LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20001-2016 proposto da:
S.G., A.G., D.M.M.C., D.D.M.G., F.V., G.G., L.E., L.I., P.D., tutti domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANGELO LATINO;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, ISTITUTO TECNICO COMMERCIALE STATALE *****, ISTITUTO STATALE POLIFUNZIONALE A. SANT’ELIA DI CANTU’, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso il cui Ufficio domiciliano in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 125/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 29/02/2016 R.G.N. 375/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/10/2021 dal Consigliere Dott.ssa MAROTTA CATERINA.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Milano, giudice del rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 6133/2013, ha riformato le decisioni con le quali il Tribunale di Milano (nn. 1248/2005, 21072004, 3943/2004) e il Tribunale di Como (nn. 387/2005, 183/2004, 384/2005) avevano accolto i ricorsi proposti, tra l’altro, da S.G., P.D., F.V., D.D.M.G., A.G., L.I., L.E., D.M.M.C., G.G., tutti appartenenti al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola (ATA), e dichiarato il diritto degli stessi della L. n. 124 del 1999, ex art. 8, comma 2, al riconoscimento a fini giuridici ed economici dell’intera anzianità di servizio maturata presso l’ente locale di provenienza, condannando, di conseguenza, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca alla ricostruzione della carriera e al pagamento delle differenze retributive con decorrenza dal gennaio 2000;
2. la Corte territoriale, riassunti i fatti di causa, ha premesso che la sentenza rescindente, con la quale era stata cassata la sentenza n. 467/2008 della stessa Corte d’appello di Milano che aveva rigettato le domande, aveva demandato al giudice del rinvio di accertare se al momento del passaggio dall’ente locale allo Stato si fosse verificata una riduzione sostanziale del trattamento retributivo ed aveva precisato che il confronto doveva essere globale, cioè non limitato ad uno specifico istituto, e che non potevano assumere rilievo eventuali disparità di trattamento con i lavoratori già in servizio presso il cessionario;
ha evidenziato che nel ricorso in riassunzione il peggioramento retributivo era stato ancorato solo alla mancata conservazione del premio incentivante, del quale l’amministrazione non aveva tenuto conto nell’effettuare la temporizzazione, ed ha innanzitutto rilevato la novità dell’allegazione e, quindi, la sua inammissibilità in ragione del carattere, cosiddetto chiuso, del giudizio di rinvio;
ha aggiunto che la mancata inclusione nell’assegno ad personam di voci retributive può essere apprezzata, nell’indagine volta ad accertare un eventuale peggioramento retributivo, solo qualora venga in rilievo un emolumento, corrisposto in via continuativa ed in connessione all’organizzazione del lavoro e alla esecuzione della prestazione che siano rimaste immutate nel passaggio dall’ente locale allo Stato;
i ricorrenti si erano limitati a fare leva sulla mancata inclusione del premio incentivante nella retribuzione percepita dopo il trasferimento senza identificare il dato relazionale tra quanto concretamente corrisposto, nei due differenti momenti, dalle diverse amministrazioni;
tanto precludeva la possibilità di esercitare i poteri istruttori d’ufficio, e così di effettuare nuovi accertamenti ovvero espletare una consulenza tecnica stante, peraltro, il carattere c.d. chiuso del giudizio di rinvio limitatamente ai fatti già allegati dalle parti o comunque acquisiti ritualmente al processo;
6. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i lavoratori indicati in epigrafe sulla base di due motivi, ai quali il MIUR ha opposto difese con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 384 c.p.c. e della direttiva 77/187 e addebitano alla Corte territoriale di non aver ottemperato alle statuizioni stabilite dalla sentenza di questa Corte n. 8175/2013 in ordine alla valutazione della sussistenza di un peggioramento retributivo ‘sostanziale’ e ‘globale’; lamentano, in particolare, che il giudice di rinvio si sarebbe sottratto al “duplice dictum” della sentenza rescindente, che gli aveva demandato di accertare se la L. n. 266 del 2005 fosse stata applicata in modo da salvaguardare il trattamento economico complessivo maturato nel 1999; sostiene infine che, in caso di violazione del divieto di reformatio in peius, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare, ai fini dell’inquadramento, la L. n. 124 del 1999, art. 8;
assumono che la verifica del ‘peggioramento retributivò deve essere sostanziale e che il confronto tra le condizioni deve essere “globale”, quindi non limitato ad uno specifico istituto (economico) occorrendo considerare trattamenti più favorevoli sotto altri profili, come ad esempio l’orario di lavoro, nonché eventuali effetti negativi sul trattamento di fine rapporto (che è retribuzione differita) e sulla posizione previdenziale;
