LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31717/2019 R.G. proposto da:
I. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.
I.C., rappresentata e difesa dagli Avv. Claudio Sergio Canzonieri, e Luccio Puopolo, con domicilio eletto in Roma, viale delle Milizie, n. 22, presso lo studio dello Avv. Igor Turco;
– ricorrente –
contro
INTESA SANPAOLO S.P.A., in qualità di avente causa della Mediocredito Italiano S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Roberto Serantoni, Domenico Sindico e Giampaolo Doschi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via G. Mercalli, n. 13;
– controricorrente –
avverso la sentenza del tribunale di Milano n. 3114/19, depositata il 28 marzo 2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 ottobre 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, con l’assorbimento degli altri motivi.
FATTI DI CAUSA
1. Il Mediocredito Italiano S.p.a. convenne in giudizio la I. S.r.l., per sentirla condannare alla restituzione della somma di Euro 50.150,26, indebitamente corrisposta il 10 dicembre 2002, oltre interessi.
Premesso che il pagamento era stato effettuato a seguito di un procedimento di espropriazione forzata promosso dalla I., in qualità di creditrice dell’Ortofrutticola C. S.a.s., nei confronti della terza debitrice ***** S.p.a., dante causa di esso attore, e conclusosi con ordinanza di assegnazione del credito pignorato emessa il 30 settembre 2002, il Mediocredito riferì che con sentenza del 20 novembre 2002 il Tribunale di Napoli aveva dichiarato il fallimento della debitrice. Aggiunse che il curatore del fallimento l’aveva convenuta in giudizio per sentir dichiarare, ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 44, l’inefficacia del pagamento, in quanto eseguito successivamente alla dichiarazione di fallimento, precisando che il giudizio si era concluso in appello, con sentenza dell’8 giugno 2015, passata in giudicato, la quale aveva accolto la domanda.
Si costituì la convenuta, ed eccepì l’intervenuta prescrizione del credito.
1.1. Con sentenza del 28 marzo 2019, il Tribunale di Milano accolse la domanda.
Premesso che l’attore aveva dimostrato di aver pagato due volte la medesima somma, la prima indebitamente in favore della convenuta e la seconda correttamente in favore del fallimento, il Tribunale ritenne che il diritto alla restituzione fosse sorto soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza di appello che aveva accolto la domanda del curatore, concludendo che dalla medesima data doveva essere fatto decorrere il relativo termine di prescrizione, e dichiarando pertanto infondata la relativa eccezione. Precisato infatti che la L. Fall., art. 44, prevede un’inefficacia relativa, che può essere dichiarata soltanto a seguito di un’azione proposta dal curatore del fallimento, osservò che, in qualità di debitore della società fallita, il Mediocredito non avrebbe potuto farla valere, essendo tenuto ad effettuare il pagamento, a seguito dell’ordinanza di assegnazione emessa dal Giudice dell’esecuzione. Aggiunse che il pagamento eseguito in favore del fallimento, cristallizzato dalla sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello, passata in giudicato, aveva comportato il venir meno della giustificazione giuridica di quello effettuato in favore della I., la quale si era soddisfatta per intero successivamente alla dichiarazione di fallimento, in contrasto con la par condicio creditorum, mentre il Mediocredito aveva sopportato le conseguenze della declaratoria d’inefficacia del pagamento.
2. L’impugnazione proposta dalla I. è stata dichiarata inammissibile dalla Corte d’appello di Milano con ordinanza del 29 luglio 2019, emessa ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., la quale ha ribadito che il diritto alla ripetizione delle somme indebitamente pagate in esecuzione di un provvedimento giudiziale successivamente revocato sorge con il passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato che tale importo non era dovuto.
3. Avverso la predetta sentenza la I. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. Ha resistito con controricorso il Mediocredito Italiano, successivamente incorporato dalla Intesa Sanpaolo S.p.a., la quale ha spiegato intervento nel giudizio, mediante il deposito di memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
La causa, avviata alla trattazione in Camera di consiglio, con ordinanza del 14 maggio 2021 è stata rinviata alla pubblica udienza.
