LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16618/2020 proposto da:
T.F., elettivamente domiciliato in Roma Via Muzio Clementi, 51, presso lo studio dell’avvocato Valerio Santagata, rappresentato e difeso dall’avv. Raffaele Miraglia;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2831/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 11/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.
RILEVATO
Che:
La ricorrente, cittadina della Costa D’Avorio, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando: di essere fuggita dal suo paese per sottrarsi a un matrimonio forzato con un uomo anziano; di avere conosciuto un ragazzo che dapprima la voleva sposare, poi ha rinunciato a lei per paura delle ritorsioni dei parenti, ma l’ha comunque aiutata a fuggire in Libia, dandole anche del denaro; che arrivata in Libia è stata imprigionata e violentata e i suoi aguzzini chiedevano un riscatto per liberarla; di essere stata liberata da un poliziotto che l’ha condotta a casa sua per svolgere i lavori domestici, ma anche quest’ultimo abusava di lei; che ella ha confessato tutto alla moglie del poliziotto ed a questo punto è stata accusata di furto, nuovamente violentata e quindi portata sulla spiaggia dove le è stato intimato di prendere il barcone ed andarsene; di essere quindi giunta in Italia dove è ospite di una casa di accoglienza ove svolge anche l’attività di custode.
La competente Commissione territoriale ha respinto la richiesta. Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto la protezione umanitaria considerandola soggetto vulnerabile, in ragione degli abusi subiti.
Il Ministero ha proposto appello, che la Corte di Bologna ha accolto sul rilievo che il racconto della richiedente evidenzia incongruenze e contraddizioni sulle ragioni per le quali ella ha lasciato il paese di origine, in particolare sulla vicenda del tentativo di farla sposare forzatamente; la ritenuta inattendibilità sulle ragioni dell’allontanamento dal paese d’origine esclude, secondo la Corte, il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione internazionale.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la richiedente asilo affidandosi a un motivo.
L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 4 novembre 2021.
RILEVATO
Che:
1.- Con il primo e unico motivo del ricorso la parte lamenta l’omesso esame di fatto decisivo nonché la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 4, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e art. 5, comma 6, artt. 10 e 117 Cost., art. 3 Cedu e art. 60 della Convenzione di Istanbul. Deduce che la Corte, nel ribaltare il giudizio di credibilità operato dal Tribunale) ha evidenziato delle incongruenze che attengono soltanto alle ragioni della fuga dal paese di origine e non alla tratta ai fini di sfruttamento lavorativo e alle violenze sessuali subite in Libia; che la Corte ha omesso di motivare per quali motivi, pur non avendo rilevato incongruenze nel racconto relativo alla sua vittimizzazione in Libia, ha ritenuto questi fatti irrilevanti ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.
Il motivo è fondato.
La ricorrente trascrive (pagina 5 del ricorso) le motivazioni della sentenza di primo grado, nella parte in cui è stata riconosciuta la protezione umanitaria per la estrema vulnerabilità del soggetto, anche in relazione alle vicende passate, di continui abusi subiti durante il viaggio. La Corte d’appello ha esaminato e ritenuto il racconto della richiedente inattendibile solo con riferimento alle ragioni della fuga dal paese di origine (il tentativo di matrimonio forzato, le minacce) e ha escluso perciò stesso la protezione umanitaria senza esaminare la rilevanza delle violenze subite in Libia.
Il giudice d’appello ha quindi fatto cattiva applicazione del principio già affermato da questa Corte, secondo il quale il permesso di soggiorno per motivi umanitari costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. 13565 del 02/07/2020; Cass. n. 25734 del 22/09/2021). Il riconoscimento della protezione umanitaria non è infatti necessariamente legato alle ragioni della migrazione, poiché l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni, ma sono da riportare al “catalogo aperto” dei diritti di cui all’art. 2 Cost., posto che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali promuove l’evoluzione della norma sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione (Cass. sez. un. 29459/2019).
Il giudice, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, deve compiere un giudizio di comparazione, tra le condizioni di vita conseguite in Italia e le condizioni del paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio può comportare la lesione di diritti fondamentali. In questo giudizio di comparazione deve tenersi conto che sussiste una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti, che impone un peculiare bilanciamento tra la condizione soggettiva del richiedente asilo e la situazione oggettiva del Paese di eventuale rimpatrio. Si tratta del c.d. giudizio di comparazione attenuata, che la più recente giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte (Cass. n. 24413 del 09/09/2021) ha elevato a paradigma di carattere generale, ma che per la prima volta è stato enunciato proprio con riferimento alla relazione tra la peculiare condizione di vulnerabilità conseguente alle violenze subite e la rilevanza delle condizioni oggettive del paese di origine, nel senso che quanto più intensa è la vulnerabilità accertata in giudizio, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis (Cass. 1104/2020).
In altre parole, è la condizione di vulnerabilità a definire la maggiore o minore idoneità del rimpatrio ad incidere sui diritti fondamentali; se la persona ha subito rilevanti violenze nel paese di origine o anche nel paese di transito, quali il rapimento, la violenza sessuale, la coercizione al lavoro forzato, ed ha successivamente realizzato una condizione di assistenza e accoglimento nel nostro paese, il rimpatrio può arrecare un vulnus ai suoi diritti fondamentali anche nel caso in cui le condizioni di compromissione dei diritti fondamentali nel Paese di origine non siano di particolare gravità.
Si tratta di una valutazione rimessa al giudice del merito il quale, caso per caso, dovrà accertare, in relazione alla specifica condizione oggettiva e soggettiva in cui si trova il richiedente, valutando anche fatti diversi ed ulteriori rispetto alle ragioni della fuga dal paese di origine, se il rimpatrio in un determinato contesto sociale è idoneo a provocare un significativo scadimento delle condizioni di vita del soggetto, mettendone a repentaglio i diritti fondamentali e la capacità di reinserirsi socialmente, preservando le inalienabili condizioni di dignità umana.
Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, per un nuovo esame, attenendosi ai principi sopra enunciati,e per la liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, per un nuovo esame.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022