LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24377/2020 proposto da:
M.I., difeso dall’avv. Mara Tarnold, giusta procura in atti, domiciliato presso la Cancelleria della I Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 188/2020 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 14/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/10/2021 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Trieste, con decreto del 14.05.2020, ha rigettato l’appello proposto da M.I., cittadino dell’Ucraina, avverso l’ordinanza del 19.04.2018 con cui il Tribunale di Trieste ha rigettato la sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.
Il giudice di secondo grado ha condiviso il rigetto della domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. c), essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato nel distretto di *****, zona di provenienza del ricorrente.
Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata ritenuta sussistente una situazione di vulnerabilità personale.
Ha proposto ricorso per cassazione M.I. affidandolo a due motivi.
Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente in giudizio ai soli fini di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2 e 8.
Contesta il ricorrente la valutazione di fatto effettuata dalla Corte d’Appello sulla situazione socio-politica dell’Ucraina.
2. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente non si è confrontato minimamente con la precisa argomentazione della Corte d’Appello secondo cui la zona di provenienza del ricorrente non è interessata da guerra civile (essendo coinvolte solo le regioni al confine con la Russia di Donec’k, Luhans’k e Charkiv), tanto è vero che lo stesso non ha nemmeno dedotto episodi sintomatici della violenza indiscriminata equiparabile al conflitto armato interno, soffermandosi su profili di criticità del tutto distinti, quali la corruzione generalizzata, la politicizzazione dei Tribunale, il prezzo elevato delle materie prime.
3. Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonché la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha omesso di valutare il suo livello di integrazione sociale, evincibile dal rilievo che vive stabilmente in Italia da oltre cinque anni e presta attività di lavoro a tempo indeterminato e pieno.
4. Il motivo è fondato.
Va osservato preliminarmente che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24413/2021, hanno evidenziato che il focus della valutazione comparativa tra la condizione del richiedente protezione nel paese di accoglienza e in quello di origine va centrato sul rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, quali definiti nelle Carte sovranazionali e nella Costituzione italiana, venendo, in primo luogo, in rilievo il disposto dell’art. 8 CEDU, che è centrale per valutare il profilo di vulnerabilità legato alla comparazione tra il contesto economico, lavorativo e relazionale che il richiedente troverebbe rientrando nel paese di origine e le condizioni di integrazione dal medesimo raggiunte in Italia nel tempo necessario al compimento dell’esame della sua domanda di protezione in sede amministrativa e giudiziaria. In particolare, nell’effettuare il giudizio comparativo, il giudice di merito dovrà valutare ai fini dell’individuazione della condizione di vulnerabilità “.. non solo il rischio di danni futuri – legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel paese d’origine – ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita..”.
Proprio alla luce di tali considerazioni, è stato enunciato il principio di diritto secondo cui, quando si accerti che un apprezzabile livello di integrazione sia stato raggiunto dal richiedente protezione, se il ritorno nel paese d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, deve ritenersi sussistente un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. Imm., per il riconoscere il permesso di soggiorno.
Nel caso di specie la sentenza impugnata, nel valutare la condizione di vulnerabilità del richiedente, ha completamente omesso di esaminare il profilo della violazione dell’art. 8 CEDU, non attribuendo alcuna rilevanza al percorso di integrazione compiuto dal ricorrente (evidenziato dallo stesso giudice di merito con il riferimento alla lettera di assunzione risalente addirittura al 3.10.2016 da parte della società Zeta Costruzioni s.r.l.) ed ha soffermato tutta la sua analisi sul distinto profilo delle sue condizioni di salute non sufficientemente documentate.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022