Il ricorso è stato quindi esaminato in Camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione 18 dicembre 2020, n. 176.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va dichiarata l’ammissibilità dell’intervento spiegato nel giudizio dall’Intesa Sanpaolo, in qualità di avente causa a titolo universale del Mediocredito Italiano, al quale è succeduta a seguito di fusione per incorporazione con atto per notaio M.C. del 30 ottobre 2019, rep. n. 15286, prodotto in giudizio.
Nel giudizio di cassazione, non risulta infatti precluso l’intervento di un terzo che intenda proseguire il giudizio in qualità di successore a titolo universale di una delle parti già costituite, trovando applicazione la disciplina generale dettata dall’art. 110 c.p.c., la cui operatività non è espressamente esclusa per il giudizio di legittimità, né appare incompatibile con le forme proprie dello stesso, a condizione che tale soggetto alleghi e documenti la predetta qualità attraverso le produzioni consentite dall’art. 372 c.p.c. e tramite un atto partecipato alla controparte mediante notificazione (cfr. Cass., Sez. Un., 22/04/2013, n. 9692; Cass., Sez. V., 17/07/2019, n. 19172; Cass., Sez. VI, 15/05/2020, n. 8973). La necessità di quest’ultimo adempimento, volto ad assicurare il contraddittorio in ordine alla modificazione soggettiva intervenuta nel rapporto processuale, esclude, in linea di principio, l’ammissibilità di un intervento spiegato mediante il semplice deposito della memoria di cui all’art. 378 c.p.c., la cui omessa notificazione può ritenersi tuttavia sanata qualora, come nella specie, la controparte abbia potuto prendere conoscenza dell’intervento, a seguito del rinvio della trattazione, ed abbia accettato il contraddittorio, astenendosi dal sollevare eccezioni (cfr. Cass., Sez. V, 17/07/2019, n. 19172; Cass., Sez. VI, 22/02/2016, n. 3471; Cass., Sez. III, 31/03/2011, n. 7441).
2. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2908,2909,2935 e 2943 c.c. e della L. Fall., art. 44, censurando la sentenza impugnata per aver ancorato la decorrenza del termine di prescrizione alla sentenza con cui era stata dichiarata l’inefficacia del pagamento, senza tener conto della natura meramente dichiarativa della stessa e della sua inopponibilità ad essa ricorrente, rimasta estranea al relativo giudizio. Premesso che la proposizione della domanda di cui alla L. Fall., art. 44, era stata preceduta da una richiesta di pagamento del curatore fallimentare, sostiene che, nel ritenere necessario il passaggio in giudicato della sentenza, il Tribunale non ha tenuto conto della natura non costitutiva, ma meramente dichiarativa della stessa, avente ad oggetto l’accertamento che il pagamento era stato effettuato con mezzi appartenenti al patrimonio del fallito, e della sua conseguente inidoneità ad interrompere il termine di prescrizione dell’obbligazione restitutoria, estranea all’oggetto del giudizio. Aggiunge che quest’ultimo si poneva, rispetto a tale obbligazione, come un mero impedimento di fatto, derivante dalla decisione unilaterale del Mediocredito di opporsi alla legittima richiesta di pagamento del curatore, determinando l’instaurazione di un giudizio al quale essa ricorrente non era stata chiamata a partecipare.
