Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.681 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17419/2020 proposto da:

A.U., rappresentato e difeso dall’avvocato Manuela Guzzo, per procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 768/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 18/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/12/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 768/2019 pubblicata il 18-12-2019 la Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto l’appello proposto da A.U., cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese per evitare di essere condannato alla pena di morte per omosessualità, dopo che era stata scoperta la sua relazione omosessuale con il cugino. La Corte d’appello ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan, descritta con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Con ordinanza interlocutoria pubblicata il 29-7-2021 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione in tema di protezione umanitaria rimessa con ordinanza di questa Corte n. 28316/2020.

4. All’esito della pubblicazione della sentenza n. 24413/2021 delle Sezioni Unite di questa Corte, il ricorso è stato nuovamente fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c.. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso sono così rubricati:” I. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28.07.1951; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,7 e 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3-4: nullità della sentenza per omessa decisione sulla domanda ex art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto non coerente e credibile il racconto del ricorrente sulla base di una motivazione apparente; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5: omesso esame di un fatto decisivo, come argomentato da pagina 5 a pagina 10 nel prosieguo del ricorso; II. Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’Appello, al fine di negare il riconoscimento della protezione sussidiaria, escluso l’esistenza in Pakistan di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale: omessa attività istruttoria, come argomentato da pagina 10 a pagina 15 nel prosieguo del ricorso; III. Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la corte d’appello riconosciuto la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria, come argomentato da pagina 15 a pagina 22 nel prosieguo del ricorso”.

2. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

2.1. Il ricorrente si duole del giudizio di non credibilità della vicenda personale narrata (primo motivo), rimarcando le circostanze persecutorie e discriminatorie legate all’orientamento omosessuale, sanzionato anche penalmente nella comunità musulmana e ritenendo rimarcati dalla Corte d’appello particolari irrilevanti del suo racconto, in violazione del principio dell’onere probatorio attenuato, nonché si duole del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. c), richiamando fonti di conoscenza (report Easo 2019, Amnesty International 2017-2018 e il sito *****), nonché evidenziando la gravità degli attentati terroristici che caratterizzano la situazione del Punjab.

2.2. Le censure riferite al giudizio di non credibilità, sotto l’apparente denuncia del vizio di violazione di legge e motivazionale, sono in realtà dirette a sollecitare il riesame del merito. La Corte d’appello ha evidenziato in dettaglio, con motivazione adeguata e facendo applicazione dei parametri legali di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 3, plurimi profili di inverosimiglianza e contraddittorietà del narrato (cfr. da pag. 6 a pag. 8 della sentenza impugnata). L’art. 3 citato obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019).

Il ricorrente contrappone la propria ricostruzione dei fatti narrati a quella effettuata dai giudici di merito e si duole dell’omessa attivazione dei doveri istruttori ufficiosi, che, invece, non vi è ragione di effettuare, una volta esclusa la credibilità della vicenda personale allegata (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018).

2.3. E’ inammissibile anche la censura relativa al diniego della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, lett. c). La Corte di merito, indicando le fonti di conoscenza (Easo ottobre 2019 da pag. 11 a pag. 13 della sentenza), ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nel Paese di origine del ricorrente, e la doglianza si risolve in un’impropria e inconferente critica a detto accertamento fattuale, mediante il richiamo di fonti meno recenti di quelle citate dalla Corte d’appello.

3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole del rigetto della domanda di protezione umanitaria, nella specie disciplinata dal regime anteriore a quello introdotto dal D.L. n. 113 del 2018, per non avere la Corte di merito preso in adeguata considerazione il fatto che egli ha stabile occupazione ed è regolarmente retribuito. Richiama la pronuncia di questa Corte n. 4455/2018, nonché numerose pronunce di merito e deduce che la Corte d’appello non ha effettuato alcun bilanciamento tra la sua situazione in Italia e quella in cui si troverebbe in caso di rimpatrio, considerato il contesto attuale dell’area di provenienza. Il ricorrente, inoltre, espone di aver prodotto in appello documentazione comprovante redditi nel 2018 da lavoro dipendente e contratto di assunzione per 5 anni (pag. 19 del ricorso).

