LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16670/2017 proposto da:
S.G., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Bainsizza n. 10, presso lo studio dell’avvocato Casamento Giovanni Maria, rappresentato e difeso dall’avvocato Fodaro Francesco, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.C.;
– intimata –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositato il 08/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/12/2021 dal Cons. Dott. GIULIA IOFRIDA.
RILEVATO
Che:
Il Tribunale di Cosenza dichiarò inammissibile la domanda proposta da C.C. nei confronti di S.G., volta ad ottenere il riconoscimento di un assegno mensile di mantenimento per il figlio, S.I.G., nato nel ***** dalla sua convivenza more uxorio col convenuto, stante il mancato mutamento delle condizioni economiche delle parti in data successiva alla stipula, il 30/10/2012, di un accordo, valido ed eseguito, in forza del quale il padre aveva trasferito al figlio la proprietà di un immobile, ottenendo in cambio l’esonero da obblighi di contribuzione “salve spese scolastiche e di abbigliamento”; il giudice si limitò a precisare che il resistente doveva contribuire alle spese di vestiario ed a quelle straordinarie sostenute dalla ricorrente per il figlio, documentate e concordate, nella misura del 50%.
La Corte d’appello di Catanzaro, in accoglimento del reclamo proposto dalla C. contro la decisione, ed in parziale riforma della stessa, ha stabilito che S.G. sia tenuto a contribuire al mantenimento del figlio anche con un assegno mensile di Euro 250,00.
I giudici d’appello hanno ritenuto che l’accordo negoziale del 2012, trascendendo dagli interessi disponibili delle parti, fosse inefficace in mancanza di un controllo giudiziario – del tipo di quello che interviene in sede di omologazione della separazione consensuale o di divorzio a seguito di istanza congiunta – necessario a verificarne la conformità all’interesse morale e materiale del figlio e, premesso che l’effettivo trasferimento della proprietà di un immobile di consistente valore economico (oltre Euro 122.000,00) e potenzialmente produttivo di reddito, era di per sé insufficiente a risolvere le maggiori necessità economiche contingenti del minore, ormai in età adolescenziale, hanno determinato l’entità dell’assegno tenuto conto della professione svolta dai genitori (avvocato e medico) e del fatto che dal 2002, epoca di cessazione della convivenza, e sino al 2012, il padre aveva versato a titolo di mantenimento del figlio l’importo mensile di Euro 413,00.
Avverso la suddetta pronuncia, S.G. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi e illustrato da memoria. C.C. non svolge difese.
CONSIDERATO
Che:
1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, artt. 112,739 e 116 c.p.c., per avere la corte del merito pronunciato ultra petita, accogliendo un eccezione di invalidità/inefficacia della scrittura privata del 2012 non proposta in primo grado dalla C., ma avanzata inammissibilmente per la prima volta solo in sede di reclamo; b) con il secondo motivo, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, costituito dal suo mancato esonero dall’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio, atteso che la scrittura in oggetto poneva a suo carico le spese scolastiche e di abbigliamento, sia la motivazione contraddittoria e/o apparente ed il travisamento della prova; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, artt. 100 e 112 c.p.c., non avendo la corte di merito rilevato la formazione del giudicato interno, per mancata impugnazione della reclamante, dell’accertamento del tribunale circa l’insussistenza di mutamenti della situazione economica delle parti sopravvenuti rispetto alla stipula della scrittura, ritenuta dal primo giudice unica condizione idonea a consentire la rivisitazione delle pattuizioni in essa contenute; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 158,160 c.c, art. 337 ter c.c., comma 2, art. 1322 c.c., artt. 210 e 711 c.p.c., per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto inefficace l’accordo da lui raggiunto con la C. in ordine alle modalità di sua contribuzione al mantenimento del figlio solo perché non sottoposto al preventivo vaglio del tribunale.
2. Il primo e il terzo motivo, da trattare unitariamente in quanto connessi, sono infondati.
Va in primo luogo ricordato che nei procedimenti regolati dall’art. 337 ter c.c., il giudice, nell’assumere i provvedimenti che reputa idonei ad assicurare l’interesse morale e materiale della prole, non è vincolato al rispetto dei principio dispositivo o del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (Cass. 25055/2017).
Come più avanti meglio si dirà, l’esistenza di un accordo valido ed efficace fra le parti in ordine alle modalità attraverso le quali S. avrebbe dovuto contribuire al mantenimento del figlio non era dunque impeditivo di una diversa regolamentazione, ritenuta dal giudice maggiormente corrispondente all’interesse del minore.
