LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20995-2017 proposto da:
M.A.E., A.P., AM.AN., C.M., CA.SE., CL.RI., L.D., P.M.V., PR.PA., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO DE FEO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 934/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/03/2017 R.G.N. 7610/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/10/2021 dal Consigliere Dott.SSA MAROTTA CATERINA.
RILEVATO
che:
1. con ricorso al Tribunale di Roma i ricorrenti di cui in epigrafe, premesso di aver lavorato alle dipendenze di IPI e di essere poi transitati alle dipendenze del Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi del D.L. n. 78 del 2010 conv. in L. n. 112 del 2010, avevano lamentato che, pur prevedendo la disciplina del predetto passaggio la conservazione del trattamento retributivo in godimento in tutte le sue voci fisse continuative, il Ministero aveva solo riconosciuto (ai fini della determinazione dell’assegno ad personam) lo stipendio tabellare, i superminimi e gli scatti biennali di anzianità con esclusione dell’indennità di funzione (per i ricorrenti con qualifica di quadro), il premio di produttività, la quota di previdenza complementare a carico del datore di lavoro (ex IPI), il premio annuale Asfalisis, il premio di polizza per il caso di morte ed il premio di polizza per infortuni professionali ed extraprofessionali; inoltre il Ministero non aveva riconosciuto l’anzianità di servizio presso l’IPI ai fini retributivi;
avevano, perciò, chiesto la condanna del MISE al pagamento delle differenze retributive;
2. il Tribunale aveva rigettato le domande;
3. la decisione era stata confermata dalla Corte d’appello di Roma;
riteneva la Corte territoriale che la possibilità di una disciplina speciale era prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31;
rilevava che tale disciplina speciale era contenuta nel D.L. n. 78 del 2010, art. 7, comma 20, che limitava il mantenimento del trattamento economico e fondamentale alle voci fisse e continuative;
riteneva che tale interpretazione era coerente con il t.U. n. 3 del 1957, art. 202 e della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 576 come interpretato dall’art. 1, comma 226/2005 e richiamava Cass. n. 5959/2012;
analizzava le singole voci richieste dai ricorrenti;
in particolare, quanto al premio di produttività, esso dipendeva da valutazioni discrezionali e dai risultati conseguiti, sicché non si trattava di una voce fissa e continuativa;
quanto all’indennità di funzione (richiesta dai soli ricorrenti con la qualifica di quadro), si trattava di una indennità corrisposta per incarichi specifici e sempre revocabile, di guisa che anch’essa non costituiva una voce fissa del trattamento retributivo;
quanto ai buoni pasto, richiamava la natura assistenziale degli stessi collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale;
quanto ai fondi di previdenza previgenti, richiamava la decisione di questa Corte a Sezioni Unite n. 4684/2015 sulla natura previdenziale degli stessi;
quanto al premio annuale Asfalisis, al premio di polizza per il caso di morte ed al premio di polizza per infortuni professionali ed extraprofessionali, si trattava di fringe benefits riconosciuti ai soli dipendenti IPI ed estranei al normale trattamento dei dipendenti del comparto Ministeri e ne escludeva ogni natura retributiva (richiamando il TUIRn. 917 del 1986, art. 51, comma 2, secondo cui tali forme contributive non concorrono a formare reddito), così come negava che fossero fonte di stabile e duraturo sostentamento per i bisogni usuali della vita;
quanto, infine, all’anzianità di servizio maturata presso l’IPI, essa era menzionata solo nelle conclusioni del ricorso, ma non era suffragata da alcuna allegazione in fatto ed in diritto;
in ogni caso affermava che nelle ipotesi di passaggio di personale fra amministrazioni, in ossequio al principio della ‘temporizzazioné rilevava l’anzianità complessiva nei limiti derivanti dalla disciplina vigente presso il nuovo datore di lavoro, senza ricostruzioni di carriera;
constatava che né nel ricorso ex art. 414 c.p.c. né nel ricorso in appello era stato allegato un globale peggioramento retributivo o normativo rispetto alla situazione anteriore al trasferimento;
4. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i dipendenti con sei motivi;
5. il Ministero dello Sviluppo Economico ha resistito con controricorso;
6. i ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 7, comma 20 conv. in L. n. 112 del 2010, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31, dell’art. 2112 c.c., violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 200 e 202, della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 576 e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 226, del D.L. n. 98 del 2011, art. 14, comma 15;
censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto irrilevante l’inquadramento o meno della vicenda oggetto del presente giudizio all’interno del fenomeno giuridico del passaggio del personale da un ente pubblico o privato verso una p.a., atteso che al fine di valutare la natura fissa e continuativa delle voci da computare nell’assegno ad personam sarebbe stata necessaria l’applicazione dei soli principi di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 7;
sostengono, invece, che la corretta qualificazione della fattispecie assumeva fondamentale rilevanza;
