Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.619 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32520-2019 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, in VIA TIBULLO N 10, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO CROCE’, che lo rappresenta e difende con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

***** s.r.l., in persona del legale rappres. p.t.; FALLIMENTO della ***** s.r.l., in persona del curator p.t.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6039/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 09/11/2021 dal Consigliere relatore, Dott. CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 2018, dichiarò il fallimento della ***** s.r.l., su ricorso di P.R., fondato su titolo giudiziario esecutivo, per la somma di Euro 36.928,17 oltre interessi, ritenendo: la sussistenza dello stato d’insolvenza in quanto la società debitrice era stata cancellata dal registro delle imprese il 26.5.17, senza previo esperimento della fase liquidatoria, pur persistendo la dedotta esposizione debitoria cui la società stessa non avrebbe potuto far fronte essendo cessata l’attività d’impresa, e in mancanza di poste attive residue; che il credito vantato dall’istante fosse superiore al valore-soglia di Euro 30000,00.

La società fallita e il legale rappresante in proprio, C.R., proposero reclamo, chiedendo la revoca del fallimento sulla base di tre motivi: la nullità o inesistenza della notifica del ricorso per fallimento, poiché effettuata, senza buon fine, presso il luogo della residenza del legale rappresentante, diverso da quella effettiva, dovendosi ritenere invalido il procedimento notificatorio presso la casa comunale ex art. 15 L. Fall.; l’importo del credito del ricorrente era da ritenere inferiore al limite dei 30000,00 Euro in quanto ridotto a seguito di un pagamento parziale di Euro 7000,00 con bonifico bancario del 16.1.17, successivamente alla sentenza posta a sostegno del ricorso; la carenza di legittimazione passiva, stante l’intervenuta trasformazione eterogenea della società reclamante in comunione di azienda ex art. 2500 septies c.c., con conseguente cancellazione dal registro delle imprese.

Con sentenza del 10.10.19, la Corte d’appello ha accolto il reclamo, revocando il fallimento, poiché: il resistente, in comparsa di costituzione, aveva dichiarato di aver ricevuto la somma di Euro 7000,00, deducendo di considerare tale pagamento non già un adempimento parziale, bensì quale cauzione (a garanzia del pagamento complessivo per il quale aveva concesso una dilazione) o come forma di risarcimento per mancato rispetto dell’accordo; tale pagamento parziale aveva ridotto l’importo del credito ad un valore inferiore alla soglia di fallibilità, non essendo comprovato un diverso titolo che avrebbe giustificato il suddetto pagamento parziale; non erano emersi altri indici di superamento della soglia di fallibilità.

P.R. ricorre in cassazione con quattro motivi. Non si sono costituiti gli intimati.

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul superamento del limite indicato dall’art. 15 L. Fall., nonché nullità della sentenza nella parte in cui ha omesso di esporre e motivare il calcolo analitico del credito fatto valere. Al riguardo, il ricorrente assume che, pur tenendo conto del pagamento della somma di Euro 7000,00, la soglia dei 30000,00 Euro risultava superata dato che il credito complessivo ammontava a Euro 38.193,59; alla somma di Euro 36.928,17, oggetto di precetto, erano infatti da aggiungere gli interessi, pari a Euro 1.142,25 – maturati dalla data della tentata notifica del precetto a quella di deposito dell’istanza di fallimento- e le spese successive, fiscali e legali. Il secondo motivo deduce l’omesso esame di tutte le circostanze esaminate, in violazione e falsa applicazione degli artt. 1,5,6,9,15 e 16, L. Fall., art. 147 L. Fall., in quanto dagli atti emergevano vari indici rivelatori dell’insolvenza (quali la cancellazione della società dal registro delle imprese, senza fase liquidatoria; la trasformazione della società in comunione d’azienda al fine di sottrarre ai creditori il proprio patrimonio; l’ammontare del passivo superiore a 240,000,00 Euro).

