Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.616 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. r.g. 16672-2020 proposto da:

J.E., elettivamente domiciliato in Messina, alla Via della Zecca n. 7, presso lo studio dell’Avvocato Carmela Maria Cordaro, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata in calce al ricorso (dichiara di voler ricevere comunicazioni all’indirizzo pec: avvcarmelamariacordaro.puntopec.it).

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MESSINA reso il 23/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del giorno 22/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 23 marzo 2020, il Tribunale di Messina ha respinto la domanda di J.E., nativo del Gambia, volta al riconoscimento della protezione internazionale o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale ritenne insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente, non credibili le sue dichiarazioni e, comunque, i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne l’accoglimento.

2. Avverso il descritto decreto J.E. ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c.. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va dichiarata l’ammissibilità dell’odierno ricorso, benché notificato (il 10 giugno 2020) oltre il termine di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, in relazione alla data (17 aprile 2020) di notificazione del provvedimento oggi impugnato, attese le misure adottate dal legislatore per far fronte all’emergenza epidemiologica da Covid-19, in particolare quanto disposto dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020), che ha sospeso, per il periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, successivamente allungato fino all’11 maggio 2020 dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 40 del 2020), il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali.

2. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 10 e 11”, censurandosi la mancata audizione dell’odierno ricorrente malgrado la ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni da lui rilasciate innanzi alla Commissione Territoriale e l’assenza di videoregistrazione del colloquio ivi da lui tenuto;

Il) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 27, comma 1, nonché del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, criticandosi il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;

III) “Violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 27, comma 1-bis, e art. 35-bis, comma 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e motivazione apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere il tribunale del tutto omesso di svolgere una effettiva indagine sul Paese interessato ai fini di comparare adeguatamente l’integrazione raggiunta in Italia e la situazione specifica del Gambia ai fini della concessione, quantomeno, della protezione umanitaria”, in relazione al diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3. Le descritte doglianze, scrutinabili congiuntamente per la loro stretta connessione, si rivelano insuscettibili di accoglimento nel loro complesso.

3.1. Invero, il tribunale messinese: i) ha negato credibilità al racconto del richiedente protezione circa le ragioni (timore per le minacce di essere ucciso rivoltegli dal suo vicino di casa, presso cui era andato a vivere dopo la morte di entrambi i genitori, e che, a suo dire, già aveva ucciso suo padre) che lo avevano indotto a lasciare il proprio Paese, escludendo comunque che i corrispondenti fatti legittimassero la richiesta di riconoscimento, oltre che dello status di rifugiato, anche della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); i:) ha escluso, sulla base della consultazione di affidabili fonti di informazioni, delle quali ha pure dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che in Gambia sia attualmente riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. amplius, pag. 15-16, del menzionato decreto); quanto alla invocata protezione umanitaria (da scrutinarsi alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), ha evidenziato l’assenza di stati patologici di rilievo o di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione.

3.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che:

i) il vizio di omessa o apparente motivazione di un provvedimento decisorio sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (r., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 2959 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Più in particolare, al fine di non incorrere nella motivazione apparente, equiparabile a difetto assoluto di motivazione, il contenuto della stessa deve comprendere il racconto sia del processo dinamico di formazione dell’atteggiamento psicologico del giudicante espresso nella decisione assunta, sia del risultato del passaggio logico dall’ignoranza, quale iniziale posizione statica, alla conoscenza sotto la specie del giudizio, quale posizione statica finale di approdo a seguito dell’attività di acquisizione della conoscenza intorno all’oggetto Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione; Cass. n. 9017 del 2018, in motivazione; Cass. n. 1450 del 2009). E’ perciò possibile ravvisare una motivazione apparente laddove le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo, risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio – da apprezzare non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva e’, all’evidenza, insussistente nella specie, posto che il tribunale ha adeguatamente esposto le ragioni, sopra rammentate, che imponevano il rigetto della domanda di J.E. di riconoscimento di ciascuna delle invocate forme di protezione internazionale;

ii) dal provvedimento oggi impugnato emerge chiaramente l’essere stata tenuta l’udienza di comparizione delle parti in data 20.1.2020;