2.1. Il motivo è fondato.
In tema di ripetizione dell’indebito, questa Corte, nell’affermare che la relativa azione presuppone l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta, derivante dall’assenza originaria di un titolo che la giustifichi o dal successivo venir meno dello stesso per annullamento, rescissione o inefficacia connessa all’avveramento di una condizione risolutiva (cfr. Cass., Sez. III, 28/05/2013, n. 13207; 22/09/1979, n. 4889), ha precisato che le due fattispecie devono essere tenute distinte ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, che va ancorata nel primo caso alla data di effettuazione del pagamento, e nel secondo alla data in cui, per effetto del venir meno del titolo, sorge e diviene azionabile il diritto alla restituzione (cfr. Cass., Sez. III, 11/02/2020, n. 3314; 3/12/2015, n. 24628). E’ stato inoltre chiarito che al primo gruppo di fattispecie dev’essere ricondotta anche l’ipotesi in cui il pagamento sia stato effettuato in virtù di un titolo del quale sia stata successivamente accertata la nullità, dal momento che tale forma d’invalidità, afferendo agli elementi genetici del negozio, si traduce nel difetto ab origine di una valida causa sol-vendi, rispetto al quale la pronuncia giudiziale opera con efficacia meramente dichiarativa, con la conseguenza che il termine di prescrizione dell’azione restitutoria non può fatto decorrere dalla data di tale pronuncia, ma va ancorato a quella del pagamento, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la mancanza di un giudicato in ordine alla nullità del titolo (cfr. Cass., Sez. III, 19/04/2015, n. 7749; 12/05/2014, n. 10250; 15/07/2011, n. 15669). Ancora diversa è infine l’ipotesi in cui il pagamento sia stato effettuato in esecuzione di una pronuncia di condanna successivamente riformata o cassata, trattandosi di una fattispecie comunemente ritenuta non riconducibile allo schema della ripetizione dell’indebito, in quanto collegata all’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore al provvedimento annullato, nonché indipendente da qualsiasi valutazione in ordine alla buona o alla mala fede dell’accipiens, avuto riguardo alla comune consapevolezza della rescindibilità del titolo in base al quale è stato effettuato il pagamento ed alla provvisorietà dei suoi effetti, che escludono la possibilità di attribuire rilievo a stati soggettivi (cfr. Cass., Sez. III, 12/11/2021, n. 34011; 20/10/2011, n. 21699; Cass., Sez. II, 1/10/2019, n. 24475). Tale fattispecie, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello nell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 648-bis c.p.c., non è in alcun modo assimilabile a quella in esame, caratterizzata dal fatto che la somma della quale è stata chiesta la restituzione è stata corrisposta in esecuzione non già di un provvedimento di condanna riformato o cassato, ma di un’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 553 c.p.c., in un procedimento di espropriazione presso terzi promosso da un creditore nei confronti di un debitore successivamente dichiarato fallito, e conclusosi anteriormente alla dichiarazione di fallimento con l’assegnazione del credito pignorato, cui ha fatto seguito, in data successiva all’apertura della procedura concorsuale, il pagamento da parte del debitor debitoris in favore del creditore assegnatario.
Conformemente ai principi richiamati, deve escludersi che qualora, come nella specie, il pagamento dovuto al creditore sia stato effettuato, in data successiva alla dichiarazione di fallimento di quest’ultimo, in favore di un soggetto diverso dal curatore, a sua volta creditore del fallito, il diritto alla ripetizione del solvens nei confronti dell’accipiens, a seguito della dichiarazione di inefficacia ai sensi della L. Fall., art. 44, sorga soltanto per effetto della relativa pronuncia giudiziale, con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione dal passaggio in giudicato della stessa. L’inefficacia che colpisce gli atti, ivi compresi i pagamenti, posti in essere dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’art. 44 cit., trovando la sua ratio non già nel pregiudizio sofferto dai creditori, ma nella perdita da parte del debitore della disponibilità dei propri beni e diritti patrimoniali, che si determina per effetto della sentenza di fallimento, si distingue infatti da quella prevista dalla L. Fall., art. 67, operando di pieno diritto, senza necessità di una apposita pronuncia giudiziale, sicché la relativa azione, a differenza della revocatoria, non ha carattere costitutivo, bensì dichiarativo, in quanto funzionale ad una declaratoria di nullità dell’atto nei confronti del fallimento e dei creditori (cfr. Cass., Sez. I, 14/10/2015, n. 20742; 13/10/1970, n. 1979; Cass., Sez. III, 30/03/2005, n. 6737).