Il terzo motivo denunzia l’omesso esame dell’eccezione preliminare sollevata dalla parte reclamante sulla carenza di legittimazione passiva della società fallita, per l’intervenuta trasformazione della società ex art. 2500 septies c.c. in comunione d’azienda, con la successiva cancellazione, non comunicata ai creditori.

Il quarto motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sull’attribuzione di colpa al creditore ricorrente per aver presentato il ricorso per fallimento, avendo peraltro la Corte d’appello applicato la norma di cui al D.Lgs. n. 14 del 1919, art. 366 – modificativa del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 147 – entrata in vigore dopo il deposito del ricorso per fallimento, da ritenere più afflittiva di quella modificata.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza in quanto il ricorrente non ha trascritto nel ricorso il precetto con i relativi calcoli delle varie voci del credito oggetto del ricorso di fallimento, sicché è precluso al collegio la verifica sull’errore numerico. Al riguardo, secondo consolidato orientamento di questa Corte, l’errore causato da inesatta determinazione dei presupposti numerici di una operazione è deducibile in sede di legittimità, in quanto si risolve in un vizio logico della motivazione, a differenza dell’errore materiale di calcolo risultante dal confronto tra motivazione e dispositivo, il quale è suscettibile di correzione con la procedura di cui agli artt. 287 e s.s. c.p.c. (Cass., n. 795/13; n. 2399/18). Pertanto, nel caso concreto, la suddetta carenza di autosufficienza di questo capo del ricorso preclude l’accertamento dell’effettiva sussistenza del vizio denunziato dal ricorrente.

Il secondo motivo è inammissibile in quanto non è inerente all’oggetto del reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento, che riguardava l’entità del credito fatto valere dall’istante per fallimento (oltre all’eccezione di carenza di legittimazione passiva). Al riguardo, non ha pregio la doglianza afferente al fatto che nelle more del procedimento in questione sia stato accertato un passivo fallimentare di oltre Euro 240.000,00 tenuto conto della consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, secondo la quale, ai fini del computo del limite minimo di fallibilità previsto dall’art. 15 L. Fall., comma 9, deve aversi riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare, dovendosi, invece, escludere ogni rilievo a quelli successivamente accertati solo in sede di verifica dello stato passivo e non già emersi nel procedimento per la dichiarazione di fallimento (Cass., n. 14727/16; n. 10952/15; n. 5377/16). Infatti, la Corte territoriale ha rimarcato la mancanza della prova del superamento del limite quantitativo di Euro 30000,00, anche mediante allegazione di ulteriori debiti, scaduti e non pagati, risultanti dall’istruttoria prefallimentare.

Ne consegue che l’accertata insussistenza del limite-soglia di Euro 30.000,00 di cui all’art. 15 L. Fall., rende privi di rilevanza i riferimenti del ricorrente alla parte della sentenza revocata che richiamava gli altri indici d’insolvenza Il terzo motivo è inammissibile. Invero, la Corte territoriale ha ritenuto di esaminare il reclamo sulla base della “ragione più liquida” in quanto avente ad oggetto una questione assorbente e dirimente del giudizio, non ravvisando la necessità di esaminare le altre questioni sollevate dall’impugnante, tra cui quella sulla carenza di legittimazione passiva della società fallita. Ora, la doglianza tende al riesame dei fatti inerenti a tale valutazione che, comunque, esclude che la Corte di merito abbia omesso l’esame della suddetta eccezione, ritenuta invece assorbita dalla pronuncia sulla sussistenza del limite quantitativo del fallimento, di cui all’art. 15 L. Fall..

Infine, il quarto motivo, declinato attraverso due distinte critiche, è parimenti inammissibile. Anzitutto, la prima doglianza deduce un vizio di motivazione non predicabile ratione temporis; la seconda non è invece pertinente all’oggetto della pronuncia contestata sulla liquidazione delle spese, in quanto la norma applicata (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 147, come modificato nel 2019), avente natura processuale, non ha introdotto alcuna sanzione a carico del soggetto il quale abbia chiesto con colpa il fallimento, ma un criterio per la liquidazione delle spese nel caso specifico di revoca della dichiarazione di fallimento.

Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione delle parti intimate.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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