LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19199-2016 proposto da:
R.L., P.A., domiciliate in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato ANGELO LATINO;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrente –
e contro
LICEO SCIENTIFICO “*****” DI COMO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 55/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/02/2016 R.G.N. 485/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/10/2021 dal Consigliere Dott.ssa MAROTTA CATERINA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Milano, giudice del rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 8175/2013, ha riformato le decisioni con le quali il Tribunale di Milano (n. 1320/2005) e il Tribunale di Como (n. 18/2005) avevano accolto i ricorsi proposti, tra l’altro, da R.L. e P.A., entrambe appartenenti al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola (ATA), e dichiarato il diritto delle stesse della L. n. 124 del 1999, ex art. 8, comma 2, al riconoscimento a fini giuridici ed economici dell’intera anzianità di servizio maturata presso l’ente locale di provenienza, condannando, di conseguenza, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca alla ricostruzione della carriera ed al pagamento delle differenze retributive con decorrenza dal gennaio 2000;
2. la Corte territoriale, riassunti i fatti di causa, ha premesso che la sentenza rescindente, con la quale era stata cassata la sentenza n. 573/2008 della stessa Corte d’appello di Milano che aveva rigettato le domande, aveva demandato al giudice del rinvio di accertare se al momento del passaggio dall’ente locale allo Stato si fosse verificata una riduzione sostanziale del trattamento retributivo ed aveva precisato che il confronto doveva essere globale, cioè non limitato ad uno specifico istituto, e che non potevano assumere rilievo eventuali disparità di trattamento con i lavoratori già in servizio presso il cessionario;
3. la Corte milanese ha evidenziato che nel ricorso in riassunzione le ricorrenti si erano limitate a reiterare le domande di cui al ricorso di primo grado e ad invocare nuovamente il proprio diritto ad ottenere il riconoscimento giuridico ed economico della propria anzianità maturata presso l’Ente locale di provenienza ed il pagamento delle differenze retributive senza tuttavia dedurre di aver subito in conseguenza del trasferimento un complessivo peggioramento del proprio trattamento retributivo, riconducibile al mancato riconoscimento dell’anzianità pregressa;
ha sottolineato il carattere c.d. chiuso del giudizio di rinvio limitatamente ai fatti già allegati dalle parti o comunque acquisiti ritualmente al processo;
ha escluso la possibilità di nuovi accertamenti e l’espletamento di una consulenza tecnica a fronte della mancata allegazione degli elementi concreti sulla base dei quali operare un confronto retributivo;
6. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso R.L. e P.A. sulla base di due motivi, ai quali il MIUR ha opposto difese con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo le ricorrenti denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 384 c.p.c. e della direttiva 77/187 ed addebitano alla Corte territoriale di non aver ottemperato alle statuizioni stabilite dalla sentenza di questa Corte n. 8175/2013 in ordine alla valutazione della sussistenza di un peggioramento retributivo “sostanziale” e “globale” e, in particolare, di essersi sottratta al “duplice dictum” della sentenza rescindente, con la quale era stato demandato al giudice del rinvio di accertare se la L. n. 266 del 2005 fosse stata applicata in modo da salvaguardare il trattamento economico complessivo maturato nel 1999 ed era stato precisato anche che, in caso di violazione del divieto di reformatio in peius, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare, ai fini dell’inquadramento, la L. n. 124 del 1999, art. 8;
assumono che la verifica del “peggioramento retributivo” deve essere sostanziale e che il confronto tra le condizioni deve essere “globale”, quindi non limitato ad uno specifico istituto (economico), occorrendo considerare trattamenti più favorevoli sotto altri profili, come ad esempio l’orario di lavoro, nonché eventuali effetti negativi sul trattamento di fine rapporto (che è retribuzione differita) e sulla posizione previdenziale;
rilevano anche la violazione del diritto comunitario (direttiva n. 77/187) come interpretato dalla Corte di Giustizia;
evidenziano che la sentenza della Corte di Giustizia era intervenuta quando già la causa era pendente e che, pertanto, il giudice avrebbe dovuto anche d’ufficio accertare se ci fosse stato un peggioramento retributivo non consentito dalla direttiva;
2. con il secondo motivo le ricorrenti denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 384 c.p.c. e della direttiva 77/187 ed addebitano alla Corte territoriale di non aver ottemperato alle statuizioni stabilite dalla sentenza di questa Corte n. 8175/2013 in ordine alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice (c.t.u. contabile);
richiamano le pronunce di questa Corte (Cass. n. 6627, 7620 e 14145 del 2015) sulle deroghe al principio secondo il quale il giudizio di rinvio è un giudizio a carattere ‘chiusò;
precisano che l’accertamento doveva essere effettuato in quanto alla data di proposizione degli originari ricorsi era vigente il solo della L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2, e la legge di interpretazione autentica era intervenuta in corso di causa, al pari della sentenza della Corte di Giustizia, con la quale la compatibilità della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, con la direttiva 77/187 CE era stata affermata a condizione che venisse salvaguardato il trattamento economico in precedenza goduto;
assumono che, nella specie, sulla base del fatto che le ricorrenti avevano individuato il danno in “differenze retributive”, tale danno doveva ricomprendere anche la retribuzione differita del t.f.s. e, dunque, andava solo operata una consulenza per capire l’esatto importo (o comunque la misura) della ridotta retribuzione;