La validità ed efficacia inter partes dell’accordo negoziale dell’ottobre 2012 era peraltro stata invocata, in primo grado, dallo stesso S. (il quale, costituendosi nel procedimento, aveva eccepito l’inammissibilità/infondatezza della domanda della C. proprio in ragione dell’intervenuta stipula della scrittura) ed aveva formato specifico oggetto della pronuncia di primo grado, avendo il Tribunale di Cosenza, in accoglimento dell’assunto difensivo dell’odierno ricorrente, per l’appunto rigettato detta domanda sul rilievo dell’immodificabilità dei patti validamente intercorsi fra le parti, in assenza di sopravvenuti mutamenti delle loro condizioni economiche.
Va dunque escluso che, impugnando la prima statuizione, rispetto alla quale era indubbiamente soccombente, C. abbia introdotto in giudizio una nuova eccezione o un nuovo tema di indagine sui quali il giudice del reclamo non avrebbe potuto pronunciare; né si comprende come l’esame della questione di diritto (della validità in sé dell’accordo) potesse essere precluso dal giudicato interno formatosi sull’accertamento in fatto del tribunale concernente l’immutata posizione economica delle parti.
3. Il quarto motivo, che, in ordine logico, va esaminato con precedenza sul secondo, deve essere respinto, anche se va corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la motivazione in base alla quale la corte del merito ha ritenuto, conformemente a diritto, che l’avvenuta stipula fra le parti dell’accordo non potesse di per sé esonerare il padre dal versamento di un assegno di mantenimento per il figlio. L’art. 337 ter c.c., comma 4, stabilisce: “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.
La nuova disciplina, quindi, prevede che ciascun genitore debba provvedere direttamente al soddisfacimento dei bisogni della prole per quanto gli è consentito dai propri mezzi e che, in caso di crisi del rapporto tra i genitori, coniugati e non, un assegno a carico dell’uno o dell’altro per il mantenimento del figlio vada determinato in funzione di riequilibrio dei rispettivi contributi: la relativa determinazione è quindi affidata, anzitutto, all’autonomia negoziale e agli accordi dei genitori e, in caso di conflitto, al giudice, sulla base di precisi parametri ora individuati dal legislatore, improntati comunque sempre a fare emergere l’interesse del minore, che rappresenta l’obiettivo vero ed unico da salvaguardare.
E, invero, anche in caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza realizza ormai solo un controllo esterno sull’accordo tra i coniugi, in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli, attesa la natura negoziale dello stesso, stante “il superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti”, cosicché i coniugi “possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori” (Cass. 18066/2014).
Questa Corte ha, in proposito, più volte affermato che l’obbligo di mantenimento dei figli minori, o maggiorenni non autosufficienti, può essere adempiuto dai genitori, in sede di separazione personale o divorzio, mediante un accordo – formalmente rientrante nelle previsioni, rispettivamente, dell’art. 155 c.c., comma 7, art. 158 c.c., comma 2 e dell’art. 711 c.c., comma 3 e della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 8 e art. 6, comma 9 – il quale, anziché attraverso una prestazione patrimoniale periodica, od in concorso con essa, attribuisca o li impegni ad attribuire ai figli la proprietà di beni mobili od immobili, e che tale accordo non realizza una donazione, in quanto assolve ad una funzione solutoria-compensativa dell’obbligazione di mantenimento e costituisce applicazione del principio, stabilito dall’art. 1322 c.c., della libertà dei soggetti di perseguire con lo strumento contrattuale interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
E si è espressamente ritenuto che “la convenzione intervenuta tra i coniugi in sede di separazione consensuale, con la quale essi pattuiscono un trasferimento patrimoniale ai figli, a titolo gratuito e in funzione di adempimento dell’obbligo genitoriale di mantenimento, non è nulla, qualora garantisca il risultato solutorio, non essendo in contrasto con norme imperative, né con diritti indisponibili” (Cass. 21736/2013). E ancora (Cass. 24621/2015) che “l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l’omologazione”. Si è ulteriormente ritenuto, in tema di accordi conclusi in vista del divorzio, valido “il patto stipulato tra i coniugi per la disciplina della modalità di corresponsione dell’assegno di mantenimento, che preveda il versamento da parte del genitore obbligato direttamente al figlio di una quota del contributo complessivo di cui risulta beneficiario l’altro genitore” (Cass. 5065/2021).
Le Sezioni Unite (Cass. 21761/2021) hanno, poi, di recente, affermato che sono pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni – mobili o immobili – o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento.