4. Il motivo è fondato.

4.1. Con la recente sentenza n. 24413/2021, le Sezioni Unite di questa Corte, nel ribadire quanto già affermato con la precedente sentenza n. 29459/2019 circa i caratteri di concretezza ed effettività connotanti il giudizio di comparazione, hanno ulteriormente chiarito che i due termini di raffronto sono legati in senso inversamente proporzionale tra loro. In particolare, il maggior grado di integrazione in Italia ovvero le condizioni di vita ben integrate e documentate da parte dello straniero determineranno un minor peso della condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, e ciò in quanto la persona ben integrata e radicata, ove rimpatriata, potrebbe subire un effettivo scadimento delle condizioni di vita personali, familiari e lavorative, con il conseguente probabile vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU. Il giudizio di comparazione, dunque, dovrà essere effettuato tenendo conto della necessaria correlazione tra gli elementi sopra indicati in rapporto di proporzionalità inversa, mediante attribuzione ai rispettivi fattori di comparazione di un diverso peso nel senso precisato, non potendo porsi su un piano di equivalenza le documentate condizioni di integrazione e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine. L’indagine andrà condotta alla stregua del disposto dell’art. 8 CEDU, ossia occorrerà verificare se sussista il profilo di vulnerabilità legato alla comparazione tra il contesto economico, lavorativo e relazionale che il richiedente troverebbe rientrando nel paese di origine e le condizioni di integrazione dal medesimo raggiunta in Italia nel tempo necessario al compimento dell’esame della sua domanda di protezione in sede amministrativa e giudiziaria. A tal fine, eccezion fatta per le ipotesi di radicale incertezza sulla identità o nazionalità stessa del richiedente, non è di ostacolo al riconoscimento del beneficio domandato la ritenuta non credibilità del racconto della vicenda personale reso dal richiedente asilo, dovendosi apprezzare le conseguenze del rimpatrio sulla base delle condizioni generali del Paese di origine correlate alla sua posizione individuale.

Occorre, altresì, precisare che, in tema di protezione complementare di diritto nazionale, di protezione umanitaria in regime transitorio o di protezione speciale introdotta dal D.L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173, sul giudice del procedimento incombe il dovere di cooperazione istruttoria, che attiene alla prova dei fatti e non alla loro allegazione, previsto in tema di esame delle domande di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 4 della Direttiva CE 13.12.2011 n. 95, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3,D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e stesso D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9 e art. 27, comma 1 bis, limitatamente alle circostanze concernenti la situazione sociale, economica o politica del Paese di provenienza del richiedente e non, quindi, relativamente alle circostanze attinenti alla integrazione sociale, culturale, lavorativa e familiare del richiedente asilo in Italia. In definitiva e in sintesi, alla stregua dei principi affermati con la citata recente pronuncia delle Sezioni Unite, i giudici di merito dovranno accertare: i) se il richiedente abbia dimostrato di aver raggiunto un apprezzabile livello di integrazione in Italia (influendo “..nel giudizio sulla vulnerabilità, non solo il rischio di danni futuri legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel paese d’origine – ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita..” così Cass. S.U. 24413/2021 citata); ii) in caso di positivo accertamento del primo requisito, se il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU e da far ritenere perciò sussistente un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. Imm. e ciò mediante comparazione tra la situazione del Paese di origine e il grado di integrazione in Italia da effettuarsi in rapporto di proporzionalità inversa.

4.2. Nel caso di specie, la Corte di merito ha affermato che non si profila un significativo radicamento del ricorrente in Italia, senza, tuttavia, nulla precisare al riguardo, né prendere in considerazione la documentazione, comprovante redditi nel 2018 da lavoro dipendente e contratto di assunzione per 5 anni, che il ricorrente espone, con deduzione sufficientemente specifica (pag. 19 ricorso), di aver prodotto in appello. Inoltre la Corte d’appello ha affermato che “la dubbia inattendibilità del suo racconto non dà adeguata contezza di uno sradicamento qualificato dal territorio di origine, tale -oggi- da profilare una specifica condizione di vulnerabilità” (pag. 15 sentenza). Pertanto, il giudizio comparativo non è stato effettuato dai giudici di merito secondo i principi di cui si è detto.

5. In conclusione, il terzo motivo va accolto, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti del motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili i primi due motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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