LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13231/2020 proposto da:
A.T., difeso dall’avv. Silvana Guglielmo, giusta procura in atti, domiciliato presso la Cancelleria della I sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 777/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE depositata il 26/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/10/2021 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Trieste, con decreto del 26.11.2019, ha rigettato l’appello proposto da A.T., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del 24.10.2017 con cui il Tribunale di Trieste ha rigettato la sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.
E’ stato, in primo luogo, negato al ricorrente lo status di rifugiato non essendo le sue dichiarazioni state ritenute inquadrabili nella fattispecie della Convenzione di Ginevra (il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dal paese d’origine per le minacce subite dal padre per le sue simpatie religiose e le critiche che lo stesso aveva rivolto all’Imam).
Il Tribunale di Trieste ha, inoltre, rigettato la domanda di protezione sussidiaria per la fattispecie di cui all’art. 14, lett. c) Legge cit., essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato nel Pakistan. Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata ritenuta sussistente una situazione di vulnerabilità personale.
Ha proposto ricorso per cassazione A.T. affidandolo a cinque motivi.
Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente in giudizio ai soli fin idi un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, per non avere il Tribunale di Trieste disposto l’audizione del richiedente.
2. Il motivo è inammissibile.
In proposito, questa Corte ha indicato i presupposti (insussistenti nel caso di specie) in presenza dei quali il giudice non può sottrarsi all’incombente dell’audizione del richiedente. In particolare, nella sentenza n. 21584/2000 (vedi anche Cass. n. 22049/20; Cass. n. 26124/20) è stato formulato il seguente principio di diritto (cui questo Collegio intende dare continuità): “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”.
Nel caso di specie, il ricorrente non ha indicato le circostanze su cui avrebbe voluto essere sentito e non ha neppure dedotto di aver fatto richiesta di audizione al giudice di merito.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione alla valutazione di non credibilità del ricorrente operata dalla Corte d’Appello.
4. Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).
Nel caso di specie, la motivazione della Corte d’Appello soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), essendo state indicate in modo dettagliato ed articolato (vedi pagg. 5 e 6 del decreto impugnato) le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile.
Sul punto, il ricorrente ha dedotto che la motivazione della Corte d’Appello sarebbe apparente, ma senza illustrarne apprezzabilmente le ragioni: anche ammettendo che il giudice di secondo grado, nel condividere le argomentazioni del Tribunale di Trieste sull’attendibilità del racconto del richiedente, si fosse espresso in termini simili a quelli del giudice di primo grado, ciò non renderebbe certo apparente la sua motivazione.
5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 9, per non essersi la Corte d’Appello avvalsa delle informazioni sul Pakistan delle Commissioni Asilo (COI).
6. Il motivo è infondato.
Come già statuito da questa Corte (vedi Cass. n. 13253/2020), in tema di protezione internazionale, l’indicazione delle fonti di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, non ha carattere esclusivo, ben potendo le informazioni sulle condizioni del Paese estero essere tratte da concorrenti canali di informazione, quali ad esempio i siti internet delle principali organizzazioni non governative attive nel settore dell’aiuto e della cooperazione internazionale. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha affermato di aver tratto le proprie informazioni dal più recente rapporto EASO, fonte pienamente utilizzabile dal giudice.
7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c).
Il ricorrente ha censurato la valutazione di fatto effettuata dalla Corte di Appello in ordine alla situazione socio-economica del Punjab in Pakistan. 8. Il motivo è inammissibile.
In proposito, va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).
Nel caso di specie, il Tribunale ha accertato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione Punjab in Pakistan alla luce di una fonte internazionale aggiornata ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass., sez. 1, 12/12/2018 n. 32064). Ne consegue che le censure del ricorrente sul punto, configurandosi come di puro merito, sono come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello.
9. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 2 Cost., artt. 3 e 8 CEDU, artt. 2 e 10 Cost..
Lamenta il ricorrente che il provvedimento impugnato non ha fatto alcun riferimento al raggiungimento da parte sua di un elevato livello di integrazione in Italia, evincibile dal conseguimento di un attestato di lingua italiana e per aver preso in affitto un’abitazione (come risultante dalla corposa documentazione prodotta).
10. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
Posto che nel decreto impugnato non vi è traccia della questione della integrazione sociale del richiedente, il motivo difetta di autosufficienza, non avendo il ricorrente neppure allegato “dove” e “come” ha sottoposto tali circostanze all’esame dei giudici di merito, essendosi limitato a dedurre genericamente di aver prodotto “una documentazione corposa”.
In proposito, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).
Non si liquidano le spese di lite, in conseguenza della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022