Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.668 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28553/2020 proposto da:

A.J., rappresentato e difeso dall’avv. Raffaele Rigamonti, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO del 13 agosto 2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/09/2021 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Milano del 13 agosto 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente, A.J., nato in *****, potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di un fermo di polizia e di una sua successiva detenzione, durata tre giorni, nel corso della quale era stato percosso quotidianamente; lo stesso istante aveva rappresentato di aver lasciato il paese e di esservi rientrato dopo un anno e quattro mesi; aveva inoltre narrato che agenti della forza pubblica si erano presentati, un giorno, presso il proprio esercizio commerciale pretendendo il pagamento di una somma, pena la chiusura dell’attività da lui gestita e la propria reclusione: per timore di una nuova detenzione il ricorrente era quindi espatriato. Il Tribunale ha ritenuto non credibile la vicenda in questione, in quanto non sufficientemente circostanziata e priva, almeno in parte, di congruenza. Ha quindi affermato che il Gambia, secondo le informazioni aggiornate, non evidenziava una generalizzata situazione di violenza indiscriminata. Ha infine escluso che competesse la protezione umanitaria, rilevando che non era stata in alcun modo documentata l’attività formativa e lavorativa compiuta dal ricorrente nel periodo dell’accoglienza e che, inoltre, non si riscontravano indici di vulnerabilità che testimoniassero una disparità tra la vita condotta dal richiedente nel territorio nazionale e la precedente esistenza, trascorsa nel paese di origine.

2. – Il ricorso si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la nullità dell’udienza tenutasi il 12 febbraio 2020 e la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, oltre che dell’art. 738 c.p.c.. Viene osservato che nel decreto di fissazione della detta udienza era indicato che la stessa avrebbe avuto ad oggetto unicamente l’esame dei documenti. E’ dedotto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in assenza di videoregistrazione del colloquio, si impone la convocazione personale delle parti.

Il secondo mezzo oppone la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14. Secondo il ricorrente il Tribunale avrebbe mancato di adempiere al dovere di cooperazione istruttoria: avrebbe dovuto cioè procedere ad integrazione ufficiosa delle prove offerte e quindi decidere sulla base della credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, ma alla luce delle informazioni raccolte sul paese di provenienza. E’ dedotto, in particolare, che nel giudizio di primo grado il trattamento carcerario in Gambia si connoti per la carenza assoluta di igiene e per l’insufficienza del vitto.

Col terzo motivo è dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. E’ spiegato che ai fini della decisione della domanda di protezione umanitaria si impone una “valutazione caso per caso con riguardo allo stato di vulnerabilità del richiedente rispetto alla situazione al contesto in cui lo stesso è vissuto”.

2. – Il primo motivo è carente di autosufficienza: sia in quanto non riproduce il contenuto del decreto di fissazione di udienza; sia in quanto nulla precisa quanto alla formulazione dell’eccezione di nullità: vero e’, infatti, che secondo la giurisprudenza di questa S.C., viola la prescrizione contenuta al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. a), ed e’, pertanto nullo, per un difetto del requisito di forma-contenuto il decreto di fissazione dell’udienza, che previamente disponga che non vi sarà audizione del richiedente, per non essere questa necessaria in concreto (Cass. 16 novembre 2020, n. 25943);

ma è altrettanto vero che siffatta nullità è soggetta all’art. 157 c.p.c., comma 2, sicché, ove non tempestivamente eccepita, non può essere fatta valere con il ricorso per cassazione (sent. cit.).

Il secondo motivo è inammissibile. Il Tribunale ha ritenuto che la narrazione del ricorrente, in quanto generica e non congruente, fosse non credibile, a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Tanto escludeva la necessità di approfondimenti istruttori. Infatti, “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria dell’art. 14, ex lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925, in motivazione). In altri termini, ove vengano in questione le ipotesi del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; cfr. pure: Cass. 19 giugno 2020, n. 11936; Cass. 3 luglio 2020, n. 13756), non vi è ragione di attivare poteri di istruzione officiosa finalizzati alla verifica di fatti o situazioni che, in ragione della appurata non credibilità della narrazione del richiedente, devono reputarsi estranei alla vicenda personale di questo.

Pure il terzo motivo è inammissibile. Esso non coglie la ratio della decisione assunta dal Tribunale in punto di protezione umanitaria. Il giudice del merito ha operato il giudizio comparativo menzionato nel mezzo di censura; né può farsi questione dell’apprezzamento delle risultanze di causa, dal momento che, come è noto, la prospettazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta mediante le dette risultanze inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195) e sfugge, come tale, al sindacato di legittimità.

3. – Il ricorso è dunque inammissibile.

Ciò esime – pur in presenza di una procura ad litem apposta in calce al ricorso carente della certificazione del suo conferimento in data posteriore a quella della comunicazione del provvedimento impugnato (cfr. Cass. Sez. U. 1 giugno 2021, n. 15177) – dal differire la trattazione del ricorso e dall’attendere la pronuncia del Giudice delle leggi sulla questione – posta da Cass. 23 giugno 2021, n. 17970 -intorno alla costituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 (che tale certificazione impone).

4. – Nulla è da statuire in punto di spese.

PQM

La Corte;

dichiara il ricorso inammissibile; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del rìcorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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