assumono che la disamina delle questioni poste non poteva prescindere dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31, dall’art. 2112 c.c. in esso richiamato e dall’obbligo per il cessionario di applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi vigenti alla data del trasferimento, che vengono sostituiti da altri applicabili all’impresa del cessionario;
assumono la necessaria elasticità dei concetti di fissità e continuatività con riferimento alle voci di trattamento economico spettanti ai lavoratori successivamente al passaggio nei ruoli del MISE;
2. con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 7, comma 20 conv. in L. n. 112 del 2010, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31, dell’art. 2112 c.c., violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 200 e 202, della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 576 e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 226, del D.L. n. 98 del 2011, art. 14, comma 15, dell’art. 48 del contratto collettivo aziendale per il personale dipendente dell’IPI, dell’accordo del 15 dicembre 2005;
criticano la sentenza impugnata per aver escluso il premio di produttività e sostengono che lo stesso è calcolato, per i quadri, inizialmente sulla sola base del raggiungimento degli obiettivi e poi, pro quota, sulla base delle presenze, della valutazione da parte del responsabile e sul raggiungimento degli obiettivi individuali assegnati annualmente;
sostengono che lo stesso debba essere ricompreso all’interno delle voci fisse e continuative in quanto, almeno dal dicembre del 2005, non costituiva più un elemento meramente occasionale;
3. con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 7, comma 20 conv. in L. n. 112 del 2010, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31, dell’art. 2112 c.c., violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 200 e 202, della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 576 e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 226, del D.L. n. 98 del 2011, art. 14, comma 15; degli artt. 18 e 46 del contratto collettivo aziendale per il personale dipendente dell’IPI, degli accordi del 26 agosto 2002;
assumono che anche l’indennità di funzione si sarebbe dovuta considerare quale componente fissa in quanto corrisposta in maniera continuativa e non indicata dalla contrattazione aziendale come temporanea;
4. con il quarto i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 7, comma 20 conv. in L. n. 112 del 2010, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31, dell’art. 2112 c.c., violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 200 e 202, della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 576 e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 226, del D.L. n. 98 del 2011, art. 14, comma 15, dell’art. 50 del contratto collettivo aziendale per il personale dipendente dell’IPI;
sostengo che la Corte territoriale avrebbe del tutto travisato le previsioni della contrattazione aziendale e non considerato che gli importi relativi alla previdenza complementare erano a carico, pro quota, tanto del datore di lavoro quanto del lavoratore, e che quelli di cui era onerato l’IPI erano entrati a tutti gli effetti all’interno del trattamento economico degli istanti, non assolvendo, perciò, ad una funzione assistenziale;
5. con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 7, comma 20 conv. in L. n. 112 del 2010, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31, dell’art. 2112 c.c., violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 200 e 202, della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 576 e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 226, del D.L. n. 98 del 2011, art. 14, comma 15, dell’art. 50 del contratto collettivo aziendale per il personale dipendente dell’IPI;
sostengono che le voci relative al premio annuale Asfalisis, al premio di polizza per il caso di morte e al premio di polizza per infortuni professionali ed extraprofessionali erano già previste in sede di contratti individuali e ciò consentiva di qualificarle come forme di retribuzione indiretta ed accessoria, con conseguente loro inclusione nella determinazione dell’assegno ad personam;
quanto all’indennità sostitutiva di mensa, ne evidenziano il carattere di fissità e continuità;
6. con il sesto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 7, comma 20 conv. in L. n. 112 del 2010, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31, dell’art. 2112 c.c., violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 200 e 202, della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 576 e della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 226, del D.L. n. 98 del 2011, art. 14, comma 15;
censurano la sentenza impugnata quanto al mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio ed evidenziano che, trattandosi di un trasferimento ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31 che richiama espressamente l’art. 2112 c.c., non poteva che conseguirne la conservazione di tutti i pregressi diritti;
7. il ricorso, in tutti i motivi in cui è articolato, è infondato e deve essere rigettato con parziale correzione della motivazione della sentenza impugnata ex art. 384 c.p.c., comma 4, in punto di applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 202;
