LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7887-2015 proposto da:
FONDAZIONE ISTITUTO SAN RAFFAELE – G. GIGIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAPO PELORO n. 3, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI COSTANTINO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
ASSESSORATO DELLA FAMIGLIA, POLITICHE SOCIALI E LAVORO, ISPETTORATO PROVINCIALE DEL LAVORO, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1841/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 21/11/2014 R.G.N. 2223/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/10/2021 dal Consigliere Dott.ssa MAROTTA CATERINA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 1841/2014, decidendo sull’impugnazione proposta da A.B. e dalla Fondazione Istituto San Raffaele – G. Giglio (quali soggetti obbligati in solido della L. n. 689 del 1981, ex art. 6) nei confronti dell’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e Lavoro e dell’Ispettorato del Lavoro, confermava la pronuncia del Tribunale di Termini Imerese che aveva respinto l’opposizione proposta dall’ A. e dalla Fondazione avverso due ordinanze ingiunzione (la n. ***** e la n. *****) emesse dal Dirigente Responsabile dell’Ispettorato a carico dell’ A., legale rappresentante, e della Fondazione, in solido, per gli importi rispettivamente, di Euro 405.017,40 ed Euro 64.499,04;
riteneva la Corte territoriale: – che non si applicasse alla materia dell’illecito amministrativo il termine di trenta giorni per la conclusione del procedimento di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2; – che non fosse accoglibile l’eccezione di difetto di motivazione dell’atto; – che non potesse, nella specie, sussistere l’ipotesi di cui alla L. n. 68 del 1999, art. 3, comma 3 (prevedente l’obbligo per gli enti operanti nel terzo settore – “no profit” – di rispettare la quota di riserva esclusivamente con riferimento al personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative e solo in caso di nuova assunzione), rilevandosi dagli atti che la Fondazione in questione esercitava una attività imprenditoriale vera e propria costituita dallo scambio di beni e servizi in campo socio-sanitario, funzionale al raggiungimento di un profitto, sia pure realizzato in regime di convenzione con gli enti pubblici;
riteneva che non potesse attribuirsi alcuna rilevanza alla pattuizione intervenuta tra la Fondazione e la Regione Sicilia per l’assunzione di due unità lavorative appartenenti alla categoria dei disabili, asseritamente significativa di un affidamento della Fondazione nella correttezza del calcolo;
2. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la sola Fondazione Istituto San Raffaele – G. Giglio Paolo (dando atto, in sede di ricorso, dell’intervenuto decesso di A.B. in data 8 aprile 2014) sulla base di cinque motivi;
3. con ordinanza in data 11/3/2013 è stato disposto il rinnovo della notifica del ricorso per cassazione alle Amministrazioni intimate ai sensi dell’art. 291 c.p.c.;
4. l’Assessorato Regionale e l’Ispettorato Provinciale hanno resistito con controricorso;
5. la ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo parte ricorrente chiede dichiararsi l’estinzione della sanzione nei confronti di A.B., deceduto in data 8 aprile 2014 come da certificato che allega, e in subordine chiede che la sentenza sia cassata con rinvio alla Corte d’appello competente perché affermi tale estinzione sulla base del principio enunciato da questa Corte, tra le altre, nella sentenza n. 5717/2011;
2. con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 2 e della L. n. 689 del 1981, art. 18;
censura la sentenza impugnata per aver respinto tutte le eccezioni di carattere procedurale formulate con riferimento alla ritenuta applicabilità della L. n. 241 del 1990 (sia sotto l’aspetto del termine per emettere l’ordinanza ingiunzione sia sotto quello della motivazione);
3. con il terzo motivo parte ricorrente denuncia la violazione della L. n. 68 del 1999, art. 3, comma 3;
censura la sentenza impugnata per non aver considerato che ciò che è essenziale per la deroga di cui alla L. n. 68 del 1999, art. 3, comma 3, è che la struttura che usufruisce della deroga sia di fatto un soggetto “no profit”, che non persegue scopo di lucro;
evidenzia che il legislatore non richiede che il soggetto eserciti un’attività non imprenditoriale, ma solo che manchi lo scopo di lucro;
rileva che il D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10 indica tra i requisiti propri delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale lo svolgimento dell’attività di assistenza sanitaria;
4. con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 del c.c.n.l. relativo al personale non medico applicato dalla fondazione;
censura la sentenza impugnata deducendo la legittimità del calcolo delle quote di riserva anche alla luce del citato art. 11 c.c.n.l., comma 3 che dava applicazione alla deroga di cui all’art. 3, comma 3, individuando i profili professionali da prendere in considerazione ai fini del calcolo della quota di riserva;
5. con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1337 c.c.;
sostiene che l’accertamento dell’Ispettorato era successivo alla stipula della convenzione con la Regione che aveva ingenerato nella Fondazione l’affidamento sulla correttezza del calcolo;
6. è fondato il primo motivo, il che determina l’assorbimento degli altri;
6.1. si premetta che la Fondazione ricorrente ha depositato, unitamente al ricorso per cassazione, certificato che attesta che A.B., all’epoca dei fatti legale rappresentante della Fondazione, è deceduto in data 8 aprile 2014;
