Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.660 del 11/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10400/2020 proposto da:

O.J.O., difeso dall’avv. Giuseppe Giammarino, giusta procura in atti, domiciliato presso la Cancelleria della I sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 20/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/10/2021 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Napoli, con decreto del 20.02.2020, ha rigettato la domanda proposta da O.J.O., cittadino della Nigeria, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, negato al ricorrente lo status di rifugiato, nonché la protezione sussidiaria riconducibile alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non essendo state le sue dichiarazioni ritenute credibili (il ricorrente, portiere nella squadra di calcio del suo villaggio, aveva riferito di essersi allontanato dal paese d’origine per motivi politici, temendo per la propria vita, atteso che il proprio padre, esponente politico del partito *****, era stato ucciso dagli appartenenti al partito rivale *****).

Il Tribunale di Napoli, ha, inoltre rigettato la domanda di protezione sussidiaria per la fattispecie di cui all’art. 14, lett. c) Legge cit., essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato nel territorio di provenienza (Edo State).

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione O.J.O. affidandolo a sette motivi, illustrati anche con memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente in giudizio ai soli fini di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, in via preliminare, il ricorrente ha sollevato una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3, comma 1, art. 24, commi 1 e 2 e art. 111, commi 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni 30 a decorrere dalla comunicazione del provvedimento a cura della cancelleria.

Espone il ricorrente, in ordine alla rilevanza della questione, che il decreto impugnato le è stato comunicato in data 20.2.2020 e di averlo tempestivamente impugnato entro la data di scadenza del 21.3.2020.

In ordine alla non manifesta infondatezza, rileva il ricorrente che la deroga al termine ordinariamente previsto per la presentazione del ricorso per cassazione (60 giorni) non si giustifica con la ratio legis di sollecita definizione dei processi in materia di protezione internazionale.

2. Il motivo (e la relativa questione) è inammissibile per difetto di rilevanza Il ricorrente ha depositato tempestivamente il ricorso per cassazione, secondo il termine del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13.

Ne consegue che nessuna utilità concreta ai fini della decisione rivestirebbe l’eventuale accoglimento della questione, che ha quindi un puro rilievo astratto.

In ogni caso, non ricorre neppure l’altra condizione: questa Corte ha già enunciato il principio di diritto (vedi Cass. n. 17717 del 05/07/2018, in senso conforme Cass. n. 28119/2019) – dal quale il Collegio non intende discostarsi – secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poiché la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento.

3. Con il secondo motivo, sempre in via preliminare, il ricorrente ha sollevato una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3, comma 1, art. 24, commi 1 e 2 e art. 111, commi 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.

Sulla rilevanza pone in evidenza che, nel caso di specie, la procura speciale alle liti è stata conferita al difensore in data 15.5.2019, quindi successivamente alla comunicazione da parte della cancelleria del decreto impugnato.

In ordine alla non manifesta infondatezza, evidenzia la violazione del principio della parità delle parti nel procedimento atteso che il Ministero dell’Interno non deve rilasciare all’Avvocatura dello stato alcuna procura alle liti per stare in giudizio innanzi a questa Corte.

4. Il motivo (e la relativa questione) è inammissibile per difetto di rilevanza.

In primo luogo, la procura speciale alle liti è stata rilasciata dal ricorrente in ossequio a quanto stabilito dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, con la conseguenza che alcuna utilità ai fini della decisione può svolgere la illustrata questione di legittimità costituzionale.

In ogni caso, questa Corte ha già enunciato il principio di diritto (Cass. n. 17717 del 05/07/2018 – dal quale il Collegio non intende discostarsi – secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poiché tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3.

5. Con il terzo motivo, sempre in via preliminare, il ricorrente ha sollevato una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 2 e 7, art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo come integrato dall’art. 46, par. 3 dir. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13 CEDU, per quanto concerne la previsione del rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e segg..

Lamenta il ricorrente che la previsione della non necessaria audizione del richiedente in sede giudiziale e la fissazione solo eventuale di un’udienza di comparizione in cui il difensore del richiedente possa eccepire eventuali vizi nella formazione della prova viola il principio del contraddittorio, del “giusto processo” nonché il diritto di difesa.