lamentano altresì una violazione del diritto comunitario (direttiva n. 77/187) come interpretato dalla Corte di Giustizia;
evidenziano che la sentenza della Corte di Giustizia era intervenuta quando già la causa era pendente, sicché il giudice di rinvio avrebbe dovuto anche d’ufficio accertare un eventuale peggioramento retributivo non consentito dalla direttiva;
2. con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 384 c.p.c., della direttiva 77/187 ed addebitano alla Corte territoriale di non aver ottemperato alle statuizioni stabilite dalla sentenza di questa Corte n. 8175/2013 in ordine alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice (c.t.u. contabile);
richiamano le pronunce di questa Corte (Cass. n. 6627, 7620 e 14145 del 2015) sulle deroghe al principio secondo il quale il giudizio di rinvio è un giudizio a carattere “chiuso”;
precisano che l’accertamento doveva essere effettuato in quanto alla data di proposizione degli originari ricorsi era vigente il solo della L. n. 124 del 1999, art. 8, comma 2, e la legge di interpretazione autentica era intervenuta in corso di causa, al pari della sentenza della Corte di Giustizia, con la quale la compatibilità della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, con la direttiva 77/187 CE era stata affermata a condizione che venisse salvaguardato il trattamento economico in precedenza goduto;
assumono che, nella specie, sulla base del fatto che le ricorrenti avevano individuato il danno in “differenze retributive” tale danno doveva ricomprendere anche la retribuzione differita del t.f.s. e, dunque, andava solo operata una consulenza per capire l’esatto importo (o comunque la misura) della ridotta retribuzione;
3. il ricorso deve essere rigettato, con parziale correzione della motivazione della sentenza impugnata ex art. 384 c.p.c., comma 4, per le medesime ragioni evidenziate con le recenti ordinanze nn. 14892, 22996 e 23382 del 2020, pronunciate in fattispecie analoghe a quella oggetto di causa, ed alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c.;
4. nel caso di specie questa Corte, con la sentenza n. 6133/2013, non ha affatto demandato al giudice del rinvio di verificare se l’inquadramento disposto dal MIUR in base all’accordo sindacale del 20 luglio 2000 fosse o meno conforme alla sopravvenuta L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, né ha affermato che, in caso di accertata reformatio in peius, doveva essere integralmente riconosciuta l’anzianità posseduta, perché ha chiesto solo al giudice del merito di “verificare la sussistenza o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento” ed i criteri fissati ai fini della comparazione sono solo quelli indicati al punto 13 della pronuncia, ove si precisa che il confronto deve essere globale, riferito al momento del passaggio, e che non rilevano eventuali disparità di trattamento con i dipendenti già in servizio presso il cessionario;
5. la sentenza rescindente non ha posto alcun altro limite all’esame demandato al giudice del rinvio e, in particolare, non ha indicato quali fossero le componenti del trattamento economico fondamentale e accessorio da apprezzare ai fini della comparazione “globale”;
6. ciò detto, osserva il Collegio che la Corte territoriale ha indubbiamente errato nel ritenere la novità delle allegazioni del ricorso in riassunzione, perché il principio del carattere chiuso del giudizio di rinvio non può operare nei casi in cui le nuove attività assertive e probatorie siano rese necessarie dalla sopravvenienza, in corso di causa, di una nuova disciplina di legge applicabile anche ai giudizi in corso, di una pronuncia di illegittimità costituzionale, ed in genere di ius superveniens, del quale la sentenza rescindente abbia fatto applicazione (Cass. n. 14892/2020 che richiama Cass. n. 34209/2019, Cass. n. 10845/2017, Cass. n. 13458/2016, Cass. n. 422/2014);
7. tuttavia l’errore commesso dalla Corte territoriale non giustifica la cassazione della pronuncia ed un nuovo giudizio di rinvio, perché le allegazioni sulle quali i ricorrenti fanno leva per sostenere la tesi del peggioramento retributivo sostanziale non sono idonee allo scopo, e ciò a prescindere dalla loro verifica in fatto (il che assorbe ogni questione sulla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice);
7.1. un peggioramento “sostanziale”, impedito dalla tutela che la direttiva Eurounitaria riconosce ai lavoratori coinvolti nel trasferimento d’impresa, è ravvisabile solo qualora, all’esito della comparazione globale, emerga una diminuzione “certa” del compenso che sarebbe stato corrisposto qualora il rapporto fosse proseguito con il cedente nelle medesime condizioni lavorative, sicché non possono essere apprezzati gli importi che, seppur occasionalmente versati prima del passaggio, non costituivano il “normale” corrispettivo della prestazione, perché, essendo legati a variabili inerenti alle modalità qualitative e quantitative di quest’ultima, non erano entrati nel patrimonio del lavoratore, che sugli stessi non avrebbe potuto fare sicuro affidamento neppure qualora la vicenda modificativa non fosse stata realizzata;