6.2. come già da tempo affermato da questa Corte (v. Cass. 30 ottobre 2018, n. 27650; Cass. 7 aprile 2016, n. 6737; Cass. 29 ottobre 2010, n. 22199), in tema di sanzioni amministrative, la morte dell’autore della violazione comporta l’estinzione dell’obbligazione di pagare la sanzione pecuniaria irrogata dall’Amministrazione, la quale, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 7, non si trasmette agli eredi, con conseguente cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione;
la dichiarazione di tale cessazione fa venir meno la pronuncia sull’opposizione che sia stata impugnata e determina l’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza ingiunzione con corrispondente eliminazione della sanzione applicata al responsabile in solido;
6.3. la vicenda della morte del trasgressore avvenuta prima del pagamento della sanzione è solo apparentemente simile – come affermato da Cass., Sez. un., 22 settembre 2017, n. 22082 – all’ipotesi di solidarietà ordinaria prevista all’interno del sistema dell’illecito amministrativo che, come evidenziato dal supremo consesso, non si limita ad assolvere una funzione di mera garanzia, ma persegue anche e soprattutto uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione, che la conseguenza che l’obbligazione del corresponsabile solidale possiede una propria indubbia autonomia e, non dipendendo da quella principale, non si estingue con questa (ciò in quanto la L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c., in modo del tutto coerente alla sua lettera, limita l’effetto estintivo alla sola obbligazione del soggetto nei cui confronti sia stata omessa la notificazione tempestiva e, dunque, lascia in vita il regresso nonostante l’estinzione dell’obbligazione del responsabile in via principale);
hanno infatti rimarcato le Sezioni unite che, nel nostro ordinamento, l’illecito amministrativo nasce e si struttura nella sua autonomia mediante successive leggi di depenalizzazione di omologhe fattispecie di reato;
la norma della L. n. 689 del 1981, art. 7, in base alla quale l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi, era presente tal quale nelle rispettive L. n. 317 del 1967, art. 4 e L. n. 706 del 1975, art. 4, e si coordina oggi con il principio della natura personale della responsabilità amministrativa (L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1), al pari e a somiglianza di quella penale (art. 27 Cost., comma 1);
ed è stata poi richiamata nei rispettivi del D.P.R. n. 454 del 1987, art. 23, comma 1, e D.P.R. n. 148 del 1988, artt. 23, comma 1, in materia valutaria;
tale principio è stato ritenuto applicabile a tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non sia prevista in sostituzione di una sanzione penale, precisandosi che lo stesso trova la propria ragione giustificativa nel carattere afflittivo di tali sanzioni che le riconduce all’ambito del diritto punitivo, accentuandone – quindi – la stretta inerenza alla persona del trasgressore (così Cass. 4 dicembre 1996, n. 10823; conformi, Cass. 13 agosto 1996, n. 7515 e Cass. 19 dicembre 1997, n. 12853);
dunque, la morte dell’autore della violazione determina, in base ad una libera e risalente scelta di politica legislativa, il venir meno in radice dell’interesse dello Stato ad accertare la responsabilità stessa e ad applicare il relativo trattamento sanzionatorio;
ciò che in tal caso si estingue è lo stesso illecito, al pari dell’estinzione del reato prevista dall’art. 150 c.p. nell’ipotesi di morte del reo prima della condanna;
di riflesso, viene meno l’intero apparato “plurisanzionatorio”, ormai privo della sua primigenia e fondativa giustificazione (il principio è stato ripreso dalla più recente Cass. 5 ottobre 2020, n. 21265);
6.4. del resto, il venir meno anche della responsabilità solidale nel caso di morte del trasgressore deriva ineluttabilmente dalla circostanza che, comunque, il regresso non potrebbe più essere esercitato;
ammetterne la conservazione verso gli eredi contraddirebbe l’esplicita esclusione dell’obbligazione di pagamento dal fenomeno successorio, non ipotizzabile a corrente alternata e a seconda della persona del creditore (e tenuto ulteriormente conto del fatto che il regresso riguarda l’aspetto privatistico della sequenza obbligatoria generata dalla commissione dell’illecito);
6.5. nei sopra citati precedenti (v. in particolare Cass. n. 21265/2020; Cass. n. 27650/2018; Cass. n. 6737/2016) è stato anche precisato che la dichiarazione di sopravvenuta inefficacia dell’ordinanza ingiunzione e della conseguente cessazione della materia del contendere può essere effettuata anche dalla Corte di cassazione, davanti alla quale la documentazione dell’avvenuto decesso può essere depositala ai sensi dell’art. 372 c.p.c.;
7. da tanto consegue che va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;
la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con l’annullamento delle ordinanze ingiunzione opposte per sopravvenuta inefficacia delle stesse;
8. la peculiarità della vicenda e l’essere la presente pronuncia determinata dalla morte del trasgressore giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo;
9. non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla le ordinanze ingiunzione opposte; compensa fra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, all’adunanza Camerale, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022
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