Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.672 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21520/2020 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in Torino via Guicciardini 3, presso lo studio dell’avv. Lorenzo Trucco, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2056/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 31/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/11/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.

RILEVATO

Che:

Il ricorrente, cittadino pachistano, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando: di essere religione musulmana e che nel suo paese era fidanzato con una ragazza cristiana; che la sua famiglia era contraria al matrimonio; che è stato picchiato per avere difeso altri cristiani dal gruppo ***** e che gli appartenenti a questo gruppo lo hanno minacciato, anche dopo che è uscito dall’ospedale.

La domanda è stata respinta dalla competente Commissione territoriale e dal Tribunale. Il richiedente asilo ha proposto appello che la Corte torinese ha ritenuto manifestamente infondato, sul rilevo che il richiedente non ha svolto alcuna censura per inficiare il giudizio di inattendibilità reso dal primo giudice, prospettando solo argomentazioni generiche che non si confrontano con il provvedimento impugnato; rileva inoltre che il Pakistan, in particolare il Punjab, è interessato da rischio attentati ma non da violenza indiscriminata, come si desume dalle informazioni riportate nel Rapporto EASO 2019; ritiene insussistenti i presupposti della protezione umanitaria perché il percorso di integrazione è inesistente o comunque insufficiente, non avendo il ricorrente imparato la lingua italiana e non avendo in Italia legami affettivi, né fornito prova di autonomia reddituale, mentre di contro la situazione del paese di origine non è da ritenersi pericolosa.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a due motivi.

L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale.

La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 4 novembre 2021.

RITENUTO

Che:

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

Il ricorrente deduce che ha errato la Corte ad escludere il rischio di danno grave in caso di rientro in Pakistan. Osserva che è necessario ricondurre la drammatica vicenda del ricorrente nel quadro generale di un paese come il Pakistan la cui la generalizzata instabilità è stata documentata anche tramite i numerosi Report allegati in sede di ricorso; illustra che nella zona di provenienza del ricorrente si verificano violenze continue a sfondo politico e sociale che colpiscono i cittadini senza che le forze dell’ordine intervengano a difesa; riferisce di alcuni attentati terroristici e di violazione dei diritti umani.

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo si osserva che la parte, pur consapevole che il diniego di protezione sussidiaria è fondato (anche) sulla ritenuta non credibilità del ricorrente, non muove specifiche censure sul giudizio reso in ordine alla valutazione di credibilità, peraltro consolidatosi già in appello per difetto di censura alle argomentazioni rese in primo grado sul punto. In difetto di allegazione di una storia credibile non può ritenersi sussistente il rischio individualizzato di cui all’art. 14, lett. b), poiché il giudice non può e non deve supplire ad eventuali carenze delle allegazioni (Cass. n. 2355/2020; Cass. 8819/2020), posto che il ricorrente è l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale e quindi deve indicare gli elementi relativi all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, alle domande di asilo eventualmente già presentate (v. CGUE 5 giugno 2014, causa C146/14; nello stesso senso Cass. 8819/2020).

Il motivo consiste in una generica esposizione delle criticità del paese di origine, alcune delle quali riguardano gruppi sociali (detenuti, giornalisti) di cui il ricorrente non ha mai dichiarato di fare parte, senza che venga assunta specifica posizione sugli argomenti spesi dal giudice d’appello e peraltro sovrapponendo indebitamente la nozione di danno grave per violenza indiscriminata da conflitto con il danno grave da rischio individuale o per la appartenenza ad un gruppo specifico.

Ai fini della protezione internazionale, infatti, il conflitto rileva se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Secondo questo indirizzo ormai consolidato, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019).

La violenza indiscriminata derivante da conflitto, intesa in questi termini, è dunque cosa ben diversa dalle limitazioni delle libertà individuali, dalle discriminazioni di genere, dalle tensioni sociali ed economiche, dalla povertà, dalla diffusione della criminalità comune e dal rischio di attacchi terroristici mirati. Le criticità esposte dal ricorrente potrebbero avere rilievo ai fini della protezione internazionale ove pertinenti ad un rischio individuale specifico, che tuttavia nel caso di specie è da escludersi, per difetto di allegazione di una vicenda individuale attendibile e circostanziata.

Si tratta quindi di un motivo standardizzato, fondato su enunciazioni generiche e stereotipate, non pertinente alla vicenda dedotta né alla ratio decidendi della sentenza impugnata, e che difetta di quei requisiti di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, richiesti a pena di inammissibilità (Cass. 17125/2007; Cass. 15517/2020).

2.- Con il secondo motivo del ricorso la parte lamenta la violazione ed errata applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6 e art. 19. Deduce che, ad avviso della difesa, sussiste sproporzione tra le condizioni di vita in Italia e quelle in Pakistan, che si manifesta non solo per la situazione ampiamente illustrata e documentata del Pakistan, ma anche per la posizione del ricorrente che ha lasciato il suo paese in condizioni di assoluta precarietà, proveniente da una regione devastata dalla povertà e che ha dato rilevanti prove di integrazione sul territorio come dimostrato dall’attività lavorativa svolta da lungo tempo e che versa in precarie condizioni psicofisiche.

Il motivo è inammissibile.

Con il mezzo si sollecita, peraltro genericamente, una revisione del giudizio di fatto reso dalla Corte di merito, incensurabile in questa sede. La Corte territoriale ha adeguatamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto insufficiente la integrazione sul territorio nazionale, facendo riferimento ai documenti prodotti dallo stesso ricorrente ed ha altresì esposto le ragioni per le quali ha ritenuto non pericoloso il rimpatrio nel paese d’origine. E’ stato quindi effettuato il giudizio di comparazione tra le condizioni di vita conseguite in Italia e le condizioni del paese di origine (Cass. sez. un. 24413 del 09/09/2021) con esito negativo.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Nulla sulle spese in difetto di tempestiva costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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