare, che la Divispack s.r.l. non avrebbe potuto conoscere gli elementi fattuali e presuntivi addotti dal fallimento a fondamento della scientia decoctionis, né la corte suddetta aveva esaminato le prove testimoniali e le difese esposte dall’appellante al fine di dimostrare l’insussistenza di un siffatto requisito;

II) “Sull’applicabilità delle cause di esenzione della revocatoria ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. a). Pagamenti di beni e servizi fatti nell’esercizio di imprese nei “termini d’uso”. Motivazione insufficiente e contraddittoria. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Mancato esame delle prove testimoniali, con erronea valutazione delle risultanze istruttorie. Mancata valutazione della documentazione prodotta agli atti”. Si insiste nell’affermare che, nella specie, doveva trovare applicazione l’ipotesi di esenzione dalla revocatoria prevista dalla L. Fall., art. 67, comma 3, lett. a), posto che, “come provato dai documenti depositati agli atti, dagli assegni e fatture di riferimento, (dati partitati depositati dalla resistente” e diversamente da quanto ritenuto dalla corte distrettuale, i pagamenti tra la Divispack s.r.l. e la ***** s.p.a. in bonis “avvenivano seguendo modalità ben definite e ripetute negli anni in base ad un accordo ben definito tra le parti e non lasciato alla discrezionalità del debitore. I pagamenti avvenivano a mezzo assegni postdatati ove già veniva indicato il termine di scadenza. Inoltre, la circostanza dell’accordo preventivo tra le parti, della tempistica di pagamento è stata provata anche a mezzo testi, circostanza non esaminata né dal giudice di primo grado e neppure da quello di appello. I termini di pagamento, così come provati e confermati anche a mezzo testi, erano oggetto di accordo tra le parti che normalmente li concordavano a 120 giorni fine mese data fattura. Laddove i termini di scadenza venivano derogati, erano sempre oggetto di convenzione tra le parti. Peraltro, i testi confermavano, oltre detta circostanza, che le modalità di pagamento su riferite duravano da oltre dieci anni…” (cfr. pag. 18 dell’odierno ricorso).

2. Il secondo motivo, il cui scrutinio si rivela logicamente prioritario rispetto a quello del primo, è fondato esclusivamente nei limiti di cui appresso.

2.1. Giova premettere che la corte distrettuale: i) ha dato atto che “l’appellante ammette che i pagamenti avvenivano in deroga agli accordi commerciali, in un arco temporale che variava dai 150 ai 210 giorni dalla emissione della fattura” e che, sempre secondo la Divispack s.r.l., “tale situazione era tollerata dal 2008”; ii) ha ritenuto infondato il gravame sul punto anche perché “non corrisponde, in effetti, alla concreta ragione della decisione, riposta in prime cure sul contrasto dell’evoluzione del rapporto con la ratio della norma invocata, perché espressione di una sostanziale rimessione del debitore dei tempi del pagamento, e non già dell’esigenza di favorire il rientro del debitore da un periodo pur consentito di difficoltà economica, purché contrassegnato da tempi contenuti, predefiniti e coordinati anche con le necessità particolari del creditore”;

ii) ha richiamato i principi resi da Cass. n. 25162 del 2016; iv) ha affermato, infine, che “… ciò non toglie che l’andamento impresso in concreto all’esecuzione del rapporto commerciale, per rientrare nelle cause di esclusione della revocatoria ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 3, deve rispondere a criteri di modifica predefiniti e rendere evidente la certezza dei tempi di esecuzione, ripetuta costantemente nella stessa tempistica, di tal ché sfuggono al concetto di prassi pagamenti effettuati in un arco temporale indefinito. Ancora in questa sede l’appellante omette di specificare i tempi del ritardo dei pagamenti e si limita a richiamare i partitati della ***** prodotti dalla curatela, che, però, come osservato dall’appellata, non forniscono indicazioni di sistematicità nei ritardi e, quindi, di tolleranza rilevante ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 3”.

2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che, giusta la L. Fall., art. 67, comma 3, “non sono soggetti all’azione revocatoria:… a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”.