iii) come recentemente puntualizzato da Cass. 11 novembre del 2020, n. 25312 (si veda, nello stesso senso, anche Cass. n. 2959 del 2021), il giudice che sia investito del ricorso contro il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale può esimersi dall’audizione del richiedente se a quest’ultimo, nella fase amministrativa, sia stata data la facoltà di essere sentito e il verbale del colloquio, ove avvenuto, sia stato reso disponibile (cfr. Cass. n. 15318 del 2020). Difatti nel giudizio d’impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria, ove sia mancata la videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla commissione territoriale, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza di comparizione non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purché sia stata garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni o davanti alla commissione territoriale (cfr. Cass. n. 2917 del 2019; Cass. n. 5973 del 2019; Cass. n. 1088 del 2020; Cass. n. 2959 del 2021). Ciò è quanto, in base al decreto oggi impugnato, si evince esser avvenuto nel caso di specie. Occorre precisare che la ripetuta interpretazione è conforme alla Dir. n. 2013/32-UE, artt. 12, 14, 31 e 46, secondo l’interpretazione che ne ha dato la Corte di giustizia con la sentenza 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, sicché neppure sarebbe ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale della richiedente, poiché l’audizione comunque non si traduce in un incombente automatico, neppure dinanzi all’affermata non credibilità del racconto. Vi e’, semmai, il diritto della parte di richiedere l’audizione personale a fronte di specifiche circostanze di fatto che si intendano chiarire. Diritto cui si collega, tuttavia, il potere officioso del giudice di valutare la rilevanza di quelle circostanze nel complesso degli elementi acquisiti, ben potendo il giudice respingere la domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dagli atti e di quelli emersi attraverso l’audizione svoltasi nella fase amministrativa (cfr. Cass. n. 8931 del 2020, per quanto correlata a fattispecie soggetta al previgente del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35). Contigua a codesti principi appare anche la recente affermazione della sentenza di questa sezione n. 21584 del 2020, che, all’esito di ampia motivazione, ha fissato il principio per cui: “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”. Sennonché affermare l’inesistenza dell’obbligo di audizione a meno che nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi, ovvero il giudice ritenga necessaria l’acquisizione (chiarimenti, ovvero ancora l’istanza sia corredata da precise indicazioni sui singoli aspetti da chiarire, e “sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”), equivale a costruire l’audizione pur sempre come oggetto di una facoltà, non di un obbligo; sebbene di una facoltà che, laddove esercitata in un senso o nell’altro, presupponga (come ovvio) l’esplicitazione dei motivi della afferente decisione. Cosicché anche in base al citato precedente l’istanza di audizione non può essere dal ricorrente considerata come finalizzata all’esercizio di un diritto potestativo, come sarebbe se al fondo di essa fosse riscontrabile un incombente processuale automatico, necessariamente insito nella fissazione dell’udienza e tale da impedire al giudice di rigettare altrimenti la domanda. Pertanto, nel solco di quanto affermato dalla citata Cass. n. 21584 del 2020 vi è da aggiungere che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; nel senso che il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza. Tale onere nella specie non risulta adempiuto, non emergendo dal ricorso le puntuali circostanze su cui l’odierno ricorrente avrebbe dovuto ulteriormente riferire. A tanto deve soltanto aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 2355 del 2020; Cass. n. 30105 del 2018);

iv) quanto al diniego della protezione sussidiaria, giova ricordare che la valutazione di inattendibilità del racconto del dichiarante osta al riconoscimento di quest’ultima quanto alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, alle lett. a) e b), (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione), mentre, quanto a quella proposta dal medesimo decreto, giusta la lett. c), il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, debitamente aggiornate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, il Gambia non si segnala attualmente alcuna significativa instabilità politica. Va solo rimarcato che, come recentemente chiarito da Cass. n. 29056 del 2019, l’eventuale omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poiché, in tal caso, l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. Nella specie, però, non vi è prova alcuna, né è stato specificamente dedotto dal ricorrente, che le fonti dal medesimo oggi richiamate in ricorso siano state sottoposte all’attenzione del tribunale;

v) la censura complessivamente afferente il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari si rivela inammissibile, risolvendosi, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice di merito, cui il ricorrente intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie. Nessun decisivo rilievo assume, infine, da sola, ai fini della corretta applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, l’eventuale integrazione socio-lavorativa asseritamente raggiunta dal richiedente (ma concretamente esclusa dal tribunale), posto che vige nella materia de qua il principio secondo il quale non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (cfr., nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 24413 del 2021, secondo cui “… occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano”; Cass., SU, n. 24959 del 2019. Cfr. anche Cass. n. 24104 del 2021, secondo cui “…lo svolgimento di attività lavorativa nel nostro Paese, da solo, non costituisce una ragione sufficiente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per più ragioni: i) perché la legge non stabilisce alcun automatismo tra lo svolgimento in Italia di attività lavorativa e la sussistenza di una condizione di “vulnerabilità”; ii) perché il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura temporanea, mentre lo svolgimento di attività lavorativa, in particolare a tempo indeterminato, legittimerebbe un permesso di soggiorno sine die; iii) perché la “vulnerabilità” richiesta ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 17832 del 3.7.2019; Sez. 1, Ordinanza n. 17287 del 27.6.2019). Lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, per contro, può essere solo uno dei fattori indizianti che, valutati unitamente a tutte le altre circostanze del caso concreto, può dimostrare la sussistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente asilo…”). A tanto deve solo aggiungersi che, come condivisibilmente affermato da Cass. n. 24904 del 2020, “in tema di protezione umanitaria, la condizione di vulnerabilità che legittima il rilascio del permesso di soggiorno di cui alla L. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non comprende quella di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente asilo, perché non è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di gravi difficoltà economiche e sociali”. Inoltre, la situazione del Paese di origine prospettata in termini generali ed astratti, come nel caso di specie, è di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (cfr. Cass. n. 17787 del 2021, in motivazione);

vi) a fronte di tale corretta operazione di sussunzione dei fatti allegati alle norme di legge di cui il ricorrente ha chiesto l’applicazione, le doglianze sviluppate nei motivi di ricorso in esame investono, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione internazionale ed umanitaria), senza assolutamente considerare che, da un lato, la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposte, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017, Cass. n. 2959 del 2021 e Cass., SU, n. 34476 del 2019); dall’altro, che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 23 marzo 2020), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

4. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originane o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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