3. il ricorso deve essere rigettato per le medesime ragioni evidenziate con le recenti ordinanze nn. 14892, 22996 e 23382 del 2020, pronunciate in fattispecie analoghe a quella oggetto di causa, ed alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c.;
4. nel caso di specie questa Corte, con la sentenza n. 8175/2013, non ha affatto demandato al giudice del rinvio di verificare se l’inquadramento disposto dal MIUR in base all’accordo sindacale del 20 luglio 2000 fosse o meno conforme alla sopravvenuta L. n. 266/2005, art. 1, comma 218, né ha affermato che, in caso di accertata reformatio in peius, dovesse essere integralmente riconosciuta l’anzianità posseduta, perché ha chiesto solo al giudice del merito di “verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento” ed i criteri fissati ai fini della comparazione sono solo quelli indicati al punto 13 della pronuncia, ove si precisa che il confronto deve essere globale, riferito al momento del passaggio, e che non rilevano eventuali disparità di trattamento con i dipendenti già in servizio presso il cessionario;
5. la sentenza rescindente non ha posto alcun altro limite all’esame demandato al giudice del rinvio e, in particolare, non ha indicato quali fossero le componenti del trattamento economico fondamentale e accessorio da apprezzare ai fini della comparazione “globale”;
6. ciò detto, osserva il Collegio che la Corte territoriale ha evidenziato che le ricorrenti, in sede di riassunzione, non avevano dedotto di avere subito, in conseguenza del trasferimento, un complessivo peggioramento del proprio trattamento retributivo, riconducibile al mancato riconoscimento dell’anzianità pregressa;
7. quindi le allegazioni sulle quali le ricorrenti fanno leva per sostenere la tesi del peggioramento retributivo sostanziale non sono idonee allo scopo, e ciò a prescindere dalla loro verifica in fatto;
8. un peggioramento “sostanziale”, impedito dalla tutela che la direttiva Eurounitaria riconosce ai lavoratori coinvolti nel trasferimento d’impresa, è ravvisabile solo ove, all’esito della comparazione globale, emerga una diminuzione “certa” del compenso che sarebbe stato corrisposto qualora il rapporto fosse proseguito con il cedente nelle medesime condizioni lavorative, sicché non possono essere apprezzati gli importi che, seppur occasionalmente versati prima del passaggio, non costituivano il “normale” corrispettivo della prestazione, perché, essendo legati a variabili inerenti alle modalità qualitative e quantitative di quest’ultima, non erano entrati nel patrimonio del lavoratore, che sugli stessi non avrebbe potuto fare sicuro affidamento neppure qualora la vicenda modificativa non fosse stata realizzata;
9. il principio di irriducibilità della retribuzione, che questa Corte ha precisato nei termini sopra indicati (cfr. fra le tante Cass. n. 29247/2017; Cass. n. 4317/2012; Cass. n. 20310/2008), non si atteggia diversamente nei casi di modificazione soggettiva del rapporto perché, se la direttiva 77/187 “non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento di impresa” (punto 77 sentenza Scattolon), non possono essere opposti al cessionario limiti ulteriori rispetto a quelli che valevano, prima della cessione, per il datore di lavoro cedente;
10. d’altra parte l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo ove ad essa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporti un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito (Cass. n. 18220/2015; Cass. n. 25021/2014; Cass. n. 22745/2011; Cass. n. 10933/2011; Cass., S.U., n. 22800/2010; Cass. n. 17081/2007);
11. l’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere da quest’ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Cass., S.U., n. 22800/2010 e Cass. n. 25021/2014), né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative (cfr. fra le più recenti Cass. n. 4389/2020 e quanto agli scatti di anzianità Cass. n. 32070/2019);
12. corollario di detto principio è quello, egualmente consolidato da tempo nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in caso di passaggio di personale conseguente al trasferimento di attività concorrono a formare la base di calcolo ai fini della quantificazione dell’assegno personale le voci retributive corrisposte in misura fissa e continuativa, non già gli emolumenti variabili o provvisori sui quali, per il loro carattere di precarietà e di accidentalità, il dipendente non può riporre affidamento, o perché connessi a particolari situazioni di lavoro o in quanto derivanti dal raggiungimento di specifici obiettivi e condizionati, nell’ammontare, da stanziamenti per i quali è richiesto il previo giudizio di compatibilità con le esigenze finanziarie dell’amministrazione (cfr. fra le tante Cass. n. 31148/2018; Cass. n. 18196/2017; Cass. n. 3865/2012);
13. le ricorrenti, per sostenere la tesi di un peggioramento sostanziale, verificatosi nonostante il riconoscimento dell’assegno personale, fanno leva sugli effetti negativi sul trattamento di fine rapporto e sulla posizione previdenziale;
si tratta tuttavia di affermazioni del tutto generiche e neppure confortate dal benché minimo riferimento ai termini con i quali la questione sia stata prospettata ai giudici del merito;
sotto questo profilo una c.t.u., ancorché ammissibile nel giudizio di rinvio, sarebbe stata meramente esplorativa non potendo il suddetto mezzo essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ovvero per supplire a carenze di allegazione o prova (Cass. ex multis Cass. n. 30218/2017; Cass. n. 10373/2019);
14. il ricorso, in via conclusiva, deve essere rigettato ed alla soccombenza segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
15. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in favore del MIUR, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma-1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022