Tale principio trova applicazione non solo ai pagamenti volontari, ma anche a quelli coattivi, ivi compreso, in caso di fallimento del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi, quello eseguito dal debitor debitoris in favore del creditore che abbia ottenuto l’assegnazione del credito ai sensi dell’art. 553 c.p.c., il quale estingue, oltre al debito del terzo nei confronti del creditore assegnatario, anche quello del fallito, e lo fa con mezzi provenienti dal patrimonio di quest’ultimo: il principio della par condicio creditorum, la cui salvaguardia costituisce la ratio della sottrazione al fallito della disponibilità dei propri beni, deve ritenersi infatti violato non solo dai pagamenti eseguiti dal debitore successivamente alla dichiarazione di fallimento, ma da qualsiasi atto estintivo di un debito a lui riferibile, anche indirettamente, effettuato con suo denaro o per suo incarico o in suo luogo (cfr. Cass., Sez. VI, 22/01/2016, n. 1227; Cass., Sez. I, 31/03/2011, n. 7508). L’inefficacia di tali pagamenti, in caso di fallimento del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi, preclude al creditore procedente la facoltà di pretendere dal debitor debitoris l’esecuzione dell’ordinanza di assegnazione emessa ai sensi dell’art. 553 c.p.c., in data anteriore a quella della dichiarazione di fallimento e non ancora eseguita a quest’ultima data, senza che assuma alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che alla data dell’assegnazione il creditore conoscesse o meno lo stato d’insolvenza del debitore, dal momento che, a partire dalla data del fallimento, il pagamento può essere validamente effettuato soltanto in favore del curatore (cfr. Cass., Sez. I, 14/03/2011, n. 5994; 6/09/2007, n. 18714; Cass., Sez. III, 30/03/2005, n. 6737). E’ noto d’altronde che, in quanto disposta salvo esazione, l’assegnazione del credito pignorato non determina l’immediata estinzione del debito dell’insolvente, sicché l’effetto satisfattivo per il creditore procedente si verifica soltanto a seguito della riscossione del credito, la quale, ove abbia luogo in data successiva a quella della dichiarazione di fallimento, sconta inevitabilmente la sanzione dell’inefficacia, ai sensi dell’art. 44 cit. (cfr. Cass., Sez. I, I, 8/06/2020, n. 10867; 31/03/2011, n. 7508; Cass., Sez. VI, 22/01/2016, n. 1227).
Non può dunque condividersi la tesi sostenuta dalla difesa della controricorrente, secondo cui, nonostante la dichiarazione di fallimento della società debitrice, il Mediocredito Italiano non avrebbe potuto sottrarsi all’effettuazione del pagamento in favore della I., tenuto conto dell’efficacia vincolante dell’ordinanza di assegnazione, divenuta irretrattabile per effetto della mancata impugnazione con l’opposizione agli atti esecutivi: tale irretrattabilità, ricollegabile alla funzione propria dell’ordinanza di assegnazione, quale atto conclusivo del procedimento di espropriazione forzata, preclude infatti al terzo debitore la deduzione di quei vizi che, in quanto incidenti sulla regolarità della procedura esecutiva, avrebbero dovuto essere fatti valere mediante l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c., ma non gli impedisce di far valere fatti estintivi o impeditivi della pretesa del creditore sopravvenuti alla assegnazione, quali per l’appunto l’intervenuta dichiarazione di fallimento del debitore, mediante l’opposizione all’esecuzione, la cui proponibilità trova giustificazione nell’efficacia di titolo esecutivo propria del provvedimento in esame, azionabile in via esecutiva da parte del creditore assegnatario nei confronti del debitor debitoris (cfr. Cass., Sez. VI, 3/06/2015, n. 11493; Cass., Sez. III, 20/11/2012, n. 20310; 7/02/2000, n. 1339). Non pertinente risulta invece il richiamo della sentenza impugnata al principio, enunciato da questa Corte in riferimento all’ipotesi di emissione di un assegno circolare su richiesta di un soggetto già dichiarato fallito, secondo cui la banca emittente non può sottrarsi al pagamento dell’assegno invocando l’inopponibilità al fallimento dei trasferimenti per girata del titolo, dal momento che essa, quando emette un assegno circolare, adempie un’obbligazione di provvista nei confronti del richiedente e contestualmente assume, ai sensi del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, artt. 82 e 83, un’obbligazione cambiaria nei confronti di chiunque risulterà legittimo portatore del titolo (cfr. Cass., Sez. I, 12/10/2018, n. 25558; 23/07/2009, n. 17310): l’inopponibilità al creditore assegnatario di eccezioni riguardanti il rapporto tra il debitore pignorato ed il terzo debitore non trova infatti giustificazione nell’astrattezza dell’obbligazione di quest’ultimo, come accade nei rapporti tra la banca emittente ed il giratario dell’assegno circolare, ma nel giudicato eventualmente formatosi in ordine all’accertamento del credito pignorato per effetto dell’irretrattabilità dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 549 c.p.c., ovvero nell’effetto lato sensu confessorio della dichiarazione positiva resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 c.p.c. e nella mancata proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di cui all’art. 553 c.p.c., i quali non escludono la possibilità di far valere fatti estintivi o impeditivi verificatisi successivamente all’assegnazione del credito.
