Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.6218 del 24/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12917/2019 proposto da:

O.D., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Tassinari Rosaria, giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/10/2021 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

RILEVATO

CHE:

1. Con ricorso D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35-bis, depositato il 15/09/2017, il cittadino ***** O.D., nato il *****, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Bologna – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE – il provvedimento, notificatogli il 16/08/2017, con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, che egli aveva invocato allegando di aver dovuto lasciare la ***** nell’aprile del 2016, all’età di 19 anni, a seguito di tensioni insorte con gli agricoltori locali a causa del suo commercio di mucche con i *****, sfociate in aggressioni inutilmente denunciate alla polizia e nell’incendio della sua casa.

1.1. All’esito dell’audizione personale del ricorrente, il tribunale ha rigettato il ricorso, ritenendo il suo racconto non credibile per le numerose contraddizioni e implausibilità del narrato; ha quindi escluso la sussistenza dei presupposti di violenza indiscriminata D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c), sulla base di C.O.I. qualificate e aggiornate al 2018; ha infine rigettato la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari per l’insussistenza di profili di vulnerabilità e di una adeguata integrazione in Italia.

2. Il ricorrente ha impugnato il predetto decreto con tre motivi di ricorso per cassazione; il Ministero intimato ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale, senza svolgere difese.

CONSIDERATO

CHE:

2.1. Con il primo motivo si denuncia “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e 5, per non avere il Tribunale di Bologna applicato nella specie il principio dell’onere della prova attenuato così come affermato dalle S.U. con la sentenza n. 27310 del 2008 e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione al punto 3 dell’art. 360 c.p.c. e per difetto di motivazione”, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, il racconto dei fatti reso dal ricorrente sarebbe “lineare e privo di contraddizioni”.

2.2. Il secondo mezzo prospetta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C) per non avere il Tribunale di Bologna riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata così come definita nella sentenza della Corte di Giustizia C-465/07 meglio conosciuta come Elgafaj”, censurando la “scarna motivazione resa”, in quanto “del tutto infondata ed insufficiente” per non aver il tribunale tenuto conto “di quanto osservato nel giudizio di primo grado, ossia che dall’estratto dal sito della Farnesina, ***** risulta che la situazione in ***** è estremamente pericolosa”, e per aver utilizzato “fonti non aggiornate in quanto risalenti al 2017/2018”.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta la “Violazione del D.Lgs. 25 luglio 1988, n. 286, art. 5, comma 6 (rectius 1998), per non avere il Tribunale di Bologna esaminato compiutamente la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, omettendo di verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale ed internazionale a fornire protezione in capo a persone che fuggono da Paesi in cui vi siano sconvolgimenti tali da impedire una vita senza pericoli per la propria vita ed incolumità”; in particolare, il tribunale avrebbe dovuto “verificare se la prospettazione del quadro generale di violenza diffusa ed indiscriminata accertato dal giudice di primo grado fosse quantomeno idoneo, pur in mancanza del riconoscimento di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, ad integrare una situazione di vulnerabilità”, tenuto conto altresì che “il ricorrente attraverso il suo lavoro di volontariato e l’impegno nello studio della lingua italiana ha intrapreso un percorso concreto di integrazione nel nostro Paese”.

3. Tutti i motivi sono inammissibili.

3.1. Il primo, in particolare, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge mira ad una rivisitazione delle valutazioni di merito sulla credibilità del richiedente (cfr. Cass. Sez. U, 34476/2019), a fronte di una puntuale motivazione, a pag. 4, 5 e 6 del decreto impugnato, delle plurime ragioni di incoerenza intrinseca ed estrinseca del narrato, anche alla luce delle specifiche C.O.I. raccolte sui “conflitti tra herders e farmers”. Ebbene, per consolidato orientamento di questa Corte, l’inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente – se correttamente valutata, come nel caso di specie, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 (dai quali il ricorrente non indica nemmeno come il giudice a quo si sarebbe discostato) attiene al giudizio di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (ex plurimis, Cass. 6897/2020, 5114/2020, 33858/2019, 21142/2019).

3.2. Il secondo è del tutto generico, in quanto sostanzialmente circoscritto alla trasposizione di brani di altre pronunce giurisdizionali e di “fonti in tema” non meglio indicate né datate, apparentemente riferite ad attacchi terroristici di ***** nel settembre 2016 in Stati diversi da quello di provenienza del ricorrente (*****), a fronte delle plurime C.O.I. qualificate e aggiornate al 2018 che il tribunale ha puntualmente vagliato a pag. 6 e 7 del decreto.

3.3. Il terzo infine, oltre a fare riferimento a circostanze estranee alla causa (come l’accertamento “del quadro generale di violenza diffusa ed indiscriminata” da parte del “giudice di primo grado”) attiene al merito di una valutazione correttamente effettuata dal tribunale felsineo, tenuto conto dell’assenza di profili di vulnerabilità del ricorrente e della sua mancata integrazione in Italia, dove non risulta svolgere attività lavorativa (lo stesso ricorso fa in concreto riferimento, a pag. 8, solo al volontariato ed all’impegno nello studio della lingua italiana), sicché non viene nemmeno in rilievo un possibile profilo di violazione dell’art. 8 CEDU (cfr. Cass. Sez. U, 24413/2021).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non segue statuizione sulle spese, in difetto di difese del Ministero intimato.

5. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019; Cass. Sez. U, 4315/2020).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2022

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