LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27536/2017 proposto da:
G.R., elettivamente domiciliata in Roma, Via Ugo Bartolomei n. 23, presso lo studio dell’avvocato Caruso Antonio, rappresentata e difesa dall’avvocato Ivella Enrico, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
D.F.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Silvio Pellico n. 24, presso lo studio dell’avvocato Valvo Giuseppe, rappresentato e difeso dall’avvocato Palumbi Francesca, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5173/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/12/2021 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.
RILEVATO
Che:
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 27/7/2017, pronunciando in sede di rinvio dalla cassazione, ha accolto l’appello proposto da G.R. contro la sentenza del Tribunale di Tivoli che, ritenuta fondata la domanda proposta nei confronti dell’appellante dal di lei marito, D.F.A., aveva dichiarato cessati gli effetti civili del matrimonio contratto fra le parti il ***** per mancata consumazione.
I giudici d’appello, escluso che D.F. avesse fornito prova che il matrimonio non era stato consumato, hanno respinto la domanda dell’appellato e, per ciò che in questa sede ancora interessa, hanno compensato interamente tra le parti le spese di tutti i gradi del giudizio, avuto riguardo alla peculiarità della controversia ed alla parziale reciproca soccombenza dei coniugi nei giudizi di primo grado e di legittimità.
G.R. propone ricorso per la cassazione di tale capo della sentenza, affidato a due motivi, cui D.F.A. resiste con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
1. La ricorrente lamenta: con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.; col secondo motivo la violazione dei medesimi articoli del c.p.c., nonché dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 385 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2 e artt. 24 e 111 Cost.. Deduce, in sintesi, che, in base al testo dell’art. 92 cit. applicabile ratione temporis (giudizio di primo grado iniziato anteriormente all’1/3/2006 ed all’entrata in vigore delle modifiche di cui alla L. n. 263 del 2005), le spese avrebbero potuto essere compensate solo in caso di soccombenza reciproca o nel concorso di giusti motivi, condizioni nella specie entrambe insussistenti, dovendosi tener conto dell’esito globale del giudizio, nel quale unico soccombente è il D.F., e considerato che la corte del merito non ha in alcun modo motivato in ordine alla ricorrenza di giusti motivi di compensazione, stante la cripticità, la genericità e l’irrilevanza dell’espressione “peculiarità della controversia” adoperata.
2. Le censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono inammissibili.
Secondo il disposto dell’art. 92 c.p.c., vigente ratione temporis la compensazione poteva essere effettuata in ipotesi di soccombenza reciproca o di giusti motivi.
In relazione a tale regime giuridico, questa Corte ha ritenuto che “la decisione del giudice di merito di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite è incensurabile in sede di legittimità qualora sia motivata espressamente con riferimento a giusti motivi ravvisati della peculiarità e della complessità delle questioni trattate” (Cass. 18352/2003; Cass. 20547/2011).
Le Sezioni Unite hanno, nel 2008, chiarito che “Nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito). Ne consegue che deve ritenersi assolto l’obbligo del giudice anche allorché le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sé considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come – a titolo meramente esemplificativo – nel caso in cui si dà atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali”.
Nella specie, se è vero che le spese non potevano essere compensate in ragione della soccombenza reciproca delle parti nei diversi gradi del giudizio, dato che per la loro regolamentazione occorre aver riguardo all’esito globale della lite, non v’e’ dubbio invece che la pronuncia si giustifichi sotto il profilo dei “giusti motivi”, riassunti dal giudice nell’espressione “peculiarità della controversia”; peculiarità risultante, all’evidenza, dalla mera lettura della sentenza, in cui si dà conto del complesso iter processuale della vicenda e delle conclusioni assunte in sede di rinvio da D.F. di “annullamento della pronuncia del Tribunale di Tivoli di cessazione degli effetti civili del matrimonio”, adesive a quelle della G., e dalla quale emerge la situazione del tutto anomala, se non paradossale, venutasi a creare a seguito del rigetto della domanda dell’appellato (non essendo già stata dichiarata la separazione consensuale o giudiziale fra i coniugi, gli stessi, a dispetto della conflittualità fra gli stessi esistente, all’esito della decisione qui impugnata risultavano infatti ancora soggetti al regime giuridico di cui agli artt. 143/148 c.c.).
3. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.050,00 per compensi, ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022