2.2.1. Questa Corte, interpretando l’appena riportata disposizione, ha già opinato che occorre avere riguardo al “rapporto diretto tra le parti, dando rilievo al mutamento dei termini, da intendersi non solo come tempi, ma anche come le complessive modalità di pagamento” e “non già alla prassi del settore economico in questione” (cfr., in motivazione, Cass. n. 25162 del 2016). Il principio è stato in seguito confermato precisandosi che: i) occorre individuare fra le parti la “consuetudine di estinguere i debiti attraverso” date modalità Cass. n. 5587 del 2018, non massimata); ii) “se il ritardo rispetto alla scadenza pattiziamente convenuta sia divenuto una consuetudine, senza determinare una specifica reazione della controparte, a parte l’intimazione di solleciti, tale prassi deve ritenersi prevalente rispetto al regolamento negoziale” (così, sebbene in obiter, la motivazione di Cass. n. 7580 del 2019); iii) la norma richiede “la dimostrazione non tanto dell’assenza di precedenti inadempimenti, ma della consistenza della quotidianità sotto il profilo delle modalità di adempimento invalse fra le parti, al fine di consentire al giudice di apprezzare se le parti, nel caso di specie, si fossero scostate dai termini consueti fino ad allora seguiti” (cfr. Cass. n. 9851 del 2019, non massimata).