7.1. pacifico è che nella specie con il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 7, comma 20, convertito, con modificazioni, in L. 30 luglio 2010, n. 122 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, è stata disposta la soppressione degli enti di cui all’allegato 2 al medesimo D.L. e che i compiti e le attribuzioni esercitati sono stati trasferiti alle amministrazioni corrispondentemente indicate, con transito del personale a tempo indeterminato in servizio presso i predetti enti al momento della soppressione alle amministrazioni e agli enti rispettivamente individuati ai sensi del medesimo allegato; in attuazione di detta norma è stato, quindi, adottato il decreto interministeriale (da parte del Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e con il Dipartimento per la pubblica amministrazione e l’innovazione) dell’11. febbraio 2011 (in GU Serie Generale n. 83 dell’11 aprile 2011) recante la Tabella di corrisponde ai fini dell’inquadramento del personale a tempo indeterminato proveniente dall’Istituto per la promozione industriale e trasferito al Ministero dello sviluppo economico;
7.2. è di tutta evidenza che, all’atto della soppressione, l’IPI era già un ente pubblico (inimmaginabile essendo che il legislatore abbia inteso, con il medesimo atto normativo, costituire un ente pubblico e contestualmente sopprimerlo);
tanto si evince chiaramente dall’espressa previsione di cui al citato comma 20 dell’art. 7, secondo cui “gli stanziamenti finanziari a carico del bilancio dello Stato previsti, alla data di entrata in vigore del presente provvedimento, per le esigenze di funzionamento dei predetti enti pubblici confluiscono nello stato di previsione della spesa o nei bilanci delle amministrazioni alle quali sono trasferiti i relativi compiti ed attribuzioni, insieme alle eventuali contribuzioni a carico degli utenti dei servizi per le attività rese dai medesimi enti pubblici” (si vedano per una ricostruzione della natura giuridica dell’IPI Cass. nn. 28624, 28409 e 28060 del 2020);
ed allora la fattispecie de qua va certamente ricollegata al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31;
7.3. non è pertinente il richiamo al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 202 (per il quale: “Nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica”; innovato dalla L. n. 537 del 1993, art. 3 secondo cui: “Nei casi di passaggio di carriera di cui al citato testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 202, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione”);
tale norma, infatti, disciplina i passaggi di carriera presso la stessa amministrazione statale o anche diversa amministrazione, purché statale, e non è espressione di un principio generale applicabile indistintamente a tutti i dipendenti pubblici (v. Cass. 20 luglio 2018, n. 19437);
7.4. in ipotesi di passaggio diretto, salva l’esistenza di regole diverse, il trattamento economico e normativo applicabile e’, per principio generale, quello in atto presso il nuovo datore di lavoro, conformemente alla regola generale di cui all’art. 2112 c.c.;
in tali termini si esprime, infatti il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31: “Fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l’art. 2112 c.c. e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui alla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, commi da 1 a 4” (v. anche Cass. 30 settembre 2020, n. 20918; Cass. 22 maggio 2020, n. 9477);
la suddetta norma, facendo salve le discipline speciali, si coordina coerentemente con la regolamentazione specifica fornita, per il caso in esame, dal D.L. n. 78 del 2010, art. 7;
7.5. questa Corte ha affermato (v. Cass. 5 novembre 2008, n. 26557 e Cass. 13 settembre 2006, n. 19564) che, in linea generale, il passaggio da uno ad altro datore di lavoro comporta sempre l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, ancorché sia conservata l’anzianità pregressa per la ragione che non si è presenza di una nuova assunzione; ne discende che, salva l’esistenza di regole diverse, il trattamento economico e normativo applicabile e’, per principio generale, quello in atto presso il nuovo datore di lavoro, conformemente alla regola generale di cui all’art. 2112 c.c.;
per i dipendenti pubblici, del resto, la regola è confermata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, il quale, nel testo attuale (come modificato dalla L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 16, comma 1, con efficacia indubbiamente ricognitiva e chiarificatrice del testo precedente), riconduce il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse alla fattispecie della “cessione del contratto” (art. 1406 c.c.), così abbandonando definitivamente, per il lavoro pubblico contrattuale, la prospettiva del “passaggio di carriera”, ed enuncia esplicitamente il principio dell’applicazione del trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto dell’amministrazione cessionaria;
7.6. la “regola diversa” richiamata nei precedenti citati è proprio quella dettata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 7 che, al comma 20, prevede che: “I dipendenti trasferiti mantengono il trattamento economico fondamentale e accessorio, limitatamente alle voci fisse e continuative, corrisposto al momento dell’inquadramento. Nel caso in cui risulti più elevato rispetto a quello previsto per il personale dell’amministrazione di destinazione, percepiscono per la differenza un assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti. Dall’attuazione delle predette disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”;