7.2. il principio di irriducibilità della retribuzione, che questa Corte ha precisato nei termini sopra indicati (cfr. fra le tante Cass. n. 29247/2017; Cass. n. 4317/2012; Cass. n. 20310/2008), non si atteggia diversamente nei casi di modificazione soggettiva del rapporto perché, se la direttiva 77/187 “non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento di impresa” (punto 77 sentenza Scattolon), non possono essere opposti al cessionario limiti ulteriori rispetto a quelli che valevano, prima della cessione, per il datore di lavoro cedente;
7.3. ciò detto, rileva il Collegio che i ricorrenti, per sostenere la tesi di un peggioramento sostanziale, verificatosi nonostante il riconoscimento dell’assegno personale, fanno leva sulla mancata valorizzazione del premio incentivante, ossia di una voce del trattamento accessorio priva dei requisiti di fissità e di continuità, che devono ricorrere ai fini del rispetto del divieto di reformatio in peius;
7.4. deve essere qui ribadito il principio di diritto già affermato da Cass. nn. 3663, 6345, 7470 del 2019 secondo cui i premi ed i compensi incentivanti previsti dagli artt. 17 e 18 del c.c.n.l. 1 aprile 1999 per il personale del comparto regioni ed enti locali non possono avere rilevanza ai fini del cd. maturato economico, perché si tratta di voci del trattamento accessorio correlate ad effettivi incrementi di produttività e di miglioramento dei servizi, ossia di emolumenti non certi nell’an e nel quantum;
8. è utile rammentare al riguardo che, nell’interpretare il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31 che detta la disciplina generale del passaggio dei dipendenti in conseguenza del trasferimento di attività, questa Corte ha affermato, con orientamento ormai consolidato, che le disposizioni normative e contrattuali finalizzate a garantire il mantenimento del trattamento economico e normativo acquisito non implicano la totale parificazione del lavoratore trasferito ai dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione, in quanto la prosecuzione giuridica del rapporto, se da un lato rende operante il divieto di reformatio in peius, dall’altro non fa venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore di lavoro, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore;
8.1. muovendo da detta premessa si è evidenziato che l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo ove alla stessa si correlino benefici economici e il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporti un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito (Cass. n. 18220/2015; Cass. n. 25021/2014; Cass. n. 22745/2011; Cass. n. 10933/2011; Cass., S.U., n. 22800/2010; Cass. n. 17081/2007);
8.2. l’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Cass., S.U., n. 22800/2010 e Cass. n. 25021/2014), né può essere opposta al nuovo datore di lavoro per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative (cfr. fra le più recenti Cass. n. 4389/2020 e quanto agli scatti di anzianità Cass. n. 32070/2019);
8.3. corollario di detto principio è quello, egualmente consolidato da tempo nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in caso di passaggio di personale conseguente al trasferimento di attività concorrono a formare la base di calcolo ai fini della quantificazione dell’assegno personale le voci retributive corrisposte in misura fissa e continuativa, non già gli emolumenti variabili o provvisori sui quali, per il loro carattere di precarietà e di accidentalità, il dipendente non può riporre affidamento, o perché connessi a particolari situazioni di lavoro o in quanto derivanti dal raggiungimento di specifici obiettivi e condizionati, nell’ammontare, da stanziamenti per i quali è richiesto il previo giudizio di compatibilità con le esigenze finanziarie dell’amministrazione (cfr. fra le tante Cass. n. 31148/2018; Cass. n. 18196/2017; Cass. n. 3865/2012);
8.4. la sentenza rescindente, come già detto, non ha precisato quali emolumenti dovessero essere apprezzati per verificare se si fosse verificata una “posizione globalmente sfavorevole”, sicché il principio di diritto ben può essere armonizzato con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte espresso in tema di quantificazione dell’assegno personale;
9. il ricorso, in via conclusiva, deve essere rigettato ed alla soccombenza segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
10. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del MIUR, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022