2.3. Questo orientamento è stato recentemente confermato da Cass. n. 27939 del 2020 (resa in fattispecie sostanzialmente analoga a quella odierna), con le seguenti ulteriori precisazioni: “Le modalità di deroga alle pattuizioni convenute tra le parti possono atteggiarsi in modo vario. Il ventaglio delle possibilità si ritrova proficuamente nella giurisprudenza che si è occupata di un altro tema, ovvero le modalità di regolare estinzione dei debiti pecuniari, per i quali, com’e’ noto, l’art. 1277 c.c., dispone che le obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato. Nel risolvere il quesito sulle conseguenze del pagamento effettuato mediante consegna di un assegno circolare, invece di denaro contante, la Corte ha osservato che l’effetto estintivo non si verifica: ma ha precisato come “il principio, secondo il quale il creditore di una somma di denaro non è tenuto ad accettare in pagamento titoli di credito…, si fonda su una norma (l’art. 1277 c.c.), di carattere dispositivo che cessa di operare quando esista una manifestazione di volontà, espressa o presunta, del creditore in tal senso, ovvero: a) quando esiste un accordo espresso tra debitore assegnante e creditore assegnatario; b) quando preesiste una pratica costante tra le parti nel senso di attribuire efficacia solutoria alla consegna, in pagamento, di assegni circolari; c) quando la datio pro solvendo dell’assegno in luogo del contante sia consentita da usi negoziali” (Cass. 10 giugno 2005, n. 12324; e, già in precedenza, Cass. 24 giugno 1997, n. 5638; nello stesso senso, Cass. 14 febbraio 2007, n. 3254). In tal modo, vengono enunciate le tipologie di possibile modifica ad una regola – ivi avente fonte nella legge, mentre nel caso che ci occupa nel negozio ex art. 1372 c.c., – vale a dire: l’accordo una tantum; la prassi preesistente; gli usi negoziali nel settore. L’accordo una tantum consiste nella specifica convenzione, operata dalle parti volta a volta al momento del singolo pagamento, il quale venga disposto ed accettato con modalità diverse da quelle in origine convenute. La prassi invalsa tra i contraenti deve preesistere al pagamento de quo e riguardare una data modalità dell’adempimento, che sia diversa da quella a suo tempo pattuita; si richiede, pertanto, che sussista un comportamento reiterato dei contraenti, il quale risulti dalla verifica di una prassi già consolidata, senza che debba accertarsi un consenso manifestato di volta in volta. Infine, gli usi negoziali si distinguono, com’e’ noto, dagli usi normativi ex artt. 1,4 e 8 disp. att. c.c., – tradizionalmente fondati su due requisiti, l’uno di natura oggettiva consistente nella uniforme e costante ripetizione di un dato comportamento, l’altro di natura soggettiva o psicologica consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, di modo che venga a configurarsi una norma, sia pure di rango terziario, in quanto subordinata alla legge ed ai regolamenti, avente i caratteri della generalità e della astrattezza (Cass. 11 novembre 1999, n. 12507, sulle norme Abi) – e consistono in una prassi o pratica generalizzata, attuata di fatto in un dato settore del mercato e suscettibile di inserirsi, in difetto di contraria volontà delle parti, nel contenuto del contratto, ai sensi dell’art. 1340 c.c., ogni volta che risulti la reiterazione ipontanea di un determinato comportamento (Cass. 13 dicembre 2012, n. 22927, non massimata; Cass. 14 ottobre 2009, n. 21833; Cass. 6 marzo 2007, n. 5135; Cass. 19 dicembre 2006, n. 27158; con riguardo agli usi aziendali del datore di lavoro, v. Cass., sez. lav., 13 dicembre 2012, n. 22927; 3 giugno 2004, n. 10591; 30 marzo 2001, n. 4773; 12 agosto 2000, n. 10783; 26 settembre 1998, n. 9663; 7 agosto 1998, n. 7774; 6 luglio 1996, n. 6176, non massimata; 2 febbraio 1996, n. 900; 25 febbraio 1995, n. 2217; e già Cass., sez. un., 30 marzo 1994, n. 3134): in tal modo, gli usi negoziali, quali pratiche seguite da una determinata cerchia di contraenti individuati su base territoriale o per l’appartenenza ad una specifica categoria di operatori economici, obbligano le parti anche se da esse ignorati, in quanto l’applicazione degli stessi è esclusa soltanto ove risulti con certezza che i contraenti non abbiano voluto riferirsi ad essi, e prevalgono sulle stesse norme di legge aventi carattere dispositivo (così Cass. 6 marzo 2007, n. 5135). L’interpretazione della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. a), deve muovere dalla considerazione secondo cui la fattispecie ha riguardo ad una modalità di esecuzione del rapporto tra le parti, che – pur divergendo dalle clausole negoziali – sia ricompresa “nei termini d’uso”. A fronte delle interpretazioni in astratto possibili della disposizione – dalla massima genericità, che ancora l’uso al mercato nel suo insieme; alla progressiva limitazione, con riguardo al settore commerciale di riferimento; alla considerazione, infine, del singolo rapporto tra le parti, a sua volta visto come si sia atteggiato in concreto per un certo tempo, oppure solo come risultante in forza dei patti originariamente conclusi – occorre ricercare, secondo la funzione assegnata dall’ordinamento alla Corte di cassazione, non una qualsiasi delle plurime interpretazioni solo “possibili”, ma quella più “esatta” (art. 65 ord. giud.), sulla base del diritto positivo. Pertanto, anzitutto deve escludersi che la locuzione afferisca alle clausole negoziali come previste in contratto, interpretazione che la priverebbe di qualsiasi portata innovativa. Tra le su ricordate modalità derogatorie degli originari patti – accordo una tantum, prassi preesistente al pagamento ed uso negoziale del settore – la seconda è quella confacente alla disposizione in esame. Non, invero, il primo, perché non basterebbe un solo occasionale accordo ad integrare la nozione di “uso”; non il terzo, che imporrebbe di ricostruire la prassi in un ambito troppo esteso. Deve dunque disattendersi, da un lato, l’interpretazione generalizzante, sia se ancorata all’intero mercato (in cui sarebbe, del resto, arduo individuare una prassi comune a tutti gli operatori sul medesimo), sia se riferita agli operatori di una sottocategoria imprenditoriale nello specifico settore commerciale; nonché, dall’altro lato, l’interpretazione più strettamente individualistica, che riconduca la previsione alla clausola negoziale prevista a regolamentazione iniziale del rapporto. Se, infatti, la ratio dell’azione revocatoria, come regola, è quella di preservare la par condicio creditorum, onde le operazioni poste in essere nel cd. periodo sospetto dalla società sottoposta a procedura concorsuale debbano incorrere nella sanzione dell’inefficacia, dal suo canto la ratio dell’eccezionale esenzione sta nell’intento di circoscrivere, in modo ragionevole, l’estensione del rimedio, in relazione a situazioni assai diverse tra loro (basti leggere le lettere di cui si compone la L. Fall., art. 67, comma 3), ma, nondimeno, accomunate dalla presenza di un interesse ritenuto dal legislatore superiore. Per quanto qui rileva, la norma ha inteso tener conto del fatto che tra imprenditori può ben essere, di fatto, attuata una modalità di pagamento – non solo quanto al momento della scadenza, ma anche a varie altre modalità della prestazione di “dare” il corrispettivo dovuto: non potendo la parola “termini” reputarsi qui strettamente riferita solo al tempo dell’adempimento ex art. 1186 c.c., – diversa da quella inizialmente negoziata. In particolare, la previsione del comma 3, lett. a), si pone in diretta correlazione con quella L. Fall., art. 67, del comma 1, n. 2). Se la regola è che sono revocati (con presunzione, oltretutto, della scientia decoctionis) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali di pagamento compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, ciò è proprio in quanto l’accettazione di un mezzo inusuale di pagamento lascia presumere iuris et de iure la violazione della par condicio. Pertanto, l’eccezione al riguardo posta è necessariamente nel senso che, pur quando le modalità di pagamento siano estranee alla previsione della relativa clausola contrattuale, il pagamento resta fermo ed efficace, tutte le volte che fra le parti si sia instaurata una prassi anteriore – adeguatamente consolidata e stabile, così da potersi definire tale – volta a derogare a quella clausola contrattuale ed introdurre, come nuova regola inter partes, il pagamento nei termini diversi e più lunghi. Non basterebbe, pertanto, che alcuni pagamenti fossero compiuti ed accettati in un lasso temporale maggiore: oggetto di prova è la circostanza di un “uso” diverso tra le parti, quale condotta reiterata sul piano oggettivo, stabilizzatasi già prima dei pagamenti sospetti. Per l’individuazione di una dilazione dei pagamenti secondo i “termini d’uso”, dunque, non vale la mera esistenza di alcuni pagamenti in ritardo, rispetto ai termini pattuiti: ove essa derivi da singoli momenti patologici della vita dell’impresa, caratterizzati da specifici accadimenti di fatto e da un’isolata tolleranza da parte del creditore. L’effetto della disposizione di esonero e’, in definitiva, che non sono revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente prescritti, siano stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli de quibus: tanto che non possano più, a quel punto, ritenersi pagamenti eseguiti “in ritardo”, ossia inesatti adempimenti, ma siano divenuti per prassi, proprio al contrario, esatti adempimenti, con tutte le conseguenze relative all’inesistenza di un inadempimento dell’altro contraente (in ordine alla mora, all’art. 1460 c.c., all’azione di risoluzione, al risarcimento del danno, ecc.). L’onere della prova di tale situazione e’, ai sensi dell’art. 2697 c.c., in capo all’accipiens. Si noti che, in tal modo, la disposizione in esame abilita il rilievo di modifiche tacite a contratti pur se redatti per iscritto, posto che non avrebbe senso ammettere l’applicabilità dell’esenzione ai soli contratti conclusi verbalmente; onde si avrà ampia applicazione, quanto alla prova testimoniale eventualmente richiesta, dell’art. 2721 c.c., comma 2, e art. 2723 c.c.; la soluzione è coerente, altresì, con l’art. 2722 c.c., il quale vieta la prova per testimoni solo dei patti contrari conclusi prima o contemporaneamente al contratto. Naturalmente, è ben possibile che, nella specifica evenienza, esistano veri e propri usi negoziali di settore, che allora l’accipiens avrà comunque la facoltà di provare”.