Si deve quindi ritenere, in ciò correggendosi la motivazione del provvedimento impugnato, che anche un accordo intervenuto alla cessazione di un rapporto di convivenza di fatto, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione dei genitori ai bisogni e necessità della prole, deve essere riconosciuto valido come atto espressivo dell’autonomia privata, pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un’omologazione o controllo giudiziale preventivo.
Tuttavia, tale accordo ha ad oggetto l’adempimento di obbligo ex lege (si è parlato, con riguardo alla separazione consensuale, di “negozio familiare a contenuto essenziale”, Cass. n. 9034/1997, Cass. 24321/2007, Cass. 11342/2004, Cass. 16909/2015), cosicché l’autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività ed efficacia fra le parti del negozio concluso, nella corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute alle effettive esigenze del figlio.
Invero, come già ripetutamente affermato da questa Corte, “l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole può essere adempiuto con l’attribuzione definitiva di beni, o con l’impegno ad effettuare detta attribuzione, piuttosto che attraverso una prestazione patrimoniale periodica, sulla base di accordi costituenti espressione di autonomia contrattuale, con i quali vengono, peraltro, regolate solo le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta”, cosicché “la pattuizione conclusa in sede di separazione personale dei coniugi non esime il giudice chiamato a pronunciare nel giudizio di divorzio dal verificare se essa abbia avuto ad oggetto la sola pretesa azionata nella causa di separazione ovvero se sia stata conclusa a tacitazione di ogni pretesa successiva, e, in tale seconda ipotesi, dall’accertare se, nella sua concreta attuazione, essa abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento” (Cass. 2088/2005; Cass. 2004/11342; Cass. 9500/1987).
In sostanza, l’accordo, benché valido, e pure in assenza di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche dei genitori, non preclude al giudice che sia chiamato a valutarne la rispondenza agli obblighi di mantenimento del figlio, e che lo reputi inidoneo o insufficiente allo scopo, di integrarlo e/o di modificarlo. Nell’operare la valutazione richiestagli il giudice deve infatti ispirarsi al criterio fondamentale dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole (art. 337 ter c.c., comma 2); sicché l’adozione dei provvedimenti ritenuti opportuni ad assicurare detto interesse non solo non incontra, come si è già detto, i limiti processuali – costituiti dal dovere di rispetto del principio della domanda e del principio dispositivo – di cui all’art. 112 c.p.c., ma, a maggior ragione, non può ritenersi subordinata alla salvaguardia dei patti liberamente stipulati dai genitori nell’esercizio della loro autonomia negoziale, il cui contenuto e la cui congruità formano per l’appunto oggetto di delibazione.
Devono essere quindi affermati i seguenti principi di diritto: “In tema di mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, alla luce del disposto di cu all’art. 337 ter c.c., comma 4, anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori non coniugati e non conviventi, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli, è riconosciuto valido come espressione dell’autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un’omologazione o controllo giudiziale preventivo; tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l’adempimento di un obbligo ex lege, l’autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività fra le parti del negozio concluso, nell’effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute all’interesse morale e materiale della prole”.
4. Anche il secondo motivo è infondato.
Va innanzitutto escluso che la corte d’appello abbia omesso di valutare il fatto – in tesi decisivo – rappresentato dalla previsione, nella scrittura dell’ottobre 2012, di un obbligo del padre di contribuire, oltre che con l’impegno al trasferimento della proprietà di un immobile, alle spese scolastiche e di abbigliamento del figlio.
La corte di merito, invero, ha fatto espresso riferimento a tale impegno, a pag. 4, allorché ha descritto il contenuto dell’accordo in oggetto, contemplante il trasferimento di immobile, “con esonero del padre dal versamento di qualsiasi ulteriore prestazione economica, ad eccezione delle spese scolastiche e di abbigliamento”, nonché a pag. 5, quando ha ritenuto di dovere imporre al padre il versamento dell’ulteriore importo di Euro 250,00 mensili, “ferma restando la corresponsione delle spese di vestiario e straordinaria nella misura del 50%”, già concordata tra le parti. Ne’ ricorre il denunciato vizio di contraddittorietà insanabile della motivazione, avendo il giudice del reclamo operato una valutazione di congruità dell’intero contenuto dell’accordo, ritenuto inidoneo a soddisfare l’interesse del minore alla luce di tutte le circostanze del caso (in particolare, delle accresciute esigenze economiche correlate all’età adolescenziale raggiunta da I.G.) e perciò implicitamente (ma del tutto correttamente) escluso che l’assegno di mantenimento possa sostanziarsi in un generico obbligo di partecipazione del genitore a determinate spese.
5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
La mancata costituzione della parte intimata esonera il collegio dal provvedere sulle spese.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e degli altri soggetti in esso menzionati.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022