l’indicata norma richiama una distinzione tipica dell’impiego pubblico contrattualizzato (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45) nel cui ambito il trattamento fondamentale è quello diretto a retribuire la prestazione “base” del dipendente, ossia la prestazione corrispondente all’orario ordinario di lavoro e alla professionalità media della qualifica rivestita, mentre quello accessorio si pone in nesso di corrispettività con la performance individuale, con quella organizzativa e con lo svolgimento di attività “particolarmente disagiate, ovvero pericolose o dannose per la salute” (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 3, nel testo applicabile ratione temporis);
la distinzione fra le componenti non riposa sui requisiti di fissità e continuità in quanto gli stessi, connaturati al trattamento fondamentale, possono ricorrere anche per quelle voci del trattamento accessorio che siano correlate non al conseguimento di specifici obiettivi, bensì al profilo professionale o alle peculiarità dell’amministrazione di appartenenza;
ne discende che in tutte quelle fattispecie nelle quali venga in rilievo il principio della irriducibilità della retribuzione non è sufficiente per escludere l’operatività della garanzia che l’emolumento esuli dal trattamento fondamentale, essendo, invece, necessario accertare se la voce retributiva, per il dipendente che invochi il divieto di reformatio in peius, sia certa nell’an e nel quantum;
7.7. il trattamento economico acquisito dal lavoratore deve, dunque, essere determinato con il computo di tutti i compensi fissi e continuativi spettanti al prestatore di lavoro, sulla base della contrattazione collettiva, quale corrispettivo delle mansioni svolte ed attinenti, logicamente, alla professionalità tipica della qualifica rivestita;
8. non si è discostata dagli indicati principi la Corte territoriale che con riferimento alle voci indennità di funzione (per i ricorrenti con qualifica di quadro) e premio di produttività ha escluso le caratteristiche della fissità, valorizzando, quanto alla prima, la dipendenza da valutazioni discrezionali e dai risultati conseguiti e, quanto alla seconda, l’espressa revocabilità prevista dalla contrattazione collettiva, con ciò escludendo che si tratti di voce fissa su cui il dipendente possa fare affidamento;
8.1. né la suddetta valutazione è idoneamente contrastata dai ricorrenti che denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione di un contratto collettivo aziendale rispetto al quale, come è noto, il sindacato di legittimità può essere esercitato soltanto con riguardo ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nei limiti ora previsti dalle modifiche di cui D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella L. n. 134 del 2012), ovvero ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione delle norme di cui agli artt. 1362 e s.s. c.c., a condizione, per detta ipotesi, che i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella del provvedimento gravato, ma prospettino, sotto molteplici profili, l’inadeguatezza della motivazione anche con riferimento alle norme del codice civile di ermeneutica negoziale come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e congruità della motivazione stessa;
8.2. quanto ai buoni pasto, va rammentato che nell’impiego pubblico contrattualizzato l’attribuzione del buono pasto ha carattere assistenziale, è legata ad una particolare articolazione dell’orario di lavoro e non riguarda né la durata né la retribuzione del lavoro (cfr. Cass. 31 marzo 2021, n. 8968; Cass. 28 novembre 2019, n. 31137);
8.3. quanto alla quota di previdenza complementare a carico del datore di lavoro (ex IPI), al premio annuale Asfalisis, al premio di polizza per il caso di morte ed al premio di polizza per infortuni professionali ed extraprofessionali, i ricorrenti contrappongono a quella previdenziale riconosciuta dalla Corte territoriale una natura diversa sulla base di una mera propria differente lettura della contrattazione aziendale;
8.4. infine, va ricordato che l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo ove ad essa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporti un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito (Cass. n. 18220/2015; Cass. n. 25021/2014; Cass. n. 22745/2011; Cass. n. 10933/2011; Cass., S.U., n. 22800/2010; Cass. n. 17081/2007);
l’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Cass., S.U., n. 22800/2010 e Cass. n. 25021/2014), né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative (cfr. fra le più recenti, Cass. n. 4389/2020 e quanto agli scatti di anzianità Cass. n. 32070/2019);
corollario di detto principio è quello, egualmente consolidato da tempo nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in caso di passaggio di personale conseguente al trasferimento di attività concorrono a formare la base di calcolo ai fini della quantificazione dell’assegno personale le voci retributive corrisposte in misura fissa e continuativa, non già gli emolumenti variabili o provvisori sui quali, per il loro carattere di precarietà e di accidentalità, il dipendente non può riporre affidamento, o perché connessi a particolari situazioni di lavoro o in quanto derivanti dal raggiungimento di specifici obiettivi e condizionati, nell’ammontare, da stanziamenti per i quali è richiesto il previo giudizio di compatibilità con le esigenze finanziarie dell’amministrazione (cfr. fra le tante Cass. n. 31148/2018; Cass. n. 18196/2017; Cass. n. 3865/2012);
9. la Corte territoriale non si è discostata dagli indicati principi;
10. il ricorso, in via conclusiva, deve essere rigettato e alla soccombenza segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
11. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022