2.3.1. L’arresto finora riportato ha concluso, infine, affermando il seguente principio di diritto: “L’interpretazione della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. a), è nel senso che non sono revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente previsti, siano stati, anche per comportamenti di fatto, eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli in discorso, i quali, pertanto, non possono più ritenersi pagamenti eseguiti “in ritardo”, ossia inesatti adempimenti, ma divengono esatti adempimenti; l’onere della prova di tale situazione e’, ai sensi dell’art. 2697 c.c., in capo all’accipiens”.

2.4. Alla stregua delle considerazioni tutte rinvenibili nella riprodotta Cass. n. 27939 del 2020, qui integralmente condivise, nonché del principio ivi affermato, deve ritenersi, dunque, che, nella specie, la corte d’appello, lungi dal riferirsi unicamente alla disciplina negoziale originaria, avrebbe dovuto accertare se, in base a tutti i mezzi di prova offerti, tra la ***** s.p.a in bonis e la società (Divispack s.r.l.) destinataria dei suoi pagamenti si fosse instaurata una prassi in via di fatto, modificativa degli accordi a suo tempo conclusi, tale da permettere l’adempimento delle prestazioni pecuniarie in tempi diversi e più lunghi, come quelli che hanno caratterizzato i pagamenti oggetto dell’azione revocatoria.

3. Il primo motivo può considerarsi assorbito.

4. In definitiva, quindi, va accolto il secondo motivo di ricorso, dichiarandosene assorbito il primo e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, perché riesamini il materiale istruttorio alla luce del principio su esposto, provvedendo ad accertare se risulti, dalla documentazione in atti, la circostanza che la ***** s.p.a. in bonis abbia in concreto pagato con ritardi similari tutte le prestazioni fatturate dalla Divispack s.r.l. e quest’ultima sempre accettato, senza riserve, i pagamenti de quibus. Alla stessa corte è demandata anche la liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, dichiarandone assorbito il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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