LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22290-2017 proposto da:
BETA TORINO SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PROPERZIO, 5, presso lo studio dell’avvocato CARLO CICALA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO ANDREA BAUDINO BESSONE;
– ricorrente –
contro
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI, n. 44, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MARIA VERRECCHIA, che la rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
sul ricorso 22290-2017 proposto da:
avverso la sentenza n. 1806/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 02/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/02/2022 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA.
FATTI DI CAUSA
1. La società M.A.C. conveniva in giudizio dinanzi il tribunale di Torino Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. chiedendone la condanna al pagamento dell’importo di Euro 340.000 a titolo di risarcimento danni patrimoniali per l’inadempimento al contratto di finanziamento, garantito da fideiussione rilasciata dal legale rappresentante dell’attrice e della controllante Bellonia Real Estate Srl e ipoteca su immobili sociali, per l’importo di Euro 3.400.000, stipulato in data 9 dicembre 2010 in relazione al progetto di ristrutturazione e conversione d’uso da commerciale a residenziale di un edificio già adibito a cinematografo e non adempiuto, stante la dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa, di cui all’art. 13, lett. F, delle pattuizioni contrattuali, formulata dalla Banca Nazionale del Lavoro con comunicazione del 14 febbraio 2011. Risarcimento quantificato nelle spese per la stipula del contratto risolto e per l’iscrizione dell’ipoteca e nella differenza tra il valore stimato di due immobili di proprietà dell’attrice e il prezzo di realizzo come affrettatamente dovuto effettuare per recuperare liquidità.
L’attrice assumeva l’illegittimità del recesso comunicato dalla banca successivamente allo spirare del termine per l’erogazione della prima rata di finanziamento pari a Euro 900.000, termine individuato nel consolidamento dell’ipoteca iscritta il 10 dicembre 2010 a garanzia del prestito.
2. Si costituiva la Banca Nazionale del Lavoro chiedendo il rigetto della domanda attorea e rivendicando la legittimità del proprio recesso.
3. Il Tribunale all’esito dell’istruttoria accoglieva la domanda della società attrice statuendo come illegittimo il recesso, in quanto non rientrante nella sfera di applicabilità della condizione risolutiva del contratto in relazione alle circostanze dedotte, con conseguente declaratoria di risoluzione del contratto di finanziamento per fatto e colpa della banca e condanna al risarcimento del danno da inadempimento, quantificato nelle spese per la stipula del contratto di finanziamento e l’approntamento della garanzia ipotecaria, nonché nella differenza tra valore di stima degli immobili sui quali era stata iscritta ipoteca e il prezzo di vendita degli stessi ad una società di leasing.
4. Secondo il Tribunale le circostanze dedotte dalla banca erano già conosciute al momento della sottoscrizione del contratto di finanziamento e, pertanto, non più invocabili per la condizione risolutiva espressa. Quanto al risarcimento era verosimile la circostanza che i due immobili fossero stati svenduti per far fronte ai debiti sociali riportati nel bilancio al 31 dicembre 2010 e saldati nel corso del 2011 e non più riportati a bilancio.
5. Banca Nazionale del Lavoro proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
6. La società M.A.C. si costituiva chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del gravame.
7. La Corte d’Appello accoglieva parzialmente l’impugnazione e condannava la Banca nazionale del lavoro a rimborsare alla società M.A.C. l’importo di Euro 7133 oltre agli interessi dal 14 febbraio 2011.
In particolare, la Corte d’Appello di Torino ricostruiva la vicenda evidenziando che il contratto di finanziamento era stato stipulato il 9 dicembre 2010 e prevedeva due garanzie, una fideiussione personale del legale rappresentante della società mutuataria e un’ipoteca su due immobili di proprietà di M.A.C. con perizia della fiduciaria di Bnl nel mese di ottobre 2010, ai fini dell’ipoteca per mutuo edilizio. I tempi di erogazione dell’importo finanziato prevedevano un primo versamento di Euro 900.000 al consolidamento dell’ipoteca e successivi versamenti in base all’avanzamento dei lavori di trasformazione dell’immobile, già adibito a sala cinematografica, in un complesso di civili abitazioni. L’ipoteca era stata iscritta il 10 dicembre 2010 e da tale data decorrevano i termini per il consolidamento, mentre il recesso della banca era avvenuto il 14 febbraio 2011. Pertanto, la facoltà di recesso successiva alla conclusione del contratto e alla scadenza del primo atto di adempimento, per essere correttamente esercitata, doveva avere fondamento su fatti verificatisi successivamente alla stipula ovvero non conosciuti dalla banca precedentemente. L’unica circostanza dedotta dalla banca nella comunicazione di recesso del 14 febbraio 2011 aveva ad oggetto il mancato pagamento di rate del mutuo stipulato da Bellonia Real Estate con la banca Monte dei Paschi di Siena come comunicato dalla cliente in data 10 gennaio 2011. La Società Bellonia Real Estate, peraltro, era solo la controllante della società M.A.C., ma non la garante del finanziamento e la banca aveva ammesso di aver avuto contezza del suddetto mutuo scaduto e non pagato nel corso delle trattative. Richiamate le altre testimonianze, la Corte escludeva che la promessa di rientro dello sconfinamento in essere presso Banca Monte dei Paschi fosse configurabile quale impegno giuridico del B. o di Bellonia Real Estate ad estinguere la posizione nell’immediato, prima dell’erogazione della prima tranche di finanziamento. Pertanto, in assenza di un impegno giuridicamente vincolante all’estinzione, non poteva parlarsi di inadempimento e, quindi, di evento sopravvenuto rilevante ai sensi della clausola risolutiva espressa del contratto, dovendosi escludere che la legittimità di un rimedio così grave come il recesso potesse essere valutata alla luce di affermazioni generiche. Peraltro, lo sconfinamento di Bellonia Real Estate successivo alla stipula era stato di soli Euro ulteriori 100.000.
Le vicende relative all’indagine della Procura della Repubblica erano irrilevanti e, comunque, avevano ad oggetto Bellonia Real Estate e non la persona dell’indagato, mentre i fatti ulteriori, quali l’arresto di B.G.S. nell’autunno del 2011 con successiva archiviazione per rimessione di querela, erano successivi all’esercizio del diritto di recesso e, pertanto, irrilevanti per la valutazione della legittimità dello stesso. Non poteva assumere alcun rilievo neanche la circostanza che la comunicazione fosse pervenuta all’ufficio accertamento bancario e non alla filiale di Torino che materialmente aveva trattato il contratto di finanziamento. Secondo la Corte d’Appello non potevano farsi valere in sede giudiziaria elementi diversi ed ulteriori rispetto a quelli enunciati nella comunicazione di volersi avvalere della clausola di recesso.
Alla legittimità del recesso conseguiva la responsabilità della banca da inadempimento e il diritto della società attrice al ristoro dei danni patiti. Tali danni dovevano essere quantificati come danno emergente rispetto alle spese affrontate della stipula del contratto e alla concessione dell’ipoteca come documentate in Euro 7133,50 complessivi. Diversamente non vi era prova, neppure indiziaria, che la differenza tra valore di perizia e il prezzo dichiarato nell’atto di cessione dei due immobili già concessi in garanzia a Bnl fosse diretta conseguenza della necessità di denaro e che l’inadempimento dell’istituto di credito avesse determinato tale danno per le finanze della società. La sola vendita, per quanto frettolosa di un immobile ad un prezzo congruo non poteva ritenersi danno patrimoniale risarcibile. Gli immobili erano già stati periziati in vista della concessione della garanzia reale al finanziamento in corso di negoziazione e stimati per un valore pari a Euro 1.080.000, considerandoli come non gravati da ipoteche e con riguardo alla loro ristrutturazione e cambio di destinazione d’uso e, quindi, con evidente valorizzazione. M.A.C. non aveva allegato e provato nulla quanto alle trattative con l’acquirente e alle modalità di formazione del prezzo. Dunque, non vi erano elementi per affermare che la differenza di valore era diretta conseguenza della vendita affrettata e conclusa in assenza di negoziazione sul prezzo.
8. Beta Torino srl in liquidazione (già M.A.C. srl) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.
9. Banca Nazionale del Lavoro ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale sulla base di un motivo.
10. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso principale è così rubricato: rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, violazione falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c..
La censura ha ad oggetto l’inammissibilità dell’impugnazione della Banca Nazionale del Lavoro non riscontrata dalla Corte d’Appello di Torino. L’inammissibilità discenderebbe dal fatto che nell’appello mancava l’individuazione dei motivi. Le contestazioni, infatti, erano sovrapposte e confuse e l’allora appellante si era limitato a riproporre le tesi del primo grado, con un unico motivo d’appello intitolato violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1321, 1341, 1453 e ss. e 113 e 115 c.p.c..
1.2 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: “ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte; l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso” (Sez. 1, Ord. n. 29495 del 2020).
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in tema di riparto dell’onere della prova fra le parti.
L’attrice nella quantificazione della propria domanda di risarcimento del danno aveva richiesto sia la rifusione dei costi sostenuti per la stipula del contratto di mutuo, sia il risarcimento dell’ulteriore danno patrimoniale patito in conseguenza della mancata erogazione da parte di Bnl della liquidità che le era necessaria per pagare i fornitori e ultimare i lavori di ristrutturazione in corso. La ricorrente aveva allegato di aver dovuto vendere due immobili di sua proprietà e che, nell’urgenza di procurarsi detta liquidità, la vendita era avvenuta ad un prezzo inferiore a quello di mercato. Il Tribunale aveva accolto integralmente la domanda mentre la Corte d’Appello aveva riformato sul punto la sentenza.
La motivazione della Corte d’Appello non sarebbe intellegibile non potendosi comprendere se fondata sulla mancanza di prova del rapporto di causalità immediata e diretta tra l’inadempimento e il danno o sulla mancanza di prova dell’ammontare del danno. In ogni caso risulterebbe violato l’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova. Infatti, in conseguenza dell’inadempimento della Bnl, l’attrice era stata costretta a vendere i due alloggi di sua proprietà che, peraltro, aveva dato come garanzia ipotecaria del mutuo rispetto al quale la banca aveva esercitato l’illegittimo recesso. La vendita era avvenuta a favore di terzi a valore di molto inferiore al prezzo di perizia che era stata fatta proprio in occasione della garanzia per il mutuo. Sarebbero provati tanto il danno patrimoniale che il nesso di causalità mentre spettava alla controparte la prova che la società poteva procurarsi la liquidità diversamente oppure che il prezzo di vendita era comunque congruo. La Corte d’Appello avrebbe invece posto a carico della società attrice un onere probatorio impossibile da adempiere in quanto attinente a fatti negativi, cioè non essersi riuscita a procurare diversamente la liquidità che le era necessaria.
3. Il terzo motivo è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c. e art. 1226 c.c., in punto di liquidazione equitativa del danno.
In ogni caso l’attrice aveva chiesto una consulenza tecnica ai fini della migliore determinazione del danno e in subordine che si procedesse alla sua liquidazione in via equitativa ex artt. 1226 c.c.. Il Tribunale aveva ritenuto non necessario l’esperimento della consulenza e non aveva dato applicazione al disposto dell’art. 1226 c.c., ritenendo pienamente provata l’entità del danno. La Corte d’Appello, ritenendo non provato l’ammontare del danno, avrebbe dovuto disporre una consulenza tecnica d’ufficio o, quantomeno, procedere alla determinazione in via equitativa del danno.
3.1 Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
In primo luogo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. e la incomprensibilità della motivazione della Corte d’Appello di Torino.
E’ opportuno, pertanto, riportare i passi salienti di tale motivazione. Secondo la Corte d’Appello, i ricorrenti non avevano allegato e provato in alcun modo di essere stati costretti a vendere il bene ad un prezzo inferiore a quello di mercato per la necessità impellente di procurarsi il denaro che avrebbero dovuto ottenere mediante il contratto di finanziamento con BNL. Non era stata fornita alcuna prova delle modalità di svolgimento delle trattative con la società Ing. Lease Italia che aveva acquistato il bene al prezzo di Euro 720.000,00. Peraltro, il prezzo, secondo la Corte d’Appello era pari al valore di mercato del bene, in quanto nella perizia di stima in vista della concessione di ipoteca a garanzia del finanziamento, il bene era stato ulteriormente valorizzato in vista dello sfruttamento commerciale conseguente alla ristrutturazione e al cambio di destinazione d’uso. Dunque, non vi era prova, neppure indiziaria, che la differenza tra il valore di perizia e il prezzo dichiarato nell’atto di cessione dei due immobili già concessi in garanzia a Bnl fosse diretta conseguenza della necessità di denaro. In particolare, non vi erano elementi per affermare che la differenza di valore era diretta conseguenza della vendita affrettata e conclusa in assenza di negoziazione sul prezzo.
3.2 Risulta evidente, pertanto, che la motivazione, come sinteticamente riportata, sia ampia e approfondita e contenga una chiara ed effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate consentono di ricostruire il percorso logico – giuridico alla base del decisum. In sostanza la Corte d’Appello ha ritenuto non provato il nesso causale tra l’inadempimento e il danno rappresentato dalla differenza di prezzo tra il valore stimato al momento dell’ipoteca e quello di effettiva vendita sotto due distinti profili. Mancava la prova della non congruità del prezzo e mancava la prova circa le modalità della vendita alla società di leasing, terza acquirente.
In definitiva, il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata è chiarissimo, oltre che condivisibile e non si configura alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., ipotizzabile solo quando il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni.
Nei giudizi di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, infatti, è onere del danneggiato dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta della controparte è stata, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.
Venendo alle censure esposte con il terzo motivo, deve osservarsi che la mancata prova del nesso causale rendeva superfluo procedere ad una consulenza tecnica e non consentiva alcuna valutazione equitativa ex art. 1226 c.c..
L’attività del giudice, infatti, deve tenere distinta la dimensione della causalità da quella della quantificazione del danno e deve altresì adeguatamente valutare il grado di certezza dell’una e dell’altra, muovendo dalla previa e necessaria indagine sul nesso causale tra la condotta e l’evento e procedendo, poi, in caso di esito positivo di tale indagine alla determinazione del quantum.
Peraltro, nella specie, la Corte d’Appello di Torino ha ritenuto il prezzo congruo e sovrastimato il valore attribuito nella perizia per la concessione di ipoteca. Manca, pertanto, ai fini del risarcimento del danno patrimoniale da inadempimento, oltre alla prova del nesso causale anche la dimostrazione in concreto dell’esistenza del pregiudizio lamentato.
4. Il motivo di ricorso incidentale della Banca Nazionale del Lavoro è così rubricato: violazione degli artt. 1321,13411453 e seguenti c.c. e art. 113 c.p.c., comma 1, art. 115, comma 1.
La censura attiene alla non corretta interpretazione dell’art. 1341 e dell’art. 13, lett. F, allegato B, del contratto di finanziamento.
I fatti che avevano condotto la Banca ad invocare l’applicabilità della clausola risolutiva erano il progressivo aggravamento della posizione di sofferenza della società Bellonia Real Estate e la richiesta alla banca da parte della Procura della Repubblica di Torino di trasmissione di documentazione bancaria relativa alla suddetta società in relazione ad un presunto reato di truffa cui aveva fatto seguito l’arresto di B.G.S..
Il peggioramento degli indici economici e la notizia dell’indagine penale giustificavano il recesso o la risoluzione. In ogni caso la società attrice in violazione dei canoni di correttezza e buona fede aveva taciuto alla banca l’esistenza del procedimento penale nel cui contesto era stato richiesto perfino un provvedimento di sequestro delle quote della società.
4.1 Il motivo proposto con il ricorso incidentale è inammissibile.
La Banca ricorrente sotto l’ombrello del vizio di violazione di legge richiede una rivalutazione degli elementi fattuali della vicenda sulla cui base il Tribunale prima, e la Corte d’Appello poi, hanno ritenuto illegittimo il comportamento della ricorrente incidentale.
In particolare, i giudici del merito hanno ritenuto che le ragioni esplicitate nella dichiarazione di BNL del 14 febbraio 2011 di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa di cui al citato art. 13 del contratto di finanziamento non giustificassero il ricorso a tale strumento negoziale. In particolare, l’esposizione debitoria di Bellonia Real Estate nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena era già conosciuta al momento della stipula del contratto e tale società era solo controllante della società M.A.C., unica effettiva parte contrattuale. Inoltre, le vicende relative all’indagine della Procura della Repubblica erano successive alla suddetta dichiarazione del 14 febbraio 2011. Infatti, alla data di stipula del contratto, così come alla data di esercizio del recesso del 14 febbraio 2011, vi era unicamente la richiesta della Procura della Repubblica di ricevere copia di documenti di produttivi dei rapporti intrattenuti dalla società Bellonia Real Estate con BNL, senza alcuna menzione della persona dell’indagato e solo con la generica indicazione della disposizione in ordine alla quale si stava indagando.
Gli ulteriori aspetti relativi a tale indagine erano tutti successivi all’esercizio del diritto di recesso e, pertanto, irrilevanti per la valutazione della legittimità dello stesso.
La Corte d’Appello è giunta alle dette conclusioni con corretto apprezzamento di merito esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento. Deve ribadirsi che l’apprezzamento del giudice di merito sul concorso degli estremi relativi all’inadempimento ed alla sua gravità nel quadro dell’economia contrattuale, implicando la risoluzione di questioni di fatto, è insindacabile in cassazione tutte le volte in cui l’apprezzamento stesso, che costituisce giudizio di fatto, sia immune da errori logici o giuridici, non essendo, a tal proposito, il giudice di merito tenuto ad analizzare e discutere ogni singolo dato acquisito al processo, ed adempiendo egli, per converso, all’obbligo della motivazione attraverso l’adozione di una decisione fondata su quelle risultanze probatorie ritenute risolutive ai fini della decisione stessa (ex plurimis Sez. 6-2, Ord. n. 12182 del 2020, Sez. 3, Sent. n. 6401 del 2015, Sez. 3, Sent. n. 24799 del 2008, Sez. 2, Sent. n. 11400 del 2002).
Ciò premesso, deve evidenziarsi che la complessiva censura proposta dal ricorrente si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
Le censure, pertanto, anche là dove denunciano il vizio di violazione e falsa applicazione di legge si appalesano inammissibili. Infatti, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
In definitiva, la valutazione circa l’illegittimità del recesso operato da BNL ai sensi della clausola risolutiva di cui all’art. 13 del contratto di finanziamento stipulato con la società ricorrente prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo – è rimessa all’esame del giudice del merito, le cui valutazioni, alle quali il ricorrente contrappone le proprie, non sono sindacabili in sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
5. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, e data la reciproca soccombenza, compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, spese compensate tra le parti.
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 1 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022
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