6. Il motivo (e la relativa istanza di rimessione) e’, anche qui, inammissibile per difetto di rilevanza, dal momento che, nella specie, risulta dallo stesso provvedimento impugnato che il tribunale ha tenuto l’udienza di comparizione ed ha proceduto all’esame del ricorrente.

In ogni caso, sul punto, questa Corte ha già statuito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, poiché il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perché tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perché in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte. (Cass. n. 17717 del 05/07/2018).

7. Con il quarto motivo, in subordine, il ricorrente ha sollevato una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 2 e 7, art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo come integrato dall’art. 46, par. 3 dir. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13 CEDU.

Il ricorrente lamenta che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, che prevedono la fissazione dell’udienza per l’audizione dell’interessato in via solo eventuale, si pongano in contrasto con la normativa Eurounitaria e, in particolare, con l’art. 46 par. 3 dir. N. 32/2003.

8. il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza.

E’ pacifico che, nel caso di specie, è stata disposta l’audizione del richiedente nel procedimento innanzi al Tribunale di Napoli, con la conseguenza che la illustrata questione di legittimità costituzionale non ha alcuna utilità ai fini della decisione.

9. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sul rilievo della oggettiva insufficienza della motivazione con cui il Tribunale di Napoli ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente anche in ragione della falsità dell’articolo di giornale prodotto dallo stesso in giudizio.

10. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), essendo state indicate in modo dettagliato ed articolato (vedi pagg. 3, 4 e 5 del decreto impugnato) le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile e perché l’articolo di giornale prodotto in giudizio, riguardante asseritamente la sua storia, sia stato ritenuto falso.

D’altra parte, il ricorrente, le cui censure sono palesemente di merito – essendo finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dal Tribunale di Napoli – non ha neppure allegato la grave anomalia motivazionale del decreto impugnato, come detto, unico vizio attualmente censurabile in Cassazione.

11. Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinazione con l’art. 19 T.U.I., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sul rilievo che il Tribunale di Napoli, nel valutare la situazione della Nigeria, con specifico riferimento alla regione dell’istante, si era limitato ad allegare fonti del 2017, come tali non attuali.

In ogni caso, il tribunale aveva erroneamente interpretato le dichiarazioni del ricorrente e la motivazione con cui era stata negata la protezione umanitaria era priva di logica, o comunque carente. Il Tribunale di Napoli non aveva tenuto conto che il ricorrente era scappato per sottrarsi a concrete e documentate minacce di morte, e comunque aveva provato la propria integrazione in Italia avendo instaurato rapporti di amicizia con italiani ed avendo un ruolo attivo nella comunità.

12. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Inammissibili per genericità sono, in primo luogo, le censure svolte in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria: viene dedotta dal ricorrente la propria integrazione nel paese di accoglienza sulla base di imprecisati rapporti di amicizia con italiani e sulla base di un asserito ruolo attivo nella comunità, a sua volta non esplicitato.

Parimenti inammissibili, in quanto di merito, sono inoltre, le censure del ricorrente in ordine alla valutazione di fatto svolta dal Tribunale di Napoli sulla situazione socio-politica della Nigeria.

In proposito, va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6-1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, il Tribunale ha accertato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione dell’Edo State della Nigeria ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Sez. 1 12/12/2018 n. 32064). Ne consegue che le censure del ricorrente sul punto si configurano come di merito, e, come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella rettamente operata dal Tribunale di Napoli sulla base di informazioni tratte da fonti puntualmente indicate.

Infine, infondata è la lamentata violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Tale norma prevede che ciascuna domanda di protezione internazionale debba essere esaminata alla luce di informazioni precise ed aggiornate, ma non prescrive che tali notizie debbano essere necessariamente tratte dai report pubblicati in coincidenza con la decisione della causa, dovendo comunque ritenersi aggiornate quelle informazioni il cui contenuto non risulti superato da quelle di più recente pubblicazione (vedi anche Cass. n. 22769/2020).

Nel caso di specie, il ricorrente si è limitato a dedurre la presunta datazione e non aggiornamento delle informazioni assunte dal giudice di merito in ordine alla situazione socio-politica della Nigeria solo perché contenute in un report dell’Easo del 2017 (la decisione è del 2020), ma non ha minimamente indicato eventuali informazioni più recenti idonee a confutare le informazioni acquisite dal Tribunale di Napoli.

Non si liquidano le spese di lite, in conseguenza della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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