Peraltro, ai fini dell’individuazione della data di decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione, nel caso di pagamento effettuato in favore di un terzo successivamente alla dichiarazione di fallimento del creditore, non si può non tener conto della natura relativa dell’inefficacia prevista della L. Fall., art. 44, la quale, pur comportando la nullità degli atti compiuti dal fallito, non opera erga omnes, ma può essere fatta valere soltanto dal curatore, in quanto volta a preservare l’integrità dell’attivo, a salvaguardia della par condicio creditorum. In assenza dell’iniziativa del curatore, nessun altro soggetto è legittimato a proporre la relativa azione, neppure colui che ha effettuato il pagamento, sicché lo stesso è destinato a rimanere fermo tra le parti, e non può quindi dar luogo all’esercizio dell’azione di ripetizione da parte del solvens: quest’ultimo, infatti, pur rimanendo esposto al rischio di dover adempiere nuovamente in favore del fallimento, non può chiedere la restituzione del pagamento già eseguito in favore del creditore, trovando lo stesso giustificazione in una causa solvendi ancora operante tra le parti. Soltanto nel momento in cui il curatore faccia valere l’inefficacia di tale pagamento, sollecitando un nuovo adempimento, il pagamento eseguito in favore del fallimento legittima il terzo debitore ad agire per la ripetizione di quello precedentemente effettuato in favore del creditore, da considerarsi ormai privo di causa giustificatrice, per effetto dell’iniziativa assunta dal curatore: ciò comporta, in ossequio al noto principio actio nondum nata non praescribitur, che il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione non può essere fatto decorrere da una data anteriore a quella in cui, a seguito della rinnovazione dell’adempimento in favore del fallimento, il solvens acquista il diritto di agire nei confronti dell’accipiens per la restituzione dell’importo allo stesso corrisposto.
In applicazione di tale principio, non può condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’importo pagato dalla Mediocredito Italiano alla I., in virtù dell’osservazione che tale diritto era sorto soltanto a seguito del passaggio in giudicato della sentenza con cui, ad iniziativa del curatore del fallimento dell’Ortofrutticola C., era stata dichiarata l’inefficacia del predetto pagamento, in quanto eseguito in data successiva alla dichiarazione di fallimento: è infatti pacifico che, mentre la sentenza di appello nel giudizio promosso dal curatore ai sensi della L. Fall., art. 44, era stata pronunciata l’8 giugno 2015, il pagamento da parte del Mediocredito Italiano in favore del fallimento aveva avuto luogo oltre dieci anni prima, ovverosia il 4 febbraio 2005, a seguito dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 186-ter c.p.c., nel giudizio di primo grado. Alla data del 30 giugno 2016, in cui è stata proposta l’azione di ripetizione dell’indebito, il relativo diritto doveva quindi considerarsi ormai prescritto, non risultando che la terza debitrice avesse posto in essere alcun atto interruttivo nei confronti della creditrice assegnataria, e non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la pendenza ultrade-cennale del giudizio di accertamento dell’inefficacia del pagamento, avente un oggetto diverso dalla ripetizione dello stesso, e svoltosi comunque senza la partecipazione della I..
3. Il ricorso va pertanto accolto, restando assorbiti gli altri motivi, proposti in via subordinata, con cui la ricorrente ha censurato da un lato la sentenza di primo grado, per aver fatto decorrere il termine di prescrizione dal passaggio in giudicato della sentenza emessa ai sensi della L. Fall., art. 44, senza che ne fosse stata offerta la prova, anziché dalla pronuncia dell’ingiunzione di pagamento emessa ai sensi dell’art. 186-ter c.p.c., nel corso del giudizio promosso dal curatore o dal pagamento effettuato in esecuzione di tale provvedimento, e dall’altro l’ordinanza emessa dalla Corte d’appello ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., per aver dichiarato inammissibile l’appello sulla base di un principio di diritto diverso da quello posto a fondamento della sentenza di primo grado.
4. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., con il rigetto della domanda proposta dalla I..
5. La novità della questione trattata giustifica l’integrale compensazione delle spese dei tre gradi di giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa integralmente le spese dei tre gradi di giudizio.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022
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