Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.683 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29142-2020 proposto da:

L.P.B., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ROSALIA GRANDE;

– ricorrente –

contro

M.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO MILANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 413/2020 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 10/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE GRASSO.

CONSIDERATO

che il Collegio condivide i rilievi di cui appresso, enunciati dal Relatore in seno alla formulata proposta, pur dopo aver letto la memoria depositata dalla parte controricorrente:

“ritenuto che la vicenda qui al vaglio può riassumersi nei termini seguenti:

– la Corte d’appello di Caltanissetta confermò la sentenza di primo grado, la quale, accolta la domanda riconvenzionale di M.G., avanzata nei confronti di L.P.B., il quale aveva citato in giudizio il primo, rivendicando la proprietà di uno stacco di terreno, facente parte di un più vasto appezzamento, ne aveva dichiarato l’acquisto per usucapione in favore del convenuto;

ritenuto che il soccombente appellante L.P.B. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di tre motivi di doglianza e che la controparte resiste con controricorso.

RITENUTO

che con il primo e il secondo motivo, tra loro correlati, il ricorrente denuncia violazione e/ o falsa applicazione degli “art. 115 (c.p.c.), art. 832,1138 e 1140 (c.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, addebitando alla decisione di secondo grado:

– di avere, in contrasto con consolidato orientamento di legittimità, reputato sufficiente a dimostrare il possesso utile all’usucapione la mera attività di coltivazione;

– di non avere valutato le circostanze dalle quali era dato trarre che il ricorrente avesse esercitato le facoltà proprietarie, in particolare provvedendo a esperire azione giudiziaria nei confronti del mezzadro, a trasformare il rapporto di mezzadria in affitto, possedendo in via mediata attraverso il mezzadro;

considerato che l’insieme censuratorio non supera lo scrutinio d’ammissibilità per le ragioni che seguono:

a) la Corte nissena ha tratto il convincimento del possesso utile all’usucapione dell’appellato sulla base di un complesso probatorio univocamente valorizzato, costituito dal fatto che, per un verso l’appellante si era limitato a rivendicare l’esercizio delle facoltà proprietarie sulla base della mera intestazione catastale, e, per quel che più rileva, per altro verso, il M. aveva provato di essere succeduto nel possesso del padre, iniziato molti decenni prima, tanto che lo stacco da lui posseduto era stato definito dal resto del fondo da preesistenti “Merche”, che il mezzadro C. si era occupato, per conto del M., della conduzione dello stacco, unitamente al resto, per conto del L.P., che l’operaio D.G., era stato, in un primo tempo, avvertito dal M., che quel fazzoletto di terra era di sua proprietà e non del L.P. (e tale avvertimento era stato riportato al l.P.) e poi dal medesimo incaricato di effettuarvi lavori;

b) questa Corte ha più volte affermato il principio secondo il quale ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta “uti dominus”; costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l’intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l’attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario (Sez. 6, n. 6123, 05/03/2020, Rv. 657277, da ultimo);

c) tuttavia, la sentenza impugnata, al contrario dell’asserto censuratorio, non si pone in contrasto con il riportato e condiviso principio, stante che, essa ha accertato in fatto che il M. non si era limitato a dedurre la mera attività di coltivazione, in sé neutra, potendo derivare da i più vari titoli detentivi, ma tale attività si incastonava in una complessiva condotta avente le vestigia dell’esercizio di facoltà proprietarie (in tal senso l’apposizione dei segni di confine e l’incarico a terzi, con la spendita della qualifica di proprietario, di occuparsi dello svolgimento di lavori sull’appezzamento in parola);

d) si è in presenza di “doppia conforme” e, pertanto, “ratione temporis”, trovando applicazione l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in tassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sei. 2, n. 3328,10/ 0312014, Rv. 630359; coni, ex multis, Cass. nn. 19001 /2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto;

e) in ogni caso l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “detisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fitto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie 85. U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831);

f) è del tutto evidente che attraverso la denunzia di violazione di legge il ricorrente sollecita – non determinando essa, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (da ultimo, S. U. n. 25573, 12111 /2020, Rv. 659459); del pari, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., ex multis, Seti 6, n. 27000, 27 /12 / 2016, Rv. 642299);

ritenuto che con il terzo motivo il ricorrente prospetta violazione falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte d’appello omesso di pronunziarsi sulla istanza subordinata di correzione di errore materiale della sentenza di primo grado, la quale, per mera svista, nonostante fosse evidente che lo stacco di terreno in discussione misurava 600 mq, facenti parte del più ampio podere dell’appellante, di cui al *****, Comune di *****, aveva statuito l’acquisto per usucapione dell’intera particella; né la circostanza che l’istanza in parola non fosse stata proposta sotto forma di motivo, poteva avere rilievo alcuno;

considerato che il motivo appare manifestamente fondato, valendo quanto appresso: – costituisce principio da tempo affermato da questa Corte quello secondo il quale nell’ipotesi in cui la sentenza contro la quale è stato proposto gravame contenga un errore materiale, l’istanza di correzione dello stesso, non essendo rivolta ad una vera e propria riforma della decisione, non deve necessariamente formare oggetto di uno specifico motivo di impugnazione, neppure in via incidentale, ma può essere proposta in qualsiasi forma e può anche essere implicita nel complesso delle deduioni difensive svolte in appello, con la conseguenza che, ove l’istanza di correzione sia stata espressa in un appello incidentale, la declaratoria di inammissibilità del suddetto appello incidentale non preclude la decisione in ordine alla suddetta istanza (Seti. 2, n. 10447, 21 /10/1998, Rv. 519939; conf., Cass. nn. 7706 / 2003, 12412004,19284/ 2014);

– or non è dubbio che la disputa riguardava esclusivamente quello stacco di 600 mq: la circostanza, confermata dallo stesso controricorrente in questa sede e da costui di già evidenziata nella comparsa conclusionale d’appello, deve, appunto, reputarsi implicita nel complesso delle deduzioni difensive svolte in appello”;

– ciò posto, la sentenza deve essere cassata con rinvio sul punto e il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo del ricorso e dichiara inammissibili i primi due, cassa la sentenza impugnata con rinvio, in relazione all’accolto motivo